FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia

Numero 31
luglio/settembre 2013

Amori & Distacchi

 

OMBRETTA CIURNELLI, LA CITTÀ DEL VENTO

di Walter Pilini



Dal 2007, anno d’esordio con il volume Badarellasse ncle parole, abbecedario di acrostici Ombretta Ciurnelli fa il suo ingresso sulla scena poetica (non solo perugina, ché sarebbe oltremodo riduttivo), usando un registro dialettale arcaico, espressione della realtà contadina del Pian del Tevere a sud della città di Perugia, morfosintatticamente ricco e articolato, ma lessicalmente ristretto come tutte le parlate espressione di culture orali di comunità agricole (si pensi alla penuria di nomi astratti – lontani dalla materialità della cultura di cui sono manifestazione – e anche di un’articolata e variegata aggettivazione). L’autrice riesce, anche attraverso una ricerca e uno studio rigorosi, a esprimersi poeticamente in maniera compiuta e modernamente attuale. Questa cifra artistica connota tutte le sue produzioni successive: L’Arcontastorie (2008), Si curron le formiche (2010), dove si riscontra un costante sviluppo di un percorso che (ri)allinea anche la poesia nel dialetto perugino a quella corrente di autori che oggi vengono comunemente chiamati “neo-dialettali”. Ora il suo nuovo libro La città del vento, che ha come sottotitolo “Poesie in lingua perugina” (2013) ne è una piacevole, quanto oramai attesa conferma.

A una prima lettura, questa prorompente dichiarazione d’amore per la sua città, paradossalmente e volutamente, giocando con le parole, non dichiarata, sgombra definitivamente il terreno da tante dichiarazioni d’amore, oleografiche o furbesche, talora costruite in modo artificioso, e quindi inautentiche, di cui sono disseminate a piene mani tante raccolte e poesie di autori locali.
Si tratta di un amore totale, plurisensoriale, come plurisensoriale è la descrizione della città, delle sue mura, delle sue pietre, delle sue vie, borghi e vicoli, dove il vento imperversa e dinamizza cose e persone. È la narrazione poetica di una città raccontata in tutti i sensi con acutezza e sensibilità, passando attraverso il buio, i silenzi, le armonie, i colori, gli odori-profumi, i gusti e i sapori, perché “na città già da lia è puisïa” (“Una città già da sé è poesia”), come recita l’ultimo verso della lirica d’apertura.

Ma sta nelle capacità di chi scrive versi riuscire a cogliere questi tratti di poeticità quasi mai espliciti, spesso celati allo sguardo dei più, magari ritrovati nell’umiltà di oggetti d’uso quotidiano, quali, ad esempio, la tarina/zuppiera, che, in un angolo appartato di un mercatino delle pulci, si fa evocatrice muta di antichi splendori e vitalità. Oppure attraverso i racconti che il linguaggio delle pietre e dei mattoni ci consegna per il tramite di coloro, i poeti appunto, che sanno coglierne il codice e la potenza evocativo-espressiva.
È un andare senza meta, lontano dai tempi e modi del turista, ma con lo spirito curioso del viaggiatore, che nel disperdersi nei vicoli tortuosi ed erti della città-vita ne ritrova il respiro nascosto, la gente, di oggi e del passato, comunque capitinianamente com-presente.

Nel dialetto di Perugia abbiamo finalmente una raccolta di versi che chi scrive queste note aspettava da tempo, almeno tutte le volte che aveva sotto mano autori e poesie di tante altre zone d’Italia, scritte nelle innumerevoli lingue locali, per cui inevitabile diveniva il raffronto, non tanto in termini agonistico-sportivi (per i quali bastano e avanzano i concorsi letterari e l’industria culturale che li produce), quanto di autenticità, novità e ricerca.
Che dunque quest’ultimo prodotto di Ombretta Ciurnelli segni un nuovo inizio e apra una stagione ricca di fermenti poetici pronti a trovare una forma adeguata anche nella nostra parlata locale.




POESIE DI OMBRETTA CIURNELLI
da La città del vento – Poesie in lingua perugina
(Edizioni Cofine, Perugia, 2013)



PUISÏA

Vigole piazze
fontane murette
ncol sole ‘l vento
l’acqua la graníschia
la cursa di rimore
che mmattisce
e ‘l verso dla ciuetta
a ntruschià ‘l bujo...

Puzzo de piscio
offrore de botteghe
pietre acomdate
case scalcinate
fenestre spalangate
porton chiuse
e i clor di pinturícchie
a scrive i mure...

Mujne e donne fatte
freghe e vecchie
padrone e serve
e gente sficennata
di sante i lumme
de j’ucifre ‘l ghigno
e strúppie e matte
a bagajà ta ‘l monno...

Na città già da lia è puisïa


    POESIA

    Vicoli piazze
    fontane muretti
    con il sole il vento
    la pioggia la grandine
    la corsa dei rumori
    che stordisce
    e il verso della civetta
    a confondere il buio...

