FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia

Numero 35
luglio/settembre 2014

Soste & Percorsi

 

VIAGGIO OLTRE I MITI D’OCCIDENTE
Tiziano Terzani a dieci anni dalla scomparsa in un libro di Alen Loreti

di Marco Testi



Il grande mare che avremmo attraversato. Aveva ragione l’Ivano Fossati dei Settanta. Molti di noi avrebbero voluto mettere un indicativo al posto di quel condizionale irrealizzabile nella sua irreversibile (in)compiutezza. Molti vorrebbero poter dire “che abbiamo attraversato”. Poi arriva un ennesimo contributo al wanderer della carta stampata, perché ai suoi tempi si usava stampare – solo stampare – i giornali e si scriveva con la olivetti, il viaggiatore che non avrebbe mai voluto dire “ecco, siamo arrivati”, perché aveva capito che ogni cosa ha la sua fine, il suo inizio, la sua ragione, ma anche i suoi umani limiti. Come il giovane avventuriero – troppo avventuriero per rimanere nel qui e nell’ora – Carlo Michelstaedter ai primi del Novecento poneva il porto solo nella furia del mare, Tiziano Terzani – di cui cade il decennale della scomparsa – poneva il porto nel viaggio.

Anche questo ultimo Tiziano Terzani. La vita come avventura di Alen Loreti, approfondimento ragionato e commentato della Cronologia dei Meridiani Mondadori curati dallo stesso Loreti, ci mostra l’ambigua faccia dell’avventura, anche quando è vera, accettata apertamente a rischio di quella vita necessaria per viaggiare nello spazio, quando questa avventura rivela l’altro. Che è possibile stare in un luogo, in una capanna di pietra a 2300 metri di altitudine davanti all’Himalaya, solo con lampade a petrolio e pannelli solari e capire, viaggiare in modi altri, scoprire nuove facce dei vecchi affetti, e vecchie nei nuovi, in un gioco di forme ed essenze che ha molto dei pensieri avvicinati da Terzani, il misticismo, l’induismo, il buddismo, l’animismo, ma anche il cristianesimo.

“Non è indispensabile andare lontano per scoprire dei tesori. La nostra stessa memoria è una miniera” scrive nella prefazione ad un volume di Giuseppe Mucci, rivelando un equilibrio raramente conosciuto dai viaggiatori per diletto. Quelli che fomentano il viaggio a tutti i costi, quelli del “fai questa strada o alloggia in questo albergo”, così lontani da uno che in anni insospettabili ha raggiunto luoghi da anni non calcati da occidentali, nel cuore o agli estremi lembi della Cina, in India come in Cambogia e in altri paesi martoriati, dai Cinquanta in poi, da lotte, colpi di stato, guerre, e che nel contempo afferma la possibilità della contemplazione ai piedi di una candela in una capanna di pietra dimenticata dagli uomini.

Il fatto è che Terzani non mostra, in questo come in altri libri (ad esempio Un’idea di destino. Diari di una vita straordinaria, da cui prendiamo la citazione che segue), la faccia tranquillizzante e un po’ inquietante dei cercatori occidentali di guru o di guida spirituale, meglio se esotica. Non riesce proprio a gestire una situazione in cui ci si affida completamente ad un maestro, come prova a fare nel 1999 in un ashram (luogo di meditazione, ndr) dell’India meridionale. I rituali gli restano lontani, gusci che nascondono la sostanza: “mi ripugna il rituale (…) tutto quell’inginocchiarsi, quel correre con le mani ai piedi dello swami (maestro, ndr)”. Rimangono i dubbi, le perplessità, l’antipatia per la leziosità dei riti. È ancora tempo di viaggio, per il giornalista di “Der Spiegel”, dell’Espresso e di altre prestigiose testate.

