FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia

Numero 38
aprile/giugno 2015

Silenzio

 

L’OCCHIO DI CELAN
La poesia di Susana Szwarc

di Alessio Brandolini



L’occhio di Celan [El ojo de Celan] è l’ultima raccolta poetica (uscita nel 2014) dell’argentina Susana Szwarc dai testi in movimento (già dai titoli: “Passeggeri”, “Andare e venire”, “Verso dove”, “La pista”), in fuga o in cerca degli interstizi della Storia (“sempre estranea”), di qualcosa di rilevante, foss’anche un frammento, un residuo: di memoria, di un gesto semplice e autentico. Anche se poi la voglia di raccontare si sfida (e si confronta) con quella di “tapparsi la bocca” e dar fuoco a tutto. Un atto giocoso più che ribelle, utile a rimettere al centro della scena la parola scritta, vivacizzandola con una luce particolare: un taglio obliquo che ne esalta il profilo ammaccato dal flusso dei ricordi o le novità del contesto attuale, della vita quotidiana. L’occhio scruta, mette a fuoco cose, fatti, azioni ma sono le parole a ricostruire e a frantumare i pensieri originati da una prima impressione, a demolire il luogo comune, la superficialità di un giudizio, il senso di un’immagine rimasta impigliata nella rètina oculare e, quindi, nella mente.

Da sempre il linguaggio della poesia attraversa paludi, deserti, steppe inaccessibili e anche L’occhio di Celan propone i propri particolari tragitti: desueti, strani, immaginifici, teatrali e per farlo utilizza dialoghi; nonsense e affermazioni lapalissiane; versi espressionistici (“i morti sono ancora crudi?”); parole fonosimboliche; domande sparate a raffica per ammorbidire il nemico: il silenzio quando significa cancellazione del passato (e dei suoi orrori). Così la memoria si fa “materiale” (titolo di una poesia della raccolta), palpabile, di carne e ossa. Allora si parla della Polonia (terra d’origine dell’autrice), di genitori che cercano la lingua materna, di Auschwitz. Camminando ci si svaga: “distratta mi allontano e mi avvicino”. Ci si stacca – senza perderli – dai ricordi, stando seduti sul cielo “a testa in giù”. Un po’ angelo, un po’ acrobata che si diverte e diverte chi lo osserva, forse un Tu infantile, nel senso di puro, disponibile a riempire il silenzio e lo spazio (“la propria geografia”) con il gioco o la poesia che è cibo da assaporare lentamente, senza nemmeno il bisogno di capirlo.

Nel suo laboratorio di parole l’autrice argentina fa poesia mescolando la vita domestica a una esuberante fantasia; le immagini dell’occhio ai suoni; i segnali del proprio corpo ai molteplici segni circostanti. Il movimento non si arresta e avanzando mostra altri scenari. Ci si distrae raccogliendo frammenti, così da stare allegri “e non andare in pezzi”, per viaggiare pur restando immobili, chiusi in casa (“uno può tornare senza essersene mai andato?”). Parole in movimento e le poesie che tracciano strade, riportano colloqui, proseguono la loro marcia ma, viene da chiedersi, “verso dove?”, che è il titolo della poesia che chiude la silloge qui proposta. Celan, amato e citato (fin dal titolo del libro) da Susana Szwarc, così rispose: «Le poesie sono in cammino verso qualcosa di aperto, dove vi sia spazio da occupare, forse verso un Tu a cui possa rivolgersi la parola, verso una realtà prossima alla parola».

Con il suo il suo linguaggio giocoso Susana Szwarc crea suadenti e spiazzanti “scene” poetiche e tratteggia con agile ironia (mai forzata, mai eccessiva), i personaggi che affollano le pagine del libro. Come quell’uomo che se se ne va in giro con la testa tra le mani, una testa che conserva i “tagli della memoria”.




POESIE DI SUSANA SZWARC
da El ojo de Celan
(Alción Editora, Argentina 2014)


PASAJEROS

Se nos cansó, decimos, el caminar.
Pares, impares, acostados
miramos las estrellas.
Me arrimo a tu omóplato:
hay un sitio para descansar, digo
y saltamos al vagón.

Esos chicos del tren juegan: bailan
ahora sobre mi esternón
y reímos de los panes en las bolsas.