    Puzzo di piscio
    profumi di botteghe
    pietre ordinate
    case scalcinate
    finestre spalancate
    portoni chiusi
    e i colori dei pinturicchi
    a disegnare i muri...

    Bambini e donne adulte
    giovani e anziani
    padroni e servi
    e gente sfaccendata
    le luci dei santi
    il ghigno dei malvagi
    e storpi e matti
    a gridare al mondo...

    Una città già da sé è poesia


NÈBBIA

'N bilimbènza
nti tette sparijate
sguilla lenta
la nèbbia dla matina

Gni torre curre
'nn aria e l’arispira
ta ‘l sole che s’abigra
a luccarèlla nchi coppe
nco le pietre... nchi pensiere

Mmezz’al biancore
rado dla fumaja
mucce mpettito
'l campanile aguzzo
per gí a rubballo
prima de quiantre


    NEBBIA

    In bilico
    sui tetti sfalsati
    scivola lenta
    la nebbia del mattino

    Ogni torre corre
    nell’aria e lo respira
    il sole che gioca
    a nascondino con i coppi
    con le pietre... con i pensieri

    Nel biancore
    rado della nebbiolina
    fugge deciso
    il campanile a punta
    per rubarlo
    prima degli altri


LITTANÍE

Ènn’antre sone
ènn’antre littaníe
a borbottà
ntol fónno di tugurie
ènn’antre adè
anco j’offrór dentorno

Urle bastigne
nguídie gillusie
ch’èvon piene
gni pòsto i mur muffite
ènno momò
scialite da bompò

E va a ‘rcecalle ‘n vecchio
mò ‘n carrozzone
che gni po’ barutla
e da le buche
pennuto mucce via


    NENIE

    Sono altri suoni
    sono altre nenie
    a borbottare
    nel fondo dei tuguri
    sono altri ora
    anche i profumi intorno

    Urla bestemmie
    invidie gelosie
    che n’eran pieni
    ovunque i muri ammuffiti
    sono ormai
    svaniti da tempo

    E va a ricercarle un vecchio
    come un carrozzone
    che ogni tanto barcolla
    e dalle buche
    piegato fugge via


ARGÍ

Ngluppata
nti merlette
de lo sciallo
nco l’onne d’aria
ch’afogono ‘l rispiro
fatigo a chiappà su
daccapo a l’Arco

Barbaja ‘l mi fiatone
ta i lampione
e lento svapra
ntol rimor di passe
che ncol fischià
del vento se confonne


    TORNARE

    Avvolta
    nei merletti
    dello scialle
    con le onde del vento
    che affogano il respiro
    fatico ad arrivare su
    in cima all’Arco

    Si illumina il mio affanno
    alla luce dei lampioni
    e lento sfuma
    nel rumore dei passi
    che con il fischiare
    del vento si confonde


LA TARINA

Su pi banchette dua
anch’i pensiere
èn borfe dla polvre
di tempe de na volta
pennine calamaje
chiave granne
- che sol portone d’aria
èn bone a uprí -
piatte spajate
buricche arcapezzate
e j’atrezze
ardunate nti crine
ch’ardicon de fatighe
e de mischiere

Nton cantarano
poggiata nton cantone
momò tutta tecciata
ntorno ntorno
- sol che n’idéa
del bianco de na volta -
ntra tanta mistcanza
...fanfarona!
s’ n’arfà dla su grannezza
na tarina
quan che na volta
ntla tavla lunga lunga
spajava ‘nn aria
ansiem ta l’alegria
l’offrór del brodo
fatto ncla galina


    LA ZUPPIERA

    Sulle bancarelle dove
    anche i pensieri
    sono pieni della polvere
    dei tempi di una volta
    pennini calamai
    grandi chiavi
    - che solo portoni d’aria
    sanno aprire -
    piatti spaiati
    abiti raccapezzati
    e gli attrezzi
    radunati nei cesti
    che raccontano di fatiche
    e di mestieri

    Sopra un comò
    posata in un angolo
    ormai tutta sbeccata
    intorno intorno
    - solo un’idea
    del bianco d’una volta -
    in mezzo a tanta mescolanza
    ...vanitosa!
    si compiace della sua bellezza
    una zuppiera
    quando una volta
    sulla tavola lunga lunga
    spandeva nell’aria
    insieme all’allegria
    il profumo del brodo
    fatto con la gallina





Ombretta Ciurnelli
è nata a San Martino in campo nel 1947, nella valle del Tevere, ma da mezzo secolo vive a Perugia, dove si è laureata in Lettere moderne per poi dedicarsi all’insegnamento e allo studio del dialetto di Perugia e dintorni. Ha pubblicato storie e acrostici in dialetto perugino, tra i quali Badarellasse ncle parole (2007), L’arcontastorie (2009), Si curron le formiche (2010), La città del vento (2013). Ha pubblicato il testo teatrale Dai campi di granturco ai gelsomini (2012).

 


pilinivalter@libero.it



Sulla poesia di Ombretta Ciurnelli, vedi anche, sul numero 18,
Rendere la parola visibile, cioè nera
di Anna Elisa De Gregorio