FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia

Numero 34
aprile/giugno 2014

Lavoro

 

MARIA MONTESSORI E
“L’AMOROSO LAVORO” DEL BAMBINO

di Gabriella Molcsan



Adamo ed Eva dopo la caduta si sono trovati nella necessità di guadagnarsi la vita con il sudore della loro fronte. Lavorare per mantenere la propria famiglia. Ora et labora. Legislazione del lavoro. Crisi del lavoro. Sfruttamento del lavoro minorile. Lavoro precario. Fortuna del lavoro a tempo indeterminato (che cos’è la “fortuna”, cosa l’“indeterminato”: argomenti da affrontare a parte). Arbeit macht frei. Rieducazione attraverso il lavoro. Sindacato dei lavoratori (ma anche dei datori di lavoro). Una miriade di situazioni illustra quanto il lavoro sia importante nel mondo dell’adulto e nella storia dell’umanità.

La pedagogista italiana Maria Montessori (1870-1952) ha dedicato la sua vita a portare l’attenzione del mondo intero su un lavoro in atto, prima di tutti i lavori adulti e di tutte le loro alterazioni divenute altrettante lotte c’è il lavoro del bambino, ovvero “l’amoroso lavoro”{1} del bambino.
Quale lavoro può fare un bambino? “È così piccolo, lasciamolo divertirsi ... ha tempo per affrontare il brutto mondo!” sentiamo dire spesso. Oppure: “Che bambino fortunato, c’è suo padre che si sacrifica affinché lui abbia tutto!”. E mentre ci crediamo buoni e generosi, in realtà abbiamo appena definito l’infanzia come un’isola felice ma senza contatti con il mondo concreto. Abbiamo appena detto la sua “estraneità” da noi. Come un tempo sospeso e senza continuità tra la spensieratezza irresponsabile dei primi anni e un’adultità logorante. Maria Montessori ha fatto luce sulla falsità di questo iato apparente tra infanzia ed età adulta e ha sottolineato l’importanza cruciale dei primi anni della vita nel cammino verso una maturità piena, felice.

Il bambino vive per mesi nel grembo della madre ed è un embrione fisico (e più che fisico). Appena nato, ci insegna Maria Montessori, lui continua il suo impressionante viaggio in quanto embrione spirituale. Questo piccolo essere apparentemente inerte ha un compito grandissimo: quello di costruire l’uomo grazie all’ambiente umano e materiale che lo accoglie. Entro il primo anno di vita il bambino ha già conseguito il più delle volte le tre lauree più importanti della sua vita: il primo dente, il primo passo, la prima parola. Ha cominciato a gustare la varietà di nutrimenti del mondo con le proprie manine ed è in grado di digerirli, è diventato capace di muoversi per raggiungere i suoi obiettivi di esplorazione e prendere il mondo, ha costruito la capacità di relazionarsi tramite il linguaggio con il mondo intorno a lui. Ha costruito delle matrici che in seguito si moltiplicheranno, si arricchiranno, si tesseranno in un’individualità irripetibile. La lunga infanzia del piccolo dell’uomo è indice di questo lavoro speciale che il bambino è chiamato a svolgere e ognuno di noi è erede di questo prezioso bambino.

Il potere creatore del bambino è immenso ma noi adulti tante volte lo ignoriamo perché è interiore. Perché siamo abituati a vegetare come poveri satelliti di poteri esteriori: il direttore, il professore, il preside, l’assessore, il dirigente d’impresa, il rettore, il politico. Forse come una volta ruotavamo intorno ai soli che erano mamma, papà, la maestra che ci tenevano stretti stretti nella loro orbita sacrificando inconsapevolmente la nostra. Siamo noi in grado di vedere la grande opera di costruzione che il bambino piccolissimo mette in atto? I suoi tentativi, le sue conquiste, i suoi difficili anche se temporanei fallimenti, la sua minuziosa, ardente costruzione di se stesso? I suoi “miracoli di attenzione e sforzi iniziali che solo a lui sono possibili”,{2} come scrive Maria Montessori?

