FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia

Numero 39
luglio/settembre 2015

Svaghi & Feste

 

FESTA NEL GIARDINO
La poesia di Coral Bracho

di Chiara De Luca



Quello spazio, quel giardino, annuncia il titolo della raccolta poetica della messicana Coral Bracho, recentemente pubblicata in Italia (Kolibris, 2014) e in Messico nel 2006. Libro che per la sua compattezza si configura piuttosto come una sola poesia di ampio respiro e ci chiediamo dove voglia portarci la poetessa messicana, dove si trovino esattamente quello spazio, quel giardino. Ben presto ci rendiamo conto che l’autrice intende condurci nel mondo della sua infanzia, aprircene le porte segrete, invitandoci a entrare, a osservare ogni cosa; ci chiama a visitare l’eterno giardino dell’innocenza, situato fuori dal tempo e dallo spazio, eppure sempre presente, fisicamente presente. Così come sono fisicamente presenti i ricordi, i volti che sembrano materializzarsi da vecchie foto per poi tornare a sorridere, i bambini che ci sembra di sentir gridare e di veder correre a perdifiato nel giardino, il padre perduto, il padre guida muta, assenza onnipresente.

Tutto nella poesia di Coral Bracho è pervaso da una inesausta vitalità, anche la morte vi si personifica, e prende il suo legittimo posto tra le cose. Con questo suo canto sospeso, misterioso e spesso oscuro, la poetessa sembra voler entrare in contatto con l’anima degli oggetti, che tutto hanno visto e preservato, per guardare attraverso gli occhi delle finestre, schiudersi come le porte della casa, lasciando entrare le ombre, mai esorcizzate, bensì evocate.
Nella solitudine accogliente della notte i fantasmi non fanno più paura e i ricordi, in punta di piedi, vengono a trovarci e si fanno più vivi, più nitidi, come lo sono le storie dei bambini, in cui angeli e mostri convivono. Così come nella memoria convivono il dolore dell’assenza e la gioia della presenza che la perdita non ha potuto estinguere. E la realtà si trasfigura come neve che si scioglie.




POESIE DI CORAL BRACHO
da Quello spazio, quel giardino



*

–En la mirada que entrecruzan los niños,
en su fulgor,
frente al estanque iluminado.
Es la frescura de sus voces recorriendo el espacio, vertiendo
entre hondonadas de luz,
su azar de viento y de extensiones. Es la tersura
de sus voces ardiendo en desbandadas de gozo,
de brillo intacto, de plenitud.

Nada

toca,
entre las carnes de la vida, su centro,
nada lo alcanza y lo despeja,
como esas risas,
esas carreras embriagadas y eternas
que van urdiendo los jardines, los bosques,
las planicies que cimbran y atraviesan el tiempo.

Nada lo ciñe y lo ahonda como esos ecos. Ojos niños que irradian
infinitud.

Nada encarna en la vida
y la estremece; nada afirma su cuerpo y su sed, su voz,
como esa cifra de lo eterno en su centro:
un gesto puro
y claro.
Una mirada diáfana. Un arranque gozoso: Una gota,
un arroyo,
una corriente: Es el mar reverberando sus formas,
irguiendo en espesores de fuego sus masas,
su orbe
encabritado y frondoso; montañas de agua, de sol


*

– Nello sguardo che si scambiano i bambini,
nel suo fulgore,
di fronte allo stagno illuminato.
Nella freschezza delle loro voci che percorrono lo spazio, sfociando
in avvallamenti di luce,
è la loro unione di vento e d’estensioni. È lo splendore
delle loro voci che ardono in sbandamenti di gioia,
di lucentezza intatta, di pienezza.

Nulla

tocca,
nelle carni della vita il centro,
nulla lo raggiunge e rischiara,
come quelle risa,
quelle corse ebbre ed eterne
che vanno ordendo boschi, giardini
le pianure che fluttuano e attraversano il tempo.

Nulla lo cinge e scava come quegli echi. Occhi bambini che irradiano
infinità.