Residuales, eso somos esta noche,
este día. Y estamos contentos.
Las hojas del árbol, amarillas, entran
por las ventanas, adornan
los cuerpos.

Es de noche, es de día,
los gorriones en las ramas saltan.
Uno vuela sobre la hoja que cae.


PASSEGGERI

Ci si stancò, diciamo, il camminare.
Pari, dispari, distesi
osserviamo le stelle.
Mi avvicino alla tua scapola:
c’è un luogo per riposare, dico
e saltiamo sul vagone.

I ragazzi del treno giocano: ballano
adesso sul mio sterno
e ridiamo del pane nelle borse.

Residui, ciò che siamo questa notte,
questo giorno. E siamo contenti.
Le foglie dell’albero, gialle, entrano
dalle finestre, adornano
i corpi.

È notte, è giorno,
i passeri sui rami saltellano.
Uno vola sulla foglia che cade.


¿HACIA DÓNDE?

Ningún nanómetro alcanzaría para cifrar la distracción.
Árboles. La caída de otro nido sobre la vereda. El fragmento
del nido sobre una rama. La hija que fotografía el nido.
Un cuadro: eso habrá de hacer, enmarcarse, enmarcarlo.
La madre atrasa las escaleras. Se ha trepado y salta
hasta aquí: canta.
Canta una melodía a su antojo. Me sigue me sigue,
la melodía está en mis pies.
(Huyamos: distraídas completamente saldremos
de ese trazo).

Que venga el tasador, que tase la distracción.
Sin herramientas – dirá– y el cielo es celeste.
El cielo es el techo, reclamo mi parte,
la parte que tiraste, distraída no encuentro ni una sobra,
distraída me alejo y me acerco. Es en la hamaca donde
se destina el recorrido. No se agota, no se agota ni más
ni menos que vos en tu anemia, en tu ayuno.


VERSO DOVE?

Non esiste nanometro che possa decifrare la distrazione.
Alberi. La caduta d’un altro nido sul sentiero. Il frammento
del nido su un ramo. La figlia che fotografa il nido.
Un quadro: questo dovrà farà, incorniciarsi, incorniciarlo.
La madre retrocede la scala. S’è arrampicato e salta
fin qui: canta.
Canta una melodia a suo capriccio. Mi segue mi segue,
la melodia mi sta tra i piedi.
(Fuggiamo: completamente distratte usciremo
da quella linea).

Che venga il tassatore e che tassi la distrazione.
Senza arnesi – dirà – ed il cielo è celeste.
Il cielo è il tetto, reclamo la mia parte,
la parte che hai buttato, distratta non trovo nemmeno un avanzo,
distratta mi allontano e mi avvicino. È sull’amaca dove
si decide il percorso. Non si esaurisce, non si esaurisce né più
né meno che tu nella tua anemia, nel tuo digiuno.


LA PISTA

Se cancelaron tres regiones del impactar: oye
y mira alrededor: ¿se rompieron los vasos
de la casa? ¿Se cayeron los libros de la silla?
Busca el momento adecuado para salir corriendo.
No caerse, no hacerse tres veces trizas.
No hundirse en los tres próximos aljibes.

De madrugada regresa, asaltada
por el poder incómodo de la geografía.


LA PISTA

Nell’impatto si sono cancellate tre regioni: sente
e guarda intorno: si sono frantumati i bicchieri
della casa? Sono caduti i libri dalla sedia?
Cerca il momento giusto per uscire di corsa.
Non cadere, non andare in pezzi.
Non affondare nelle tre prossime cisterne.

Di buon mattino ritorna, assaltata
dallo scomodo potere della geografia.


CAE

de mirar
tanta
luz

se lastima

(lástima no me tengan dice justo ahora
que antes se me descosió dice el ruedo
justo ahí muestra su invisible
ala)


CADE

a forza di guardare
tanta
luce

si ferisce

(peccato che non tengano dice giusto ora
che prima mi s’è scucito l’orlo dice
proprio lì mostra la sua invisibile
ala)


EL CALOR

Dicen que el calor
en su aire sube.
Dicen que nadie
fundó el calor
y me río, pero subo (subo)
para evitar lo frío,
lo necio (¿tuyo?)
lo vano (¿de mí?), lo miedo.

Entre ramas
que buscaron abrigo estoy
y bien, huelo.

