FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia

Numero 43
luglio/settembre 2016

Fughe

 

PIEDAD BONNETT, STRATAGEMMI DEL DEBOLE

di Alessio Brandolini



Pubblicato in Colombia nel 2004 e riproposto in Spagna nel 2013 dalla casa editrice Valparaíso di Granada Tetras del débil (Stratagemmi del debole) è un libro fondamentale per avvicinarsi e comprendere il mondo poetico di Piedad Bonnett (Colombia, 1951) che ha esordito in poesia con De círculo y ceniza (1989) e ha poi proseguito il suo viaggio letterario, pubblicando anche opere di narrativa e per il teatro.
Di norma il debole si chiude a riccio, diventa un esperto di fughe davanti al nemico, agli attacchi del fato, a volte immaginati o che potrebbero solo sfiorarlo. Chi invece resta sul posto (nell’ambiente originario) convivendo giorno dopo giorno con la propria debolezza è costretto a ricorrere a stratagemmi per affrontare l’ansia e il panico. Per questa sua scelta andrà incontro a tensioni, a un continuo aggiustamento delle strategie difensive, visto che di volta in volta cambieranno il tipo di attacco subito, la situazione, l’avversario...

Nel continuo movimento la debolezza si trasforma, se non in arma idonea a difendersi, in aguzzo strumento di conoscenza, in spinta per realizzare passaggi, ponti, scale per riuscire a spostarsi alla svelta e superare il blocco, la paralisi iniziale. Eleverà una città mentale o, più esattamente, l’alveare (quello dell’immagine di copertina) al quale allude l’autrice quando scrive che dalle ferite “nascono api bionde” e il loro miele “è la flebile luce che ci illumina”. La piccola e instancabile ape che rigurgita il suo nettare all’interno dell’arnia e dal quale poi si avrà il miele, sostanza dolce e altamente nutritiva. L’azione del debole allora può trasformarsi in una strategia di più ampio respiro che si affianca a quella preventiva adoperata per opporsi alla fragilità, alla paura, alla propria vulnerabilità. L’ipersensibile è un essere isolato, anche tra persone che ama: o crolla sotto il peso delle emozioni o è costretto ad architettare qualcosa e a reinventarsi per non battere in ritirata, per non cedere, per rimanere se stesso. Solo così potrà sentirsi libero, conoscersi, essere presente nella vita degli altri. Non si tratta di percezione ma di profondità di sguardo che come una vanga scava in territori poco frequentati e trova scintille di luce, inconsueti percorsi.

In questa raccolta poetica il primo passo-percorso inizia con la sezione “Parole iniziali”, una specie di allenamento per poi entrare nella zona più viva e centrale del libro, reperibile nelle due successive sezioni: “Luoghi comuni” e quella che dà il titolo alla raccolta e alla fine riconsegna il lettore alla parte iniziale, ovvero alla necessità di raccogliere ogni briciola che la memoria lascia cadere, rimanda a quel “cielo cieco” del primo testo, un cielo che sovrasta la paura vista come un mare immenso, rimanda alle immagini dell’infanzia, alla madre, alle strane forme dell’amore che possono ferire e intaccare la memoria. Rimanda alla vertigine che è desiderio e timore di cadere, alla paura della paura e, infine, all’immaginazione che trasforma i gatti dal passo felpato in gatti con gli stivali. Ovvero, alla scoperta del potere della scrittura, di quelle parole che messe una accanto all’altra (come particelle di nettare) si fanno magiche e scardinano porte, nutrono, aprono nuovi percorsi e scavi verticali. Persino nella banalità della vita quotidiana, nel medico del paese che viene visto con supponenza da chi è orgoglioso del bianco della propria pelle. Nell’indifferenza e nel disprezzo per il dolore altrui: “Qualcuno chiese per la propria sete / un po’ di acqua, e il bicchiere / fu nobilmente rotto contro l’impavida pietra”. Nell’odio, contagioso come la lebbra, nel sacrificio personale che “dona il furore divino” e sconfigge la paura.