Nulla s’incarna in vita
e la scuote; nulla ne afferma il corpo e la sete, la voce,
quanto quella cifra dell’eterno nel suo centro:
un gesto puro
e chiaro.
Uno sguardo diafano. Un impulso gioioso: Una goccia,
un ruscello,
una corrente: È il mare che riverbera le sue forme,
ergendo in spessori di fuoco le sue masse,
il suo orbe
impennato e frondoso; montagne d’acqua, di sole


*

Es la máscara blanca
en el bosque de plata. En él se pierde y reaparece.
Es la tortuga de piedra
frente al azul; es el almendro contra el cielo.
Un bufón muestra
en la mano
el tallado cristal: se ven las máscaras numerosas,
su afilado perfil. Se ve el jaguar acechando
entre juncales.         Salta
el bufón a la luz
      y te ve a los ojos.


*

È la maschera bianca
nel bosco d’argento. In lui si perde e riappare.
È la tartaruga di pietra
di fronte al blu; è il mandorlo contro il cielo.
Un buffone mostra
nella mano
il cristallo intagliato: se ne vedono le faccette numerose,
il profilo affilato. Si vede il giaguaro appostato
tra i giunchi.         Balza
il buffone alla luce
      e ti guarda negli occhi.


*

Una línea se adentra

con su rojo averbal

en los contornos del paisaje.

Los ocres se abren;

la interrogan.


*

Una linea si addentra

col suo rosso averbale

nei contorni del paesaggio.

Gli ocra si aprono;

la interrogano.


*

Sobre la mesa blanca,
en su reflejo sostenido,
un nautilus. Su fluido arraigo, amplitud
y el áureo arrastre
de su centro.
En su vórtice vítreo: Un cuenco, un brillo
de incidencia.     Una semilla

de hilaridad.


*

Sul tavolo bianco,
nel suo riflesso sostenuto,
un nautilus. Il suo fluido attecchimento, ampiezza
e l’aureo trascinamento
del suo centro.
Nel suo vortice vitreo: un incavo, uno splendore
d’incidenza.     Un seme

d’ilarità.


*

Es la noche el lugar
que ilumina el recuerdo.

Es una vasta construcción
sobre el mar.      Es su despliegue

y su secuencia.
Amplios corredores se extienden sobre blancos pilares.
Las terrazas abiertas sombrean las olas,
y uno se interna y cruza
por insondables extensiones.

Va la mirada inaugurando los trazos,
van las pisadas centrando la inmensidad.
y su perfil
cambiante se va trabando.
y su emprendida solidez
nos va infundiendo una claridad: la del espacio
que se entrelaza. Vemos
transparencia en los muros, transparencia en las densas,
despiertas olas y una alegría nos roza como un augurio,
como la aleta fina y sigilosa
de un pez.

Es la memoria el viento
que nos guía entre la noche
y en ella funde
su tibieza: Nos va llevando,
nos va cubriendo con su aliento. Y es su suave premisa, su
levedad
la que entreabre esas puertas:

Balcones, cuartos,
aromados pasillos. Salas
de inextricable y nítida placidez.      Ahí,
entre esplendores recién urdidos,
bajo el espacio imperturbable, recobramos, a gatas,
la expresión de los muebles,
su redondeada complacencia:     Todo
nos cubre entonces
con una intacta
serenidad.      Todo
nos protege y levanta con gozosa soltura.
Manos firmes y joviales nos ciñen
y nos lanzan al aire, a su asombrosa, esquiva, lubricidad.
–Manos entrañables
y densas. Somos
de nuevo risas,
de nuevo rapto bullicioso,
acogida amplitud.

Todo
nos retoma y nos centra,
todo nos despliega y habita
bajo esos bosques
tutelares: Agua
goteando; luz
bajo las hojas intrincadas del patio.


*

È la notte il luogo
che illumina il ricordo.

È una vasta costruzione
sul mare.      È il suo dispiegarsi

e susseguirsi.
Ampi corridoi si estendono su bianchi piloni.
Le terrazze aperte ombreggiano le onde,
e ti addentri e attraversi
insondabili estensioni.