Quando bussa alla sua porta la malattia, quel lungo peregrinare rivela il suo senso. Il non avere padroni, perché anche il lavoro, quell’affascinante mestiere di girovago della notizia, diventa un padrone da cui prendere congedo con il pensionamento, lascia passare il suo senso.
Gli affetti, ad esempio. Il viaggiatore è andato così lontano che la curvatura dello spazio-tempo lo ha portato al punto di partenza. Non ri-portato, accezione che Terzani mostra in queste testimonianze di non gradire. Non voleva farsi dominare da un sentimento fallace come la nostalgia per luoghi che cambiano e non restituiscono più la bellezza che un giorno gli avevano donato. Il viaggiatore sente che la famiglia è una conquista del viaggio. La moglie di tutta una vita, Angela, ricorda il suo discorso al matrimonio della figlia Saskia, poco prima di morire. Fu un discorso “indimenticabile”, “sul rapporto tra marito e moglie, quello classico, antico, e su come sbagliano i moderni con le pretese di propri spazi e libertà”.

Era andato molto oltre, talmente oltre che aveva superato gli scogli dell’Ercole d’occidente, e con loro le sirene d’occidente, quelle del “voglio, cambio, voglio” su cui, qui, proprio in occidente, già esercitava il suo sarcasmo Schopenhauer. La vita di un altro che si affida a te è un bene troppo prezioso per scambiarlo per una merce, come il rapporto con Angela Staude, iniziato nel 1957, che, ebbe a scrivere una volta Tiziano “era tutto quello che potevo sognarmi”. Terzani qui mostra una delle facce della medesima medaglia, il coraggio di andare controcorrente non per mettersi in mostra, ma per testimoniare. In una società basata sullo scambio commerciale, all’interno della quale è stata operata una demitizzazione dei valori ritenuti “astratti” per poter reificare anche quelli, cambiare è una forma di questa piattaforma economica. Le forme attraverso le quali essa si sublima sono l’estetica dell’apparire a tutti i costi (chi non regge viene messo da parte), la appartenenza al gruppo mediante i riti non dichiarati del consumo, ivi comprese le dimensioni affettive e spirituali, degradate a competitività delle merci offerte. Fede, spiritualità, religione rientrano in queste categorie se assoggettate alle mode e ai meccanismi indotti.

In queste testimonianze gli affetti recuperano la loro essenzialità, passano attraverso la capacità di arrivare alla cosa oltre le forme, i vezzi, i tic e gli intellettualismi. La dedica alla moglie in apertura del suo libro Un indovino mi disse basta e avanza, oltre qualsiasi altro discorso intrusivo e fuori posto: “per Angela sempre”. La famiglia è per lui oltre gli schermi e i paraocchi, così come anche le mitologie su alcuni Paesi.
Terzani si spingeva nei posti che oggi chiameremmo più “esotici”, però in tempi in cui rischiava di incontrare i Khmer rossi di Pol Pot (i quali stavano realmente per farlo fuori), osava le impervie periferie dell’impero comunista cinese con il rischio di sparire come testimone scomodo perché veritiero.
In un momento in cui molti inneggiano ad un Giappone mitico e mistico, faro di nuove proposte religiose e modalità di vita, Terzani, che ci visse realmente, denuncia l’inconsistenza, almeno per lui, di quei miti. Gli rimane sullo stomaco la tendenza dei giapponesi a fare della produzione un nuovo idolo:

Ma come, confidava al figlio Folco, noi si va verso un futuro così, dove tutti corrono dalla mattina alla sera, corrono anche alla domenica, i treni sempre più veloci, a cosa serve vivere così? Come si può dire che questa è una società che ha successo?

