FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia

Numero 26
aprile/giugno 2012

Botteghe

 

COSTRUTTI

di Mia Lecomte



                        … come se tra il silenzio
                        dei nomi e delle cose
                        soltanto ci fosse
                        polvere, dissoluzione.

                          Casimiro de Brito


(Non ho che da farmi coraggio, e provare a parlarne). È così che mi guadagno da vivere, e trascorro il mio tempo (che pure rimane tanto, lo so, si presta ad essere impiegato ancora) tutte le mie giornate. Non è la mia massima aspirazione (mi sarei augurato ben altro) ma è pur sempre un ruolo (un compito) di una qualche utilità, e non ho tradito la mia vocazione naturale. Quando qualche anno fa (mi sembra ieri) me l’hanno proposto sono rimasto (a dire la verità) sconcertato: non sapevo (è probabile che nessuno lo sospetti) che esistesse un impiego del genere (con tutto quello che ne consegue). E ho accettato, addirittura di buon grado (e poi cos’altro mi sarebbe rimasto da fare?). Ero un uomo (così detto) di mezza età (ora sono ben oltre, un discreto tre quarti) e non ero ancora riuscito a realizzare (forse soltanto sperare) niente di quello in cui avevo creduto (o mi avevano fatto credere, è lo stesso). E allora la proposta mi è sembrata subito piuttosto appetibile (o perlomeno non così indecente). In fondo poteva essere solo l’inizio (adesso so che non è così) e c’era pur sempre qualcuno che aveva bisogno di me (a volte è gratificante). Cosa avevo fatto fino a quella mia mezza età? (togliendo l’infanzia, con tutte le sue vicissitudini inutili e tragiche). Studiato (malamente), bevuto (molto, pesante), mi ero drogato (meno, leggero), non mi ero mai innamorato (non sono un tipo passionale) e per questo avevo sposato la donna giusta (una qualsiasi). Niente figli (c’era tempo ancora), né amici (ancora più tempo), né fissa dimora. Con mia moglie conducevamo una vita tranquilla (ce lo dicevamo) con lunghe giornate dedicate alle chiacchiere leggere, al cinema, e al sesso (cosa di meglio). E alla lettura. Un lettore onnivoro sono sempre stato (un suino librario), mi interessa di tutto, in qualunque modo sia scritto (una versatilità di lettura che mi è tornata utile). Ma veniamo al dunque (il problema è capire dove sia): è così che mi guadagno da vivere (durare). È successo tutto senza preavviso (una sorta di colpo di fortuna senza fortuna). Un pomeriggio d’inverno (finita irrimediabilmente la luce). Chiamano a casa e non c’è nessuno, né io e mia moglie (finiti gli umani). Allora lasciano un messaggio nella nostra segreteria telefonica (voce preregistrata di confezione, onestamente impersonale): hanno urgenza di parlarmi, ma non riesco a decifrare il nominativo di riferimento che lasciano: edizioni non so che cosa (e chissà dove). Richiameranno (o vuole dire che non era il caso). Due giorni dopo si rifanno vivi (era il caso, almeno per loro). Le edizioni precisate fissano un appuntamento per la settimana successiva (il luogo ora è certo). E io trascorro la settimana convinto del solito (a metà fra le peggiori aspettative e le migliori speranze). Mi sono dimenticato di dire (lo dimentico sempre) che oltre alla conversazione, al cinema e al sesso, e alla lettura, ai quei tempi (anche ora, purtroppo) mi dedicavo alla scrittura (la prima cosa a cui mi sono dedicato, in verità, dall’inizio del mio grande vuoto scandito). Una dedizione superflua, in cui ho sempre riposto vaghe ambizioni cinematografiche (nel senso più hollywoodiano di qualcuno che mi legge per caso e prima dei titoli finali sono già in vetta ad ogni tipo di classifica), che insieme a tutte le altre, ovviamente, nel giorno di quell’inaspettato appuntamento erano fallite (in quello del messaggio registrato quasi). Ma le ambizioni sono come le parole, una vale l’altra alla fine, senza peso (specifico), e dove credi che abbiano lasciato il segno del loro gravoso covare negli anni (tuoi e degli altri), trovi solo una fredda superficie perfettamente liscia, allineata al resto (inclinata). Insomma, quello scrittore che non si credeva più tale, che non si era mai creduto tale (che non aveva mai creduto, in generale, troppo faticoso) varcava la porta delle edizioni che l’avevano cercato inaspettatamente con una dignità rispolverata per l’occasione (con l’età gli andava un po’ stretta). A venirgli incontro era una segretaria alta e bionda (prevedibile), di una gentilezza impeccabile (lucida come la targa sotto il campanello a cui aveva suonato), che lo faceva accomodare in una piccola sala d’attesa con un tavolino di vetro ingombro di riviste a cataloghi (tutti delle edizioni, altrimenti a che scopo). Dei bei cataloghi, interessanti, con ottime pubblicazioni (anche il suo autore preferito, una prosa assolutamente originale, innovativa). Alle pareti premi e locandine, e qualche foto di scrittori famosissimi (i mostri sacri del secolo, gli unici con una faccia adatta a competere con la propria opera). Se ne stava piegato in una poltrona di panno verde (speranzoso), a pensare alle commissioni che lo aspettavano nel pomeriggio (tutte dietro la casa attuale, non si azzardava mai a sconfinare dal quartiere) quando qualcuno – non più la signorina di prima, un’altra altrettanto specchiata (uno sfoggio deliberato di personale ideale) – lo veniva a chiamare. Prego, mi vuole seguire? Certo, come no (sono qui per questo, cioè non proprio, spero che non mi porti fuori strada). E un lungo corridoio con molte porte chiuse, l’ultima a destra ad aspettare me (chissà da quanto). Quando sono entrato ho subito notato che il verde era cambiato in blu (in evoluzione cromatica) e bluette (regressa). E che la scrivania era troppo grande per l’omino pelato che vi sedeva dietro (un fantolino abbandonato sul sagrato di una chiesa). Poi non ho più avuto tempo per notare nulla, concentrato sulla proposta che mi veniva fatta. Perché io? (un conoscente comune aveva parlato di me e della mia dedizione superflua in termini lusinghieri). Perché