Va lo sguardo inaugurando i tratti,
vanno i passi centrando l’immensità
e il suo profilo
cangiante si addensa.
e la sua solidità nascente
ancora infonde in noi una chiarezza: quella dello spazio
che s’intreccia. Vediamo
trasparenza nei muri, trasparenza nelle dense,
onde sveglie e un’allegria ci sfiora come un augurio,
come la pinna sottile e segreta
di un pesce.

È la memoria il vento
che ci guida nella notte
e in essa fonde
il suo tepore: E ancora ci porta, ci copre,
col suo respiro. Ed è la sua soave premessa, la sua
levità
a schiudere quelle porte:

Balconi, stanze,
corridoi colmi di profumi. Sale
d’inestricabile e nitida quiete.      Qui,
tra splendori di recente orditi,
sotto lo spazio imperturbabile, riprendiamo, a carponi,
l’espressione dei mobili,
la loro smussata compiacenza:     Tutto
ci copre allora
di una intatta
serenità.      Tutto
ci protegge e solleva con gioiosa disinvoltura.
Mani ferme e gioviali ci cingono
e ci lanciano in aria, loro sorprendente, schiva, oscenità.
– Mani affettuose
e dense. Siamo
risa nuovamente,
nuovamente chiassoso rapimento,
accolta ampiezza.

Tutto
ci riprende e impernia,
tutto ci dispiega e abita
sotto quei boschi
tutelari: Acqua
gocciante; luce
sotto le foglie intricate del patio.


*

Cedro, sándalo,
acendrado eucalipto.
Ahí volvemos,
ahi enredamos nuestras voces. Y un bienestar
incontenible, una ceñida plenitud
nos embriaga.
Somos, entre esos trazos, inmensidad.
Somos su deslumbrada coyuntura.
y así cruzamos,
rodeando siempre ese centro,
bordeando siempre esa calidez, ese meollo intacto
de hacinada ternura, por la noche sin fin,
por sus pasillos
insondados. Así volvemos:
por el lugar
que han conservado aquí,
que han emprendido aquí
para nosotros.


*

Cedro, sandalo,
puro eucalipto.
Qui torniamo,
qui aggrovigliamo le voci. E un benessere
incontenibile, una moderata pienezza
c’inebria.
Siamo, tra quei tratti, immensità.
Siamo la sua abbagliata congiuntura.
e così attraversiamo,
sempre ruotando attorno a quel centro,
sempre costeggiando quel calore, quel nucleo intatto
di addensata dolcezza, per la notte senza fine,
per i suoi corridoi
insondabili. Così torniamo:
per il luogo
che qui hanno conservato,
che qui hanno preso
per noi.


*

Ellos, los muertos, nos miran con sus ojos ahondados,
con su encendido corazón, y un desconcierto de niños,
un sobresalto desolado nos toca,

una tristeza oculta.
¿Dónde?
¿Dónde dejamos ese espacio?
y en sus ojos precisos y extrañados miramos
esa mi sma pregunta:

¿Dónde? ¿Dónde dejamos,
dónde dejamos ese espacio?


*

Loro, i morti, ci guardano con occhi inabissati,
col cuore incendiato, e uno sconcerto di bambini,
un sussulto desolato ci tocca,

una tristezza occulta.
Dove?
Dove lasciamo questo spazio?
E nei loro occhi precisi e alienati vediamo
quella stessa domanda:

Dove? Dove lasciamo,
dove lasciamo quello spazio?
>p>
*

Ojos de jaguar son las hojas que cimbra el viento.
Fuego las deslumbradas mariposas.

Y su voz se abre a un hondo cavilar de la tierra,
a un hondo y tierno rememorar: lo que guarda,
lo que protege;       lo que ahora nace
entre las sombras.

Es su canto ancestral una cascada suave,
una ventana abierta a los cantiles del sol.
Todo
era incendio entonces:
los juegos, las buganvilias, los ígneos cercos
de los tabachines.

Como un jaguar que en la noche
se desplaza entre lirios. Como jazmines
que enciende el viento
sus palabras se tocan: Su canto fluye
y nos despierta.


*

Occhi di giaguaro sono le foglie che scuote il vento.
Fuoco le farfalle abbacinate.

E la sua voce si apre a un profondo meditare della terra,
a un profondo e dolce ricordare: quello che serba,
quello che protegge;       quello che ora nasce
tra le ombre.

