FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia

Numero 39
luglio/settembre 2015

Svaghi & Feste

 

LA PAROLA IL SEGNO
La poesia di Hamid Tibouchi

di Viviane Ciampi



Talvolta pittura e poesia vanno di pari passo; attingono alla stessa sorgente; parola e segno grafico si sposano e diventano corpo unico. A tal punto che l’artista-poeta dichiara: «scrivo quadri e dipingo libri» e ancora «Accade che la poesia tralasci le parole / per abbandonarsi al naturale / nelle materie di un quadro / allora si purifica». Quindi chi scrive si trova nell’impossibilità di parlare del poeta dimenticandosi l’artista e viceversa. Si capisce, infatti, che ogni giorno Tibouchi si presenta all’appuntamento dell’arte, in qualsiasi forma essa si manifesti.

Nel libro l’infini palimpseste di Pierre-Yves Soucy, vi sono pagine di un’opera critica di grande pregnanza sul lavoro artistico di H.T, dove si possono incontrare le prime tracce del suo itinerario.
Poiché – si sa – le esperienze fatte nell’infanzia sono fondamentali: Tibouchi, che nasce in Algeria prima di stabilirsi definitivamente in Francia, frequenta per poco tempo la scuola coranica e in quell’occasione, la vista della tavola del corano, del calamo e dell’inchiostro scuro, lo smarkh, lo perseguitano da sempre: «Il mio lavoro in quanto pittore porta ancora i segni della gestualità della calligrafia, con una predilezione per il bianco vinilico o acrilico (in ricordo del caolino con cui venivano impregnate le tavole coraniche e per il mallo di noce che somiglia molto allo smakh».



Un'opera di Tibouchi


Tuttavia, pur non amando le definizioni («[…] chi può dire di preciso che cosa sono la pittura o la poesia?») parla di sé come un non-calligrafo: «Non sono un calligrafo nel senso che non calligrafo né parole né testi in alcuna lingua e in nessuno stile di scrittura alla maniera di un calligrafo professionale. Anche se, per le loro forme, le mie scritture fanno talvolta pensare a quelle già esistenti come l’arabo o il cinese. Così preferisco designarle con il termine di ‘di-scritture’ visto che sono assolutamente aleatorie e illeggibili.

Nei suoi versi da scultore del silenzio, dall’andamento sommesso (come sommessa è la voce, persino tenera e affettuosa quando li recita, in contrasto – spesso – con gli accadimenti, forse come antidoto all’odio perpetrato nei secoli?) affiorano i giorni dell’infanzia durante la guerra d’Algeria, con il sentimento dolente delle violenze, delle umiliazioni: «senza bussare entrano / violentemente / quanti sono / dieci     quindici». Perché la poesia non mette al riparo dalla Storia.

A tratti però, i versi prendono un andamento più leggero per non dire ironico, scanzonato ed avviene come nella pittura «cantiere precario che segnala diverse traiettorie per sempre imprevedibili » (Pierre-Yves Soucy). Sentiamolo allora: « Sogno / a tentoni / cerco / le tettine». Talvolta lascia apparire il vezzo di non prendersi sul serio: «Pazientemente, metodicamente, mi preparo a essere spontaneo». Inoltre: «Per carità, evitare lo stile. Chiudersi in uno stile è borbottare nelle convenzioni ereditate da alcuni o che noi stessi abbiamo create». E questo era anche il motto del nostro Edoardo Sanguineti: «Il mio stile è non avere stile».
La cifra di Hamid Tibouchi è la grazia e la visione naturale di un personalissimo discorso. Il discorso di colui che osserva il mondo in assoluta trasparenza, con testi brevi o brevissimi che si depositano con discrezione nell’animo di chi legge.




POESIE DI HAMID TIBOUCHI


FUGACITÉ

juste
au-dessus
des toits
poussé par
le mistral
un nuage
est passé
qui avait
les formes
de la Grande
Odalisque
de
Jean-
Auguste-
Dominique
Ingres
vue
de dos
bras longs
corps étiré
avec même
trois
vertèbres
en plus


FUGACITÀ

appena
al di sotto
dei tetti
spinto dal
maestrale
una nuvola
è passata
che aveva
le forme
della Grande
Odalisca
di
Jean-
Auguste-
Dominique
Ingres
vista
di spalle
braccia estese
corpo allungato
con perfino
tre
vertebre
in più


TERRAIN FERTILE

larges coups de brosse
équations et phrases évaporées
nuages de craie sur ciel de nuit
place enfin à l’imagination


TERRENO FERTILE

larghi colpi di spazzola
equazioni e svaporate frasi
nuvole di gesso su cielo notturno
spazio sia all’immaginazione