Sentada en el cielo raso
cabeza abajo
te leo.


IL CALDO

Dicono che il caldo
salga nella sua aria.
Dicono che nessuno
fondò il caldo
e rido, ma salgo (salgo)
per evitare il freddo,
l’ignoranza (tua?)
la vanità (di me stessa?), la paura.

Tra rami
che cercarono riparo sto
e bene, annuso.

Seduta sul cielo levigato
ti leggo a testa
in giù.

GESTO

Esos hombres sabios ¿se acercaban
a los hilos?

Por suponerlos eléctricos grité.
Hasta los niños saben del peligro: la lejanía,
la cercanía.

Ellos, aislantes, estudiaban
esos hilos contundentes
de la velocidad de la luz.
Anotarían fórmulas en el espacio
rebobinado de visión.
Antes se agarraron
al cable de lo real: uno dos tres
muchos hombres con sus puños al revés.
¿Qué los haría repetir el acto:
un compañerismo anterior al deseo
como hábito de saber? ¿O sólo un instinto
nuevo, por no marcado?

Otro –humano– quiso ir. Me interpuse
sin hablar, los pasos a los pasos,
conservadora a la desintegración.


GESTO

Quegli uomini assennati, si avvicinavano
ai fili?

Considerandoli elettrici gridai.
Persino i bambini sanno il pericolo: la lontananza,
la vicinanza.

Loro, isolanti, studiavano
quei fili contundenti
della velocità della luce.
Annoterebbero formule nello spazio
riavvolto in una visione.
Prima si aggrapparono
al cavo del reale: uno due tre
molti uomini con i loro pugni all’indietro.
Cosa gli farebbe ripetere quell’azione?
un cameratismo anteriore al desiderio
come abitudine del sapere? O solo un istinto
nuovo, non ancora segnato?

Un altro – umano – volle andare. M’interposi
senza dir nulla, i passi ai passi,
fedele alla disintegrazione.


MEMORIA MATERIAL

¿Ves los huevitos azules,
peces que habrían de nacer
fuera de estación? Tu construcción
en círculo. Itaca, Alaska, Acá.

–No te mueras todavía– decís. Inquietos
tus ojos azules: los descubro por el cuerpo
de la voz, el peso del aire, el ojo de Celan.

Pez. ¿Ves?
Peces iluminan el fondo del mar.
(Que no huyan.)


MEMORIA MATERIALE

Vedi le piccole uova azzurre,
pesci che dovrebbero nascere
fuori stagione? La tua costruzione
in circolo. Itaca, Alaska, Qua.

– Non morire ancora – dici. Inquieti
i tuoi occhi azzurri: li scopro nel corpo
della voce, nel peso dell’aria, nell’occhio di Celan.

Pesce. Vedi?
Pesci illuminano il fondo del mare.
(Che non fuggano.)


SALMO

Alzo los ojos
no veo a Dios
pero veo la lluvia


SALMO

Alzo gli occhi
non vedo Dio
però vedo la pioggia


ARROJO LA PELOTA, ATRAVIESA EL TEATRO TODO
QUE ESTÁ A MIS PIES

Perdió la cabeza.
Parecía más liviana.
Otros comenzaron a buscarla
entre rincones
entre papeles.

Su cabeza
perdida
en la boca abierta
de la mosca
papando
palpando
y el piso bajo
sus pies
que se separan
de la tierra

A los que juntan
retazos
en el colador viejo
los sacan carpiendo
pero corren.

La cabeza entre las manos
guarda
tajos
de memoria.

Destilan
las voces
una frase:
de tan anciana
nueva.

Tráganos tierra
el desamparo
y flores de leyenda
(fuegos de cocción)
re
vivan.


LANCIO LA PALLA, ATTRAVERSA TUTTO IL TEATRO
CHE STA AI MIEI PIEDI

Perse la testa.
Sembrava più leggera.
Altri iniziarono a cercarla
negli angoli
nelle carte.

La sua testa
smarrita
nella bocca aperta
della mosca
poppando
palpando
e al piano basso
i suoi piedi
che si separano
dalla terra

A quelli che raccolgono
scampoli
nel vecchio colino
li tirano fuori scavando
ma corrono.

La testa tra le mani
conserva
tagli
della memoria.

Distillano
le voci
una frase:
così vecchia
ch’è nuova.