Nel suo canto ancestrale una cascata soave,
una finestra aperta alle cantilene del sole.
Tutto
era incendio in quel momento:
i giochi, le buganville, i cerchi ignei
delle poinciane.

Come un giaguaro che nella notte
si muove tra i gigli. Come gelsomini
che incendia il vento
le sue parole si toccano: Il suo canto fluisce
e ci sveglia.


* Una línea muy fina es el crepúsculo.

Rojo

sobre un sepia
animal.


*

È una linea sottilissima il crepuscolo

Rosso

su un seppia
animale.


*

¿Y qué
si aquel que cruza entre los setos;
si aquel que baja
y se detiene ante el brocal hundido de la muerte
    es un niño?
¿ Y si esa niña que vuelve,
cruza la sala, el cerco
de miradas, de luto      –ella,
la que rehuía su rastro,
su peso ahí,
su hueco oscuro, corriendo,
volteando y corriendo a trechos entre muebles sin gesto?
¿Ella, en quien un hondo pozo de ternura se enreda ya
y urde veneros y raicillas, profundos huertos– entra
tiritando,
a esa sala, y de ahí la entrevé:
Un peldaño de hielo
y otro?


*

E cosa
se quello che passa tra le siepi;
se quello che scende
e si trattiene davanti alla bocca sprofondata della morte
    è un bambino?
E se quella bambina che torna,
attraversa la sala, il cerchio,
degli sguardi, di lutto       – lei,
che sfuggiva la sua traccia
il suo peso lì,
il suo vuoto oscuro, correndo,
volteggiando e correndo a grandi falcate tra mobili privi di gesto?
Lei, in cui un profondo pozzo di dolcezza già s’invischia
e ordisce radichette e venature, profondi orti – entra
rabbrividendo,
in quella sala, e da lì la intravide:
un giardino di ghiaccio
e un altro?


*

Todo el peso,

el delirio, de la piedra,         su vastedad,
se transparenta.
Todo el reflujo ardiente de la piedra.

Es trazos leves y frescura
la montaña; su luz.
Lenta cascada entre la calma su ceñido cristal.
Lenta, torneada flama
su interno gesto contenido:         Mar
que resguarda. Aliento intacto
que protege.
Brasa profunda que fluye y se alza
desde otro tiempo,
bajo otro rapto, otras fisuras.
Todo el deslave pétreo de las nubes,
su torneada unidad.


*

Tutto il peso,

il delirio, della pietra,         la sua vastità,
traspare.
Tutto il riflusso ardente della pietra.

È tratti lievi e freschezza
la montagna; la sua luce.
Lenta cascata nella calma il suo denso cristallo.
Lenta, tornita fiamma
il suo interno gesto contenuto:         Mare
che protegge. Respiro intatto
che protegge.
Brace profonda che fluisce e si leva
da un altro tempo,
sotto un altro rapimento, altre fessure.
Tutta la pietrosa frana delle nubi,
la sua tornita unità.


*

O ante esa atenta avidez, desde esa noche

–ardiendo aún sobre los cerros–
una cascada de caballos:

alaridos, antorchas; vienen
a galope, entre la lluvia, es el rey, son los cristianos
en torrentes, por fin,

grandes arroyos negros.

Y ahí, en el centro, en esa lanza
–como un rescoldo
inverosímil
(su estridencia), como un error
irreparable,
una fractura fulgurante su sesgo añil–
la cabeza del moro.

Baja la reina a la capilla,
llegan las damas. Se alza, cauto, el rumor
de los espectadores. (Algo
ficticio tiembla, se enciende dentro)

Y es el bufón que observa entre las matas
y rompe el hilo: caen los caballos,

caen las máscaras. Se alzan
los tenues velos.
(Como un rescoldo
inextinguible; como un candil.)

Rompe
el bufón la red
de los espectadores. –Pliega los toldos, los asientos.
Barre el alarde de los puestos.

Entre las formas tenues de las piedras
bajamos.
La noche se abre en la ladera;

en su tibia humedad.