Era la Cina a rimanergli nel cuore, e questo ci mostra la profondità e la sensibilità di Terzani: la Cina, a viverci come corrispondente, aveva demolito lentamente il mito del comunismo realizzato dal compagno presidente Mao che aveva alloggiato nella fede politica del giornalista. Eppure la Cina si stava facendo largo nel suo cuore. Qualche anno dopo i nuovi capi processarono quelli che avevano accelerato sulla strada della rivoluzione culturale, quelli che avevano distrutto tradizioni e quartieri antichi della stessa Pechino, ne condannarono alcuni a morte, ivi compresa la moglie di Mao, per poi “graziarli” e mandarli all’ergastolo. Anche questo segnò Terzani, ma la Cina si faceva sempre più largo nel cuore. Poi venne il tempo della piazza Tienanmen, e anche lì Terzani seppe e denunciò, pagando di persona, perché fu cacciato dopo alcune intimidazioni e tentativi di fargli fare autocritica, quando di non farlo sparire direttamente. Se ne andò a malincuore, perché la Cina era ormai in lui. Nonostante tutto.

Da lì e dalla sua scoperta di un Giappone solo efficientista, secondo la testimonianza di Angela, è nata una forte sofferenza: “Il Giappone classico non esisteva già più. (…) Comincia in Giappone la sua disperazione, la sua vera e propria depressione”. Depressione accentuata quando fa un viaggio con Angela lungo il Mekong:

Vado a letto con una certa nausea di questa Asia senza più tanto carattere, solo sporca, solo anelante alla plastica… i campi, gli orti, in cui raspano polli e bambini, sono coperti di bottiglie di plastica e di sacchetti di plastica, blu e bianca: sembrano un nuovo frutto. Il frutto della modernità.

Quando fu invitato ad intervenire in convegni italiani, disse apertamente quello che aveva visto, soprattutto che il maoismo aveva distrutto una cultura millenaria e realizzato il contrario del paradiso sulla terra, inimicandosi quegli intellettuali che non avevano mai messo piede in Cina ma ai quali faceva comodo quel sogno.

E poi l’India. Il viaggio continuò lì, senza eccessive infatuazioni, visitando eremiti e monasteri, cercando, semplicemente. A leggere queste pagine sembra quasi che la sola cosa che conti è la ricerca, e qui torniamo a Michelstaedter. Per lui aderire ad una precisa corrente di pensiero era fossilizzarsi, ma da quelle correnti prendeva ciò che poteva essere utile per il perfezionamento dell’unità corpo-anima: il qj gong, ad esempio, o lo yoga.
In India scopre il luogo dove meditare e chiacchierare con un “vicino” di eremitaggio, l’indiano Vivek, ma quel luogo non era destinato ad essere definitivo, perché era il tempo di un altro viaggio, quello a casa, in Toscana. Con la malattia, aveva capito che la lontananza segna la priorità delle cose e degli affetti. È l’elefante legato al palo con un filo di seta cui accennò lo stesso Tiziano nel discorso per il matrimonio della figlia, il 17 gennaio del 2014. L’elefante ha scelto di essere legato agli affetti, alla famiglia, ad Orsigna. Lì compie l’ultimo viaggio terreno.

Rimane il ricordo di quel suo viaggiare tentando di non guardarsi mai indietro, perché la necessità, il destino, il vettore del tempo, di quello che noi chiamiamo tempo, vanno per noi in una unica direzione.
Soprattutto rimane un insegnamento profondo e nobilmente laico, da intendere in senso non anti-religioso, anzi: mai fare del proprio viaggiare un mito, ma un’occasione di incontro e di comprensione. Lo aveva già capito (ecco l’altra faccia del destino: volere il viaggio è averne già il senso dentro) a diciannove anni, se diamo fede ad un ricordo di Alberto Di Maio: “nei discorsi di allora esprimeva valori e ideali (…) come l’autonomia dei popoli, le loro identità, un progresso fondato su basi spirituali e culturali, non puramente materiali”. La vera ricchezza è questa.


Alen Loreti, Tiziano Terzani. La vita come avventura, Mondadori, 2014. Da questo volume sono tratte tutte le citazioni qui presenti, tranne quella segnalata nel testo.

Altri volumi citati in questo articolo: Tiziano Terzani. Un’idea di destino, Longanesi, 2014, e Un indovino mi disse, Longanesi, 1995.


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