Il bambino piccolo è per eccellenza una creatura del verbo, del fare per crescere. Tocca tutto, fruga dappertutto perché ama immensamente il mondo in cui è venuto e perché è alla ricerca di nutrimento mentale. È il suo stesso amore per il mondo che lo spinge a lavorare. Apre e chiude, tira e spinge, cammina e corre, infila e sfila, ritaglia e incolla, riempie secchielli di sabbia, trasporta e riporta, spruzza e travasa l’acqua, pulisce e spolvera, annaffia le piante e sbatte le pentole, aiuta la mamma in cucina molto volentieri. “Il bambino che gioca è un operaio che lavora” dicono i montessoriani. Il suo lavoro è quello di scoprire il mondo e le sue leggi, coordinarsi sempre meglio sotto la guida della propria mente, della propria volontà. La mano è l“organo psichico”{3} dell’intelligenza aveva detto Maria Montessori e queste sue parole hanno il potere di discernere le acque dell’amore intenso ma tante volte impuro che gli adulti provano per il bambino. Come potrebbe ubbidirci il bambino a cui diciamo “stai buono”, “non ti muovere!”? E se lo facesse, a quale prezzo? Ben vengano le carezze, le coccole, gli abbracci, lo stare in compagnia. La prossimità dell’adulto è vitale per il bambino. Eppure dobbiamo lasciare da parte la presunzione di dover bastare ai nostri bambini. O di “aiutarli” risparmiando loro lo sforzo, sostituendoci a loro. Nessuno può crescere al posto del bambino. “Bambini re” o “bambini oggetto”{4} (incluse le infinite sfumature intermedie)... i bambini rimarrebbero ancora sommersi in una visione adultocentrica dell’infanzia.

La via più sincera è anche la più forte: vedere le cose dal punto di vista dell’altro, dal punto di vista del bambino e dei suoi bisogni di crescita. E questo equivale alla scoperta del bambino creatore, del “bambino che è padre dell’uomo” come ha instancabilmente insegnato Maria Montessori. “È certo che per il bambino l’attitudine al lavoro rappresenta un istinto vitale, perché senza lavoro non si può organizzare la personalità (...): l’uomo si costruisce lavorando. Nulla può sostituire la mancanza di lavoro: né il benessere, né l’affetto”.{5} Il cambiamento di rotta operato da Maria Montessori è stato epocale: il bambino è stato liberato da uno statuto di semplice satellite dell’adulto e quest’ultimo, da presunto artefice, è invitato a diventare un valido aiuto alla vita del bambino, al suo lavoro di autocostruzione. Le piccole mani del bambino infondono sì, tenerezza e amore, ma anche un profondissimo rispetto. Le piccole mani del bambino non creano oggetti, edifici, opere d’arte, cose utili, bensì qualcosa di infinitamente più prezioso: creano l’essere che poi creerà il mondo.

Come riconosciamo il lavoro del bambino? Osservandolo. Come aiutiamo il lavoro del bambino? Assecondandolo, non interrompendolo. Più il bambino è piccolo, più il suo lavoro è necessariamente individuale: nessuno può crescere al posto del bambino, né fare il suo lavoro. “Il bambino è il costruttore dell’uomo”,{6} dice Maria Montessori e all’età di tre anni ha già posto le fondamenta della sua personalità. Il suo è un lavoro manuale liberamente scelto attraverso il quale esercita la concentrazione dello spirito. La concentrazione è il lavoro dell’embrione spirituale, un lavoro importantissimo per le aree psichiche misteriose che in tale lavoro sono coinvolte, attivate, unificate. La finalità è, come abbiamo già visto, di natura interiore: costruire l’uomo. E per questo motivo il bambino non si interessa a premi e castighi, bensì alle conquiste e ai poteri interiori che in tal modo sviluppa. È un lavoro che il bambino svolge con gioia e grande impegno senza che questo gli comporti fatica, semplicemente vivendo. Tale lavoro finisce misteriosamente quando il bambino ha finito di perfezionare una modalità, una competenza necessaria e il bambino che esce da un simile lavoro è riposato, appagato, desideroso di socialità, di ulteriori dilatazioni del suo essere. Il lavoro del bambino è, inoltre, lento, meditativo, ripetitivo perché si accompagna invisibilmente alla tessitura della propria carne mentale, della propria personalità. Impariamo a riconoscere e a rispettare senza disturbare i momenti di concentrazione perché sono preziosi momenti di costruzione psichica. Ecco perché il bambino ama il lavoro e lo cerca sempre. È la sua stessa mano che lo aiuta a costruirsi come persona, è la sua stessa mano ad aiutarlo a guarire da deviazioni comportamentali acquisite. Aiutiamo i bambini difficili, capricciosi, timidi o pigri sostenendoli nel ritrovare il loro lavoro e allo stesso tempo il filo di se stessi. E risparmiamo loro sermoni, premi, punizioni, esortazioni che sono solo fiumi di parole di un fiume che non è il loro.