Occorrono stratagemmi affinché il fragile possa rafforzarsi ma difendendo, allo stesso tempo, la propria sana debolezza, lo sguardo (e le parole) che frugano nel male e nella morte, quella morte che rovista fino a trovare “la fredda luce dell’osso”. Nel libro abbondano immagini forti, rare in poesia: bambini morti, funerali, sangue che cola nel latte, bestie ferite, crocifisse o fatte a pezzi per essere spartite... Ma il miracolo della parola riverbera nella pagina la sua musica alimentata dalla luce che al tramonto svanisce, dalla rosa che nei suoi petali ha tracce della sua fine. Una musica potente che si alza “come un’onda nera e carica di pesci brillanti”. È in questo modo che il debole dà forza e sostanza ai suoi stratagemmi e spaventa la paura, apre valigie piene di rondini e stempera la dolorosa memoria dell’infanzia.

Stratagemmi del debole prende il titolo da uno scritto dell’argentina Josefina Ludmer sulla condizione del debole nella società moderna, soprattutto dal punto di vista femminile. La donna parte in svantaggio e quindi da subito è costretta ad applicare strategie di sopravvivenza, più o meno raffinate, secondo luoghi e tempi, più o meno consapevoli. E riferimenti in tal senso non mancano nel libro della Bonnett ma la poesia che poi ne scaturisce amplia il campo visivo, dilata i riferimenti esistenziali. A essere debole, in fondo, è anche la vita. Per esempio qui è molto presente il tema della maternità, quello del tempo che passa e rende inutili gli oggetti, la stessa memoria ma la poesia (con la sua musica segreta) ha il potere (la magia?) di fissare nella retina immagini, di non lasciarle andar via e alla fine, pur nella certezza che ogni giorno finisce qualcosa di bello, si va avanti per la propria strada, magari utilizzando altri e imprevedibili stratagemmi.




POESIE DI PIEDAD BONNETT
da Tretas del débil / Stratagemmi del debole
Valparaíso Ediciones, Spagna 2013


*

Allí,
en aquel mundo que abría su grieta entre la bruma
yo vi manar el agua hirviente de la tierra,
la adormidera que se cerraba dócil a mi tacto,
la luciérnaga, metáfora del tiempo.

Allí ya estabas tú, temblando, aún sin palabras.


*

Lì,
in quel mondo che nella nebbia apriva la sua crepa
ho visto sgorgare l’acqua rovente della terra,
il papavero che docile al mio tocco si schiudeva,
la lucciola, metafora del tempo.

Lì già c’eri tu, tremando, ancora senza parole.


*

Tenía miedo de tu miedo
y miedo de mi miedo.

De tu castigo justiciero,
del brazo en alto
que pretendía detener mi llanto.

Cómo he temido luego la furia de los débiles.

Me regalaste un pájaro monstruoso
de alas sombrías y pico carnicero.

Alimentarlo
fue mi mejor manera de quererte.

El pájaro vigilaba mi jaula como un verdugo ávido.

Yo pensaba que el mundo era cosa de hombres,
mientras mis senos
crecían en abierta rebeldía.


*

Avevo paura della tua paura
e paura della mia paura.

Della tua punizione giustiziera,
del braccio sollevato
che avrebbe voluto frenare il mio pianto.

Come dopo ho temuto la furia dei deboli.

Mi ha regalato un uccello mostruoso
di ali ombrose e becco da macellaio.

Alimentarlo
è stato il miglior modo di amarti.

L’uccello vigilava la mia gabbia come un avido boia.

Pensavo che il mondo fosse una cosa da uomini,
mentre i miei seni
crescevano in aperta ribellione.