CIEL D’ENCRE ET NUAGES

lune
à l’embrasure
cette peur soudain
que survienne on ne sait quoi


CIELO D’INCHIOSTRO E NUVOLE

luna
sullo stipite
d’un tratto la paura
che un qualcosa avvenga


CALLIGRAPHIE

allégeant le pommier
de quelques branches lourdes
que je débite au sécateur
en petit bois pour l’hiver

sur la pelouse
les branchages enchevêtrés
entrelacs d’une calligraphie
d’amour de vie et de mort


CALLIGRAFIA

alleviando il melo
di alcuni pesanti rami
che taglio con le cesoie
in piccola legna per l’inverno

sul prato
la ramaglia attorcigliata
intrecci di una calligrafia
d’amore di vita e di morte


LES SOLDATS

la porte de la maison
est ouverte
elle reste toujours ouverte
donc ils entrent

sans frapper ils entrent
violemment
combien sont-ils     dix     quinze
armés jusqu’aux dents

ils cherchent disent-ils des armes
des rebelles que l’on aurait cachés
ils bousculent ma mère
mettent tout sens dessus-dessous

n’ayant rien trouvé
ils s’en prennent à nos réserves
pour l’hiver     huile     semoule
olives et figues sèches

les répandent par terre
c’est toujours ça
que les rebelles
n’auront pas

ils repartent les brutes
— raffut     éclats de rires
cliquetis des armes —
avec les bijoux de ma mère


I SOLDATI

la porta della casa
è aperta
è sempre aperta
quindi entrano

senza bussare entrano
violentemente
quanti sono     dieci     quindici
armati fino ai denti

cercano dicono delle armi
ribelli che sarebbero stati nascosti
spintonano mia madre
mettono tutto a soqquadro

non avendo trovato nulla
se la prendono con le nostre provviste
per l’inverno     olio     semola
olive e fichi secchi

le sparpagliano per terra
tutta roba
che i ribelli
non piglieranno

ripartono gl’infami
– baccano     risate
picchiettio delle armi –
con i gioielli di mia madre


CELLE DE L’OMBRE

      D’ici et maintenant,
      à Tahar Djaout : Quoi écrire
      qui ne soit indécent ?
la bête
immonde
gagne
du terrain

insensiblement
sournoisement
en une lente très lente
avancée désertique

elle grignote
chaque jour
un peu d’espace
de liberté

en cercles
concentriques
elle se rapproche
du foyer

la nuit
elle lance
ses flèches
empoisonnées

sans bruit
elle les
projette
telles des lucioles

à la faveur de la nuit
elle s’étire     &     à l’intérieur
de nos organes vitaux
dépose sa vermine qui

instantanément
machinalement
se met à ronger
doucement mais sûrement

c’est ainsi
que la bête innommable
— en même temps que le désert —
gagne lentement du terrain


QUELLA DELL’OMBRA

      Da qui e ora,
      a Tahar Djaout: Che cosa scrivere
      che non sia indecente?
la bestia
ignobile
guadagna
terreno

insensibilmente
subdolamente
in una lenta molto lenta
avanzata desertica

mangiucchia
ogni giorno
un po’ di spazio
di libertà

in cerchi
concentrici
si avvicina
al focolare

la notte
lancia
le sue frecce
avvelenate

senza rumore
le
proietta
come lucciole

a favore della notte
si sgranchisce     &     all’interno
dei nostri organi vitali
depone il suo verme che

repentinamente
meccanicamente
si mette a rosicchiare
dolcemente ma sicuramente

è così
che la bestia inqualificabile
– unitamente al deserto –
guadagna lentamente terreno


MAISON DE LA POÉSIE

      à Jacques Fournier
oubliées presque
remontées de très loin à ma bouche
malgré moi     terreurs paniques
angoisses fossilisées

la poésie c’est aussi cela
raviver des instants
de vie passée
enfouis en soi

l’oued Soummam presque à sec en été
pouvait entrer en crue
et sans crier gare
inonder le village de Sidi-Aïch

la mémoire de même — comment
la contenir — parfois déborde
réclamant la parole
pour la paix

la frustration alors
car le temps nous est compté
de ne pouvoir tout dire
de toutes les blessures anciennes


CASA DELLA POESIA

      a Jacques Fournier
quasi dimenticate
risalite dalle lontananze fino alla mia bocca
mio malgrado     paure da panico
angosce fossilizzate

la poesia è anche questo
ravvivare istanti
di vita passata
seppelliti in noi

l’oued Soummam quasi a secco in estate
poteva crescere
senza avvertire
inondare il villaggio di Sidi-Aïch

anche la memoria – come
contenerla – talvolta straripa
reclamando la parola
per la pace

l’avvilimento quindi
poiché il tempo ci è calcolato
di non poter dire tutto
di tutte le antiche ferite


