FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia

Numero 43
luglio/settembre 2016

Fughe

 

PELLE D'OCA

di Armando Romero



  Dopo essermi sbarazzato di farti conoscere gli animali che ti hanno convinto che sei una bestia, mi avvicino per esporti un ragionamento contro te stesso.

Francisco de Quevedo
Immortalità dell’anima, Primo Trattato


Per sé ha un’altra maschera, un intero travestimento. Non si era ripromesso nulla nell’andare a quell’incontro, a quella soluzione. Disse: casa, figli, via aerea, auto, ferita nel petto, disse mi mettono uno specchio davanti per potermi copiare, affinché sia lo stesso.

Torna camminando per un viale pieno di bordi; bordo squarciato che si sgretola come una fresca melodia nella sua testa, e solleva fumo dalla voce di sotto, da lui sfuggita: granulazioni, macchie, per pensarsi in uno schermo frantumato. Se ci sono automobili di quattro ruote ne vedrà tre e una la conserverà di scorta. Lui sa che occorre prevenire, che bisogna curarsi, vivere, vestirsi, ridere, imbellettarsi le guance, prendere la ruota e solcare i mari. La voce suona e la corda di una chitarra cerca la sua mano da una nota acuta.

Un autista ha gridato “guarda dove cammini!” e lo fa sobbalzare con l’idea di “dovrei comprarmi un’auto” perché: l’ufficio, l’essere viaggiatore, passeggero, uomo d’impresa, responsabilità, cala l’ascensore e si ferma proprio al suo piano. La segretaria lo saluterà con eleganza, collezionerà i rifiuti nel cestino accanto ai suoi piedi. Ma lì c’è quel signore che lo ha visto saltar giù dalle screpolature, quello che mangia banane sul bordo della strada: un viale zeppo di bordi, come fossero confini.

Andrà fino a casa aggiustandosi continuamente la cravatta, e ora non ha tempo di osservarsi allo specchio. Non c’è specchio, solo quel quadro lì davanti. Dovrà dire a sua moglie che gli hanno aumentato lo stipendio, e questo significa più lavoro, più vita, più vodka con succo di pomodoro, l’importante, quel che conta della sua storia: lui la legge tutte le mattine nel giornale e la legge con gli occhiali che la leggono per lui che divaga leggendo gli avvisi luminosi di tutte le strade, fino a casa, con la cravatta sulla punta delle dita, attorcigliandosi, raggelando. Se è stato per aumentargli lo stipendio che lo chiamarono, gli parlarono, lo festeggiarono, con una mano sulle spalle, lo staccarono da un universo di labbra, denti: stretti, dispersi; manca qualcosa al ragazzo che fa le consegne con una bicicletta marca Monark, la regina delle bici, la strada ne è piena, e ci sono ragazze che escono dalla scuola, i fidanzati le guardano e seguitano a fumare; lui salta un vuoto che arriva fino a casa.

Lei ci crederà? Già sta arrivando a casa. Per quanti anni è dovuto entrare dalla finestra, arrampicarsi sulla vetrina, fare da uccello alato che dipinge bamboline tra le sbarre della sua gabbia, correre veloce e arrestarsi proprio nel punto segnato con un gessetto azzurro mentre lei misura le distanze e allora lo approvava, gli dava il visto giusto? Lei lo ha sempre approvato anche quando falliva, e dopo parlava di un tema interessante che li attraeva, di come la domestica aveva speso la sua ultima giornata:

- Risulta che ha preso la determinazione di farlo così.

- Questo mi sembra assai meglio di non averlo fatto così.

- Ma è che farlo così...

- Giusto, farlo così è non farlo così dopo lei dovrà farlo così.

- È proprio quel che dico.

Lei ci crederà? Lui non riesce a smettere di domandarselo. Al di là dei vetri c’è la spinta che gli darebbe la porta che li incornicia, e la casa si apre: ma a lui non succedevano mai fatti straordinari: una pelle, quella di lui, e un’altra pelle, quella di lei, non potevano confondersi, troppo diverse.

All’improvviso, al sapere dell’aumento, lei divenne così contenta che disse, cantando:

    mi comprerò un cappotto
    mi comprerò una collana
    entrerò nei negozi
    risplenderanno le mie scarpe
    mi comprerò un cappotto
    mi comprerò una collana

Sogno perfetto, graffio. Lei, e lui? Divennero così contenti che dissero:

    mobili
    profumi
    auto
    abitazione
    famiglia felice
    casa piena di gioia

Ora fischia. Dove? Lasciarono il piccolo a scuola e lo informarono: “Tuo padre è un uomo irreprensibile e il suo percorso deve proseguire”.

Con il giradischi a tutto volume. Proprio lì. Lasciarono la piccola a scuola e gli dissero: “Tua madre è una donna irreprensibile e il suo cammino deve proseguire”.

I nostri genitori ballano in sala, dicono i bambini.