*

Mi hermana mira sus manos todos los días
cuando amanece. Una, otra vez
mira sus manos. La
procesión de leprosos pasó camino al alto
en peregrinación, rotas sus caras
donde brillan los ojos con el brillo vidrioso
de la muerte. Alguno pidió para su sed
un poco de agua, y el vaso
fue roto noblemente contra la piedra impávida.
La lepra es contagiosa. También
lo es la tuberculosis. Seis jovencitas bellas y tristes,
hermanas de la abuela, murieron una a una
en su casona. Agitaban sus manos
para decir adiós desde su encierro,
como aves blancas que vuelan a morir en otras costas.
Mi hermana mira, pues, el dorso de sus manos
espiando alguna mancha que anticipe la peste.
No lo sabíamos:
nacemos ya mordidos, hermana, por la muerte.


*

Mia sorella guarda le sue mani tutti i giorni
quando albeggia. Una volta, poi di nuovo
guarda le sue mani. La
processione dei lebbrosi che s’incammina verso la vetta
in peregrinazione, squarciati i loro volti
dove brillano gli occhi con la vetrosa lucentezza
della morte. Qualcuno chiese per la propria sete
un po’ di acqua, e il bicchiere
fu nobilmente rotto contro l’impavida pietra.
La lebbra è contagiosa. Lo è
anche la tubercolosi. Sei ragazzine belle e tristi,
sorelle della nonna, morirono una ad una
nella grande casa. Agitavano le mani
per dire ciao dalla reclusione,
come bianchi uccelli in volo per morire da un’altra parte.
Mia sorella guarda, dunque, il dorso delle sue mani
spiando qualche macchia che anticipi la peste.
Non lo sapevamo:
nasciamo già rosicchiati, sorella, dalla morte.


*

Desde la ventanilla del viejo bus
veo el mundo correr,

los árboles correr,
correr el viento,

el niño que dice adiós correr,
el postigo, la alambrada, el camino.

¿Son ellos
los que se van

son ellos los que huyen?

Mi hermana y yo llevábamos abrigos:
ella rojo y yo azul,

mi hermano duerme.

No lloren,
madre,
padre,

el llanto de un adulto es una piedra
en la espalda de un niño silencioso.


*

Dal finestrino del vecchio autobus
vedo il mondo correre,

gli alberi correre,
correre il vento,

il bambino che dice addio correre,
il battente, il reticolato, la strada.

Sono loro
quelli che se ne vanno?

Sono loro quelli che fuggono?

Mia sorella ed io portavamo cappotti:
lei rosso ed io azzurro,

mio fratello dorme.

Non piangete,
madre,
padre,

il pianto di un adulto è una pietra
sulle spalle di un bambino silenzioso.


*

No sabes lo que llevas
en tu valija. Cuando la abras
volarán golondrinas
y murciélagos a los que harás cantar
para espantar el miedo.


*

Non sai quello che porti
nella valigia. Quando l’aprirai
voleranno rondini
e pipistrelli e li farai cantare
così da spaventare la paura.


PÁGINA ROJA

En la fotografía del periódico veo el rostro desconocido,
tan desconocido como puede serlo el de un hombre de campo
para el que Bogotá era apenas una imagen remota.
Arriba el titular de la masacre. Abajo los detalles:
las manos amarradas a la espalda, el incendio del caserío,
la huída mansa de los vivos.
La frente es amplia. En sus veinte años
seguro que algún sueño la habitaba.
Milton era su nombre, y puedo estar segura
de que lo ignoró todo sobre el poeta ciego.
Los ojos perspicaces, la piel tersa, el óvalo aniñado.
Y alumbrándole el rostro, la risa poderosa, como barril de pólvora.
Con esos dientes sanos habría podido romper lazos más fuertes
que los de sus muñecas.
La muerte mancha ya de caries su blancura
y escarba hasta encontrar la fría luz del hueso.