ON N’EST PLUS AU MOYEN ÂGE

une idée à deux balles
un trait de plume juste pour rire
amorcer le pilpoul
chercher la petite bête

ou bien pour tarabuster
la bêtise     l’obscur
mettre en porte-à-faux
les croyances moyenâgeuses

— une pluie de balles
d’acier     en riposte
pour trouer un homme
une femme     une simple idée

pour effacer un trait maladroit
dieu     n’est-ce pas
disproportionné
cher payé


NON SIAMO PIÙ NEL MEDIOEVO

Un’ idea da due soldi
un tratto di penna solo per ridere
ragionare col pilpul
cercare il pelo nell’uovo

oppure per importunare
la stupidità     l’oscurità
per rendere strampalate
le credenze medievali

– una pioggia di pallottole
d’acciaio     come risposta
per far fuori un uomo
una donna     una semplice idea

per cancellare un tratto maldestro
dio     non è
sproporzionato
pagato a caro prezzo

(Inediti)




*

J’écris mais n’ai rien à dire de précis
si je ne cesse d’écrire c’est sans doute pour justement
tenter de saisir ce pour quoi j’écris
à moins que ce ne soit pour essayer d’éviter que ne se comble
le fossé qui me sépare de la mort
oui je crois que j’écris pour rester en vie     un peu comme
la sentinelle dans la nuit fait les cent pas pour rester éveillée


*

Scrivo ma non ho niente da dire di preciso
se non smetto di scrivere è probabilmente per appunto
tentare di agguantare ciò per cui scrivo
a meno che non sia per tentare di evitare che si colmi
il fossato che mi separa dalla morte
sì credo ch’io scriva per rimanere in vita     un po’ come
la sentinella nella notte fa i cento passi per rimanere sveglia.


*

Ce dimanche nous avons accroché
des rideaux aux fenêtres qui jusque-là
n’en avaient pas     des voiles transparents
pour nous protéger de la barbarie


*

>b>Questa domenica abbiamo fissato
le tende alle finestre che fin qui
non avevano     veli trasparenti
per proteggerci dalla barbarie


*

Et si les mots n’étaient plus que des taches     et si les lignes
devenaient des sentiers     les pages des paysages     les chapitres
des géants de pierre de l’île du Silence     et les livres de grands
oiseaux sauvages annonçant la venue du printemps


*

E se le parole non fossero più che macchie     e se le linee
diventassero sentieri     le pagine paesaggi     i capitoli
giganti di pietra dell’isola del Silenzio     e i libri grandi
uccelli selvatici che annunziano l’arrivo della primavera


*

Un fil
me relie
à mon enfance
le barbelé


*

Un filo
mi riallaccia
all’infanzia
quello spinato


*

L’ancêtre qui a cardé celle qui a filé
celui qui a cousu et qui nous a tendu le fil
et l’aiguille
nous sommes tenus de continuer la chaîne
libre à chacun de trouver une nouvelle
manière de faire
le fil rompu c’est la fin de l’histoire


*

L’avo che ha cardato colei che ha filato
colui che ha cucito e ci ha teso il filo
e l’ago
siamo costretti a continuare la catena
liberi ciascuno di trovare un nuovo
modo di farlo
il filo rotto è la fine della storia


*

Un peu partout dans le monde
les massacres se suivent
et se ressemblent     je ne sais plus
quelle guerre on est


*

Un po’ ovunque nel mondo
le stragi si susseguono
e si assomigliano     non so più
che guerra siamo

da Nervures, Les écrits des forges, Ed. Autres temps 2010


Traduzione dal francese di Viviane Ciampi




Hamid Tibouchi
Artista e poeta, nato nel 1951 in Algeria, vive e lavora in Francia dal 1981. La sua produzione si fa presto abbondante e proteiforme: poesia, pittura, disegni, incisioni, fotografie, libri d’artista, libri oggetto, scenografie teatrali, vetrate, illustrazioni di libri.
Ha collaborato a numerose riviste e antologie. La sua poesia è stata oggetto, in Italia, di uno studio, «Tematiche di Hamid Tibouchi» da parte di Patrizia Martini, apparso ne «Le rose del deserto. Saggi e testimonianze di poesia magrebina contemporanea d’espressione francese» (sotto la direzione di Giuliana Toso Rodinis).
Alcune sue poesie sono state tradotte in varie lingue (arabo, inglese, spagnolo, ungherese, tedesco, islandese…). Autore di una ventina di raccolte. Tahar Djaout dice di lui: «è il poeta più esigente e avventuroso della sua generazione».

(foto di Lino Cannizzaro)

viviane.c@alice.it