Inghiotti terra
l’abbandono
e fiori leggendari
(piani di cottura)
ri
vivano.


IR Y VENIR

Viene el hombre que me trae la comida
(me gusta pedirla, me gusta abrir el papel
en que la envuelven y dejarla enfriar.
Es otra mujer la que cocina y dos hombres
la reparten por las casas).

Pero este sábado
él me pregunta: ¿qué hacés en tus clases?,
quiero leer poesía de ahora y no entiendo,
me dice.

Entonces lo hago pasar.
Busco los anteojos, busco el cenicero,
y abro a Juárroz primero
y abro a Gianuzzi después.
Me gusta abrirlos así, al azar, en alguna página,
ver cómo saltan las letras.

Café y manzanas leo, mientras la comida
que me trajo este hombre
se enfría más sobre la mesa.

Nos enredamos en esa música ajena
que se nos hace propia y los ojos
del hombre que me trae la comida
se llenan de lágrimas. Entiendo, me dice,
eso que no entiendo.

¿Y Borges? Pregunta, ¿creés que podré
con él? Le acerco un pañuelo
de papel y se seca las lágrimas.

Antes de irse él vuelve a preguntar: ¿entonces
me hicieron creer que no entiendo?

No entendemos
y ni falta que nos hace. Basta con llevar
esas frases a la boca.

El hombre que me trae la comida se va.
Y yo saboreo lenta los trocitos.


ANDARE E VENIRE

Viene l’uomo che mi porta il cibo
(bello ordinarlo, mi piace srotolare la carta
con la quale l’avvolgono e lasciarlo raffreddare.
È un’altra donna quella che cucina e due uomini
vanno a consegnarlo nelle case).

Ma questo sabato
lui mi chiede: cosa fa nelle sue lezioni?,
vorrei leggere poesia di adesso però non la capisco,
dice.

Allora lo faccio entrare.
Cerco gli occhiali, cerco il posacenere,
e per primo apro Juárroz
e dopo apro Gianuzzi.
Mi piace aprirli così, a caso, in una pagina qualsiasi,
vedere come saltano le parole.

Caffè e mele leggo, intanto il cibo
che mi ha portato quest’uomo
si raffredda ancor più sul tavolo.

Veniamo catturati da questa musica altrui
che si fa nostra e gli occhi
dell’uomo che mi porta il cibo
si riempiono di lacrime. Capisco, dice,
quello che non capisco.

E Borges? Domanda, crede che potrò
con lui? Gli avvicino un fazzoletto
di carta e si asciuga le lacrime.

Prima di andarsene fa un’altra domanda: allora
mi fecero credere che non capisco?

Non capiamo
e non ne abbiamo bisogno. Basta portare
quelle frasi alla bocca.

L’uomo che mi porta il cibo se ne va.
E io assaporo lentamente i pezzetti di cibo.


Traduzione dallo spagnolo di Alessio Brandolini




Susana Szwarc
è nata a Quitilipi (Provincia del Chaco, Argentina) nel 1954 e vive a Buenos Aires. Ha pubblicato sia libri di poesia che di narrativa, tra i quali: El artista del sueño y otros cuentos (1981); En lo separado, (poesia, 1988); Trenzas, (romanzo, 1991); Bailen las estepas (poesia, 1999); Bárbara dice (poesia, 2004 e 2005); El azar cruje (racconti, 2006); Una felicidad liviana, cuentos (2007); Aves de Paso (poesia, 2009) e El ojo de Celan (poesia, 2014).
Nel 2014 è uscita l’antologia La mesa roja. Ha pubblicato anche libri per l’infanzia, tra i quali: Había una vez una gota (1996); Había una vez un circo (1996); Salirse del camino y otros cuentos (1997) e Tres gatos locos (2010).
Ha scritto diverse opere teatrali (rappresentate nei teatri argentini) e curato antologie, tra le quali Cuentos Ecológicos (1996) e Mujeres 3, Visiones en el siglo (1998). Suoi testi (poetici e narrativi) sono stati inseriti in diverse antologie sia argentine che straniere. Dal 1985 coordina seminari di lettura e leboratori poetici. Ha ricevuto numerosi premi, sia per la poesia che per la prosa.

(foto di Laura Szwarc)


alexbrando@libero.it