PAGINA ROSSA

Nella fotografia sul giornale vedo il volto sconosciuto,
così sconosciuto come può esserlo quello di un uomo di campagna
per il quale Bogotá era soltanto un’immagine remota.
Sopra, l’esecutore del massacro. Sotto, i dettagli:
le mani legate dietro la schiena, l’incendio del borgo,
la mite fuga dei vivi.
La fronte è ampia. Nei suoi vent’anni
di sicuro qualche sogno lo abitava.
Milton era il suo nome, e posso esser certa
che nulla sapeva del poeta cieco.
Gli occhi perspicaci, la pelle tersa, l’ovale infantile.
E illuminandone il viso, la risata poderosa, come un barile di polvere da sparo.
Con quei denti sani avrebbe potuto spezzare lacci più forti
di quelli delle manette.
La morte già macchia di carie il suo pallore
e rovista fino a trovare la fredda luce dell’osso.


POR EL CAMPUS

Hace ya muchos días —me digo
mientras recorro las cinco cuadras de cada mañana—
que el hombre aquel de rostro hepático y lengua maldiciente
no ocupa ya su esquina. Habrá muerto tal vez.
Mientras tanto, han levantado este edificio rosa
aséptico y atroz. Y la mendiga de los siete perros,
la vieja bruja
que se alzaba la falda
y mostraba su pubis macilento
tampoco ha vuelto. Ni el abuelito aquel de las manzanas.
Todo esto pienso
mientras camino entre mis estudiantes
de caras siempre nuevas,
sintiendo, extrañamente, con leve escalofrío,
que unos ojos secretos desde siempre me miran.


PER IL CAMPUS

Sono già diversi giorni – mi dico
mentre percorro i cinque isolati di ogni mattina –
che l’uomo dal volto epatico e lingua mordace
non occupa più il suo cantuccio. Forse sarà morto.
Nel frattempo, hanno costruito questo edificio rosa
asettico e orrendo. E nemmeno l’accattona dei sette cani,
la vecchia strega
che sollevava la gonna
mostrando un pube macilento
è tornata. Né il nonno, quello delle mele.
Penso a tutto questo
mentre cammino tra i miei studenti
dai visi sempre nuovi,
avvertendo, stranamente, con un lieve brivido,
che degli occhi segreti da sempre mi osservano.


CONVERSACIÓN CON CLAUDIA

Dice Claudia que las tardes sombrías en que amenaza lluvia
nos tranquilizan. Todo en ellas es neutro, no hay lugar
para el desasosiego entre sus faldas grises.
Es cierto, Claudia.
En las tardes nubladas la vida pasa afuera con abierto desgano,
y el pitazo del tren
no levanta un polvero de nostalgias.
Resistimos la música de Schumann
sin que se desafine el corazón,
y el libro
que leemos
no nos hace llorar de forma intempestiva.
Las tardes frías
no nos asustan
como esta tarde de tirante cielo
en que el mundo parece detenido,
en que vibra la atmósfera con lucidez de vértigo,
en que todo es ajeno,
es inasible,
y el amor es de otros,
para otros es el cielo,
y se oye arder el fuego de sequía.
Habrá una tarde innumerable, Claudia,
libre de tedio y libre de tortura. Sin memoria, sin duelos, sin deseos.
Será brumosa y gris, sin sobresaltos.
Como raíces
beberemos el agua de la tierra,
ajenas a la luz que hoy nos lastima.


CONVERSAZIONE CON CLAUDIA

Dice Claudia che le sere ombrose che minacciano pioggia
ci tranquillizzano. In esse tutto è neutro, non c’è posto
per l’inquietudine tra le sue bigie sottane.
È vero, Claudia.
Nelle sere nuvolose la vita passa all’esterno con aperta indolenza,
e il sibilo del treno
non alza pulviscoli di nostalgie.
Resistiamo alla musica di Schumann
fin quando il cuore perde l’accordatura,
e il libro
che leggiamo
non ci fa piangere in modo inopportuno.
Le sere fredde
non ci spaventano
come questa dal cielo allungato
in cui il mondo sembra sospeso,
in cui vibra l’atmosfera con lucidità vertiginosa
in cui tutto è estraneo,
è inafferrabile,
e l’amore è di altri,
per altri è il cielo,
e si sente ardere il fuoco della siccità.
Ci sarà una sera smisurata, Claudia,
libera dal tedio e libera dalla tortura. Senza memoria, senza dolori, senza desideri.
Sarà brumosa e grigia, priva di sussulti.
Come radici
berremo l’acqua della terra,
estranee alla luce che oggi ci ferisce.


ORACIÓN

Para mis días pido,
Señor de los naufragios,
no agua para la sed, sino la sed,
no sueños
sino ganas de soñar.
Para las noches,
toda la oscuridad que sea necesaria
para ahogar mi propia oscuridad.


PREGHIERA

Per i miei giorni chiedo,
Signore dei naufragi,
non acqua per la sete, bensì la sete,
non sogni
bensì la voglia di sognare.
Per le notti,
tutta l’oscurità necessaria
per affogare la mia oscurità.


LOS HOMBRES TRISTES NO BAILAN EN PAREJA

Los hombres tristes ahuyentan a los pájaros.
Hasta sus frentes pensativas bajan
las nubes
y se rompen en fina lluvia opaca.
Las flores agonizan
en los jardines de los hombres tristes.
Sus precipicios tientan a la muerte.
En cambio,
las mujeres que en una mujer hay
nacen a un tiempo todas
ante los ojos tristes de los tristes.
La mujer-cántaro abre otra vez su vientre
y le ofrece su leche redentora.
La mujer-niña besa fervorosa
sus manos paternales de viudo desolado.
La de andar silencioso por la casa
lustra sus horas negras y remienda
los agujeros todos de su pecho.
Otra hay que al triste presta sus dos manos
como si fueran alas.
Pero los hombres tristes son sordos a sus músicas.
No hay pues mujer más sola,
más tristemente sola,
que la que quiere amar a un hombre triste.


GLI UOMINI TRISTI NON BALLANO IN COPPIA

Gli uomini tristi respingono gli uccelli.
Fin sulle loro fronti pensierose calano
le nubi
e si frantumano in sottile pioggia opaca.
I fiori agonizzano
nei giardini degli uomini tristi.
I loro abissi tentano la morte.
Al contrario,
le donne che ci sono in una donna
nascono tutte insieme
di fronte agli occhi tristi dei tristi.
La donna-anfora apre di nuovo il ventre
e gli offre il suo latte redentore.
La donna-bambina bacia entusiasta
le sue mani paterne di vedovo afflitto.
Quella che vaga silenziosa per la casa
lucida le sue ore nere e rammenda
tutti i nel suo petto.
Ce n’è un’altra che al triste offre le sue mani
come fossero ali.
Ma gli uomini tristi sono sordi alle loro musiche.
Non c’è infatti donna più sola,
più tristemente sola.
di colei che vuole amare un uomo triste.


FILOSOFÍA DE LA CONSOLACIÓN

Leo
que la plenitud es la desaparición de la carencia
y que sólo es feliz
quien ha perdido ya toda esperanza.
Los que así escriben
no pueden entender que de la herida
que duele y hiede nazcan abejas rubias
y que su miel
sea la poca luz que nos alumbra.
Ellos,
dueños de su circunferencia conquistada,
no saben
qué infecunda es la paz donde no habitas.


FILOSOFIA DELLA CONSOLAZIONE

Leggo
che la pienezza è l’annientamento dell’assenza
e che è felice soltanto
chi ha già perso ogni speranza.
Coloro che scrivono questo
non possono comprendere che dalla ferita
che duole e puzza nascono api bionde
e che il loro miele
è la flebile luce che ci illumina.
Loro,
padroni della propria conquistata circonferenza,
non sanno
che sterile è la pace che non vivi.


OFERTORIO

Como un regalo acepto tu silencio,
con todo
lo que contiene su rigor de roca.
Con todas las preguntas que caben en su círculo,
su arañazo, su lágrima y su vientre
de tambor que golpeo
y donde sólo el golpe me responde.
Como algo que es,
que no puede no ser
acepto tu silencio.
Con todo lo que tiene de respuesta,
de grito figurado, de impotencia,
de palabras cosidas con largos hilos falsos.

Porque todo
lo que un hombre quiere soñar cabe en el puño
cerrado del silencio.