Prima davanti, dopo un lieve giro di torsione verso sinistra, e di profilo completo. La cravatta si annoda perfettamente e osserva le sue unghie, le pulisce, nulla per notarsi, la spazzola. Si dispone a tornare al lavoro perché il tempo si accorcia o lui si allunga. Guarda la finestra. È entrato da lì, oggi? Qualcuno dovrebbe rispondergli. Ma lui guarda solo lo specchio, si dice, è vuoto.

La porta a vetri antepone realtà, impone tentacoli che si avvolgono ai battiporta.

Viale che si ammorbidisce, strade pulite scivolano tra le scarpe, alberi che sono cresciuti e hanno dato nuovi fiori che un uomo alto si porta via con un camion, grappoli di frutti galleggiano; non ci sono più bordi, la melodia è ora come sbarrata, silenzio di voci (se questa mattina c’erano mille automobili a fare rumore questa sera sono duemila coloro che fanno silenzio), freddo delle grondaie, ali e colori.

Che deve fare lui laggiù in fondo? Rovescerà l’inchiostro azzurro sulla superficie? Chi lubrifica gli assi? Risulta che deve unirsi a più di due cose: semaforo che cambia eternamente da rosso a verde, non si ferma mai: strada solitaria che lui non conosce, e colui che sta più in là, strike. La voce di sotto, la sua voce:

“Vuole prendere questa pallina in mano e seguire il corso che descrive sulla punta delle sue dita e poi liberarla su questo tavolo e vederla ruotare mescolata ad altre due palline che ho io e descrivere un percorso preciso nella mia mano e verificare che la sua pallina non si è persa ma che lei può riconoscerla anche se continua a girare assieme alle altre due palline, le stesse che prima avevo in mano?”

Ora lavorerò con più forza, è la mia opportunità. È stata una vera fortuna essere riuscito in questa stretta di mani. E pensare che a volte ero convinto di una indifferenza del direttore, e lui invece mi ha detto “resti con noi che lei qui andrà avanti progredendo come ha fatto finora, lei è un bravo ragazzo, un bravo ragazzo”, si mordeva le labbra inferiori, un bravo ragazzo al quale colava come della schiuma dalle labbra inferiori, che poi finiva sul pavimento incerato, storce gli occhi, sorride, “devo ringraziare chi mi ha aiutato ad attraversare la strada”, dice il cieco. Con più denaro in tasca, con mia moglie in tasca, con i miei figli in tasca, col direttore in tasca, sono proprio un gladiatore dell’entrata e dell’uscita della mia tasca; ho lavoro per il resto della vita, casa, cibo.

Procede verso l’ufficio con una mano che accarezza le chiavi delle sue porte; stare dentro un’altra cosa, mentre si gira la mano priva di chiavi; e deve essere un’altra maschera piena di ossigeno, travestimento. Procedere e avere sensazioni, uno specchio che si spacca e restituisce soltanto sempre la stessa immagine: vetri, pezzi, sorrisi e strette di mano. È la maschera di un negro che ride in una notte di carnevale rimescolate le sue gambe, le sue ginocchia, le sue natiche, le sue piante, le sue palme; fa un salto e resta in mezzo alla strada affilando un grido che poi passa più tagliente di quando lo aveva lanciato; non si è sbagliato, la maschera rotola sul pavimento, e la sua testa, e i capelli si perdono nella nebbia; e ora lui cammina tornando al suo ufficio, suda, alza le mani e le chiavi avvicinandole al viso, si pulisce, lui, continua ad avvicinarsi all’ufficio.

Si tessono un sacco di supposizioni: alcuni affermano di averlo visto camminare e camminare dopo aver attraversato l’ultima strada, e che nonostante le chiamate dei suoi amici sempre più sorpresi lui ha seguitato a camminare fino a perdersi in orizzonti prefabbricati; altri dicono che si è arrampicato su quell’albero e che da quel momento non è più sceso, riceve con gentilezza il cibo che gli portano ed è molto contento, persone commentano che non si è saputo più nulla di lui, un uomo ha detto che gli anni dovrebbero portare una risposta; una donna pensa che sia un caso senza importanza; i “bambini uscendo da scuola comprano cioccolate”.

La sera il capo lo salutò con molto impegno e disse è giusto che riprenda il suo lavoro, lui tornò a sorridere; comprerebbe un’auto per visitare il lago notturno; aveva bisogno di quel mezzo; lui ormai non aveva più pelle, la strada non esisterebbe più; incubo.

Dichiarazione della donna o moglie di lui:
“Francamente non so perché mio marito lo abbia fatto. Questo vuol dire fuggire e fuggire? Lui era un gran lavoratore. Eccezionale. Lo amavo”.


Una prima versione di questo racconto è apparsa nella raccolta El demonio y su mano (1975).

Traduzione dallo spagnolo di Alessio Brandolini


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