Per concludere, un esempio forte di come “l’amoroso lavoro del bambino” sia creatore di matrici e fondamento dell’integrità della persona ce lo dà uno dei più importanti pensatori del XX secolo: Pavel Florenskij (1882-1937) – filosofo della scienza, fisico, matematico, teorico dell’arte e di filosofia del linguaggio, studioso di estetica e di semiologia, sacerdote ortodosso e padre. Ci piace citarlo qui proprio perché non ci sono evidenze che lui abbia avuto contatti con la pedagogia montessoriana. Nelle sue lettere ai figli, inviate dal gulag delle isole Solovki dove era stato rinchiuso (e poi ucciso) dal regime comunista scrive:


Fu così che sin dalla più tenera età nella mia mente si formarono le categorie del sapere e i principali concetti filosofici. La successiva riflessione non solo non li rafforzò né li approfondì ma, al contrario, in un primo momento lo studio della filosofia li scosse e li eclissò senza offrire nulla in cambio, se non un senso di amarezza. A poco a poco, però, approfondendo i concetti basilari della concezione generale del mondo e rielaborandoli in senso logico e storico, mi trovai su un terreno saldo, e quando mi guardai intorno risultò che era lo stesso terreno su cui mi trovavo sin da piccolissimo: dopo lunghe peregrinazioni mentali il cerchio si era chiuso e io mi ritrovavo al punto di partenza. In verità non avevo scoperto nulla di nuovo, ma avevo solo ‘rammentato’; già, avevo rammentato i fondamenti della mia personalità formatisi sin dall’infanzia o che, per meglio dire, erano stati il seme di ogni mia crescita spirituale sin dai primi barlumi di consapevolezza.{7}

Se allievi e seguaci capissero su che cosa si fondano le teorie dei loro maestri, su quali intuizioni dell’infanzia scevre di razionalità, cesserebbero di jurare in verba magistri, ma nel contempo comprenderebbero assai meglio la loro personalità recondita e infantilmente geniale.{8}


Lavoro deriva etimologicamente dal latino labor, che comporta un’idea di fatica. Il lavoro del bambino, invece, è tutto gioia e amore e non ha i connotati di fatica che noi associamo a questa parola. Se quello che noi chiamiamo lavoro avesse avuto un altro nome prima della caduta di Adamo ed Eva ... l’abbiamo dimenticato. E il bambino piccolo ancora non ha le parole per dargli un nome. Lo pronuncia attraverso le sue manine infaticabili, attraverso la sua perseveranza appassionata, curiosa, allegra. Sulla scia di Maria Montessori i montessoriani l’hanno chiamato “l’amoroso lavoro” affinché ci ricordi l’alba della creazione e ci esorti a risorgere dai meccanismi in cui ci siamo “comodamente” annidati. Sta a noi ritrovare un cuore attento e mani sapienti che preparino l’ambiente in cui il bambino ama, vive e quindi lavora. Sta a noi offrirgli l’ospitalità nutriente che serva veramente la sua vita. Il bambino – “aurora dell’alterità”{9} – farà risplendere su di noi la luce dell’Oriente che l’ha generato, sosteniamolo nel compimento del suo “amoroso lavoro” di diventare l’uomo dei suoi tempi.



{1}M. MONTESSORI, Il metodo del bambino e la formazione dell’uomo. Scritti e documenti inediti e rari, a cura di Augusto Scocchera, Edizioni Opera Nazionale Montessori, Roma, 2002, p. 57.

{2}M. MONTESSORI, Il segreto dell’infanzia, Garzanti Editore, Milano, 2009, p. 273.

{3}M. MONTESSORI, La mente del bambino, Garzanti Editore, Milano, 2009, p. 152.

{4}J. KRISTEVA, J. VANIER, Il loro sguardo buca le nostre ombre. Dialogo tra una non credente e un credente sull’handicap e la paura del diverso, Donzelli Editore, Roma, 2011, p. 79.

{5}M. MONTESSORI, Il segreto dell’infanzia, op. cit, p. 262 (corsivo appartenente a Maria Montessori).

{6}M. MONTESSORI, La mente del bambino, op. cit., p. 2.

{7}P.A. FLORENSKIJ, Ai miei figli. Memorie di giorni passati, a cura di Natalino Valentini e Lubomír Žák, traduzione di Claudia Zonghetti, Mondadori, Milano, 2011, pp.200-201.

{8}Ibidem, p. 86.

{9}J. KRISTEVA, J. VANIER, op. cit, p. 80.


gabriella.molcsan@yahoo.it