Te ofrezco a cambio
todo el silencio que tu oído pide,
que tu corazón pide,
y de puntillas
salgo de ti.
(Yo, que siempre he creído en las palabras)


OFFERTORIO

Come un regalo accetto il tuo silenzio,
con tutto
quel che contiene il suo rigore di roccia.
Con tutte le domande che entrano nel suo cerchio,
il suo graffio, la sua lacrima e il suo ventre
di tamburo che percuoto
e dove solo il colpo risponde.
Come qualcosa che è,
che non può non essere
accetto il tuo silenzio.
Con tutto quel che ha di risposta,
di grido figurato, d’impotenza,
di parole cucite con lunghi fili falsi.

Perché tutto
quel che un uomo vuole sognare entra nel pugno
serrato del silenzio.

In cambio ti offro
tutto il silenzio che il tuo orecchio esige,
che il tuo cuore esige,
ed in punta di piedi
esco da te.
(Io, che sempre ho creduto nelle parole)


ALGO HERMOSO TERMINA

          Todos los días del mundo
          algo hermoso termina.

          Jaroslav Seifert

Duélete:
como a una vieja estrella fatigada
te ha dejado la luz. Y la criatura
que iluminabas
(y que iluminaba
tus ojos ciegos a las nimias cosas
del mundo)

ha vuelto a ser mortal.
Todo recobra
su densidad, su peso, su volumen,
ese pobre equilibrio que sostiene
tu nuevo invierno. Alégrate.
Tus vísceras ahora son otra vez tus vísceras
y no crudo alimento de zozobras.
Ya no eres ese dios ebrio e incierto
que te fue dado ser. Muerde
el hueso que te dan,
llega a su médula,
recoge las migajas que deja la memoria.


QUALCOSA DI BELLO FINISCE

          Tutti i giorni del mondo
          qualcosa di bello finisce.

          Jaroslav Seifert

Pentiti:
come a una vecchia stella spossata
la luce ti ha abbandonato. E la creatura
che illuminavi
(e che illuminava
i tuoi occhi ciechi alle futili cose
del mondo)

è tornata ad essere mortale.
Ogni cosa riacquista
la sua densità, il suo peso, il suo volume,
quel povero equilibrio che sostiene
il tuo nuovo inverno. Rallegrati.
Le tue viscere ora sono di nuovo le tue viscere
e non crudo alimento d’inquietudine.
Ormai non sei quel dio ebbro e ambiguo
che ti fu dato di essere. Mordi
l’osso che ti danno,
arriva al suo midollo,
raccoglie l briciole che la memoria abbandona.


Traduzione dallo spagnolo di Alessio Brandolini




Piedad Bonnett
è nata nel 1951 ad Amalfi, comune colombiano della provincia di Antioquia. Nel 1959 si trasferisce con la famiglia a Bogotá, dove studia Filosofia e Letteratura, Teoria dell’Arte e dell’Architettura. Nel 1989 ha pubblicato il suo primo libro di poesia De círculo y ceniza e nel 1994, con El hilo de los días, ha vinto il Premio Nazionale di Poesia.
Ha pubblicato otto raccolte poetiche e alcune antologie, tra le quali: Los privilegios del olvido (2008) e Poesía reunida (2015). Nel 2011 con Explicaciones no pedidas ha ricevuto in Spagna il Premio Casa de América de Poesía americana e nel 2014 il Premio “José Lezama Lima” de Casa de las Américas. Nel 2013 la casa editrice Valparaíso di Granada (Spagna) ha riproposto Tretas del débil, uscito la prima volta in Colombia nel 2004.
Ha pubblicato anche testi di critica letteraria, opere per il teatro – poi messe in scena dal Teatro Libre –, quattro romanzi: Después de todo (2001), Para otros es el cielo (2004), Siempre fue invierno (2007), El prestigio de la belleza (2010) e la testimonianza sul suicidio del figlio Daniel Lo que no tiene nombre (2013).


alexbrando@libero.it