*

O prima di quell’attenta avidità, da quella notte

– ancora ardente sulle colline –
una cascata di cavalli:

urla, torce; vengono
al galoppo, nella pioggia, è il re, sono i cristiani
a torrenti, infine,

grandi ruscelli neri.

E lì, nel centro, in quella lancia
– come una brace
inverosimile
(il suo strepito), come un errore
irreparabile,
una frattura folgorante il suo cupo indaco –
la testa del moro.

Scende la regina alla cappella,
arrivano le dame. Si alza, cauto, il mormorio
degli spettatori. (Qualcosa
di fittizio trema, s’incendia dentro)

Ed è il buffone che osserva tra i cespugli
e spezza il filo: cadono i cavalli,

cadono le maschere. Si alzano
i sottili veli.
(Come una brace
inestinguibile; come una lucerna.)

Rompe
il buffone la rete
degli spettatori. – Piega le tende, le sedie.
Spazza via lo sfarzo dei vestiti.

Tra le forme sottili delle pietre
scendiamo.
La notte si apre sul pendio;

nella sua tiepida umidità


*

O aquella calma retenida:
los peldaños, las voces,
el reflejo del mar.
Las secuencias que fluyen, ágiles.
Es una alcoba, luego una estancia que se extiende
entre el olor de arena.
Los espacios convergen;
se integran en esa trama, la respiran;
dejan su honda quietud.
Y de pronto, en los bordes,
las sombras cambian.

Cambian la utilería, los parlamentos...

    –Y es el perro faldero del conserje
el que tira las mantas,
el que esparce el vestuario, las pinturas.              Es el niño
que juega
entre los andamiajes.

     Es la puesta del sol.

El tramoyista que entró y volteó el espejo.

–Y algo en ese exacto cristal,
en ese encuadre, se altera, se estremece.


*

Oh quella calma trattenuta:
i gradini, le voci,
il riflesso del mare.
Le sequenze che scorrono, agili.
È un’alcova, poi una stanza in estensione
nell’odore di sabbia.
Gli spazi convergono;
si integrano in quella trama, la respirano;
lasciano la sua profonda quiete
E a un tratto, sui bordi,
cambiano le ombre.

Cambiano l’utensileria, i parlamenti...

    – Ed è il cane da compagnia del custode
quello che tira le coperte,
quello che sparpaglia il vestiario, i dipinti.        È il bambino
che gioca
tra le impalcature.

     È il tramonto del sole.

L’attrezzista che entrò e capovolse lo specchio.

– E qualcosa in quell’esatto cristallo,
in quell’inquadratura, si altera, trema.


Traduzione dallo spagnolo di Chiara De Luca


Coral Braco, Quello spazio, quel giardino, a cura di Chiara De Luca, Edizioni Kolibris 2014, pagg. 91, euro 12.




Coral Bracho
È nata a Città del Messico nel 1951. Tra i suoi libri di poesia ricordiamo: Peces de piel fugaz (1977); El ser que va a morir (1982); Tierra de entraña ardiente (1992 - in collaborazione con la pittrice Irma Palacios); il volume che riunisce i titoli precedenti Huellas de luz (2006); La voluntad del ámbar (La volontà dell’ambra, 1998); Ese espacio, ese jardín (2003); Cuarto de hotel (2007); Si ríe el emperador (2010); Marfa,Texas (2015); Zarpa el circo (2015, in collaborazione con il pittore Vicente Rojo).
Ha pubblicato inoltre i libri per bambini: Jardín del mar (1993) e A dónde fue el ciempiés (2007). Ha ricevuto una borsa di studio dalla Fondazione Guggenheim e in Messico dal Sistema Nazionale di “Creadores de Arte”. Tra i vari premi letterari ricevuti si segnalano: il «Premio Xavier Villaurrutia» (2003), il «Premio Nacional de Poesía Aguascalientes» (1981), il «Premio Internacional de Poesía Jaime Sabines-Gatien Lapointe» (Quebec 2011) e il «Premio Internacional de Poesía Zacatecas» (2011).
Suoi testi sono stati inseriti in antologie latinoamericane e suoi libri sono stati pubblicati in diverse lingue.

chiadeluca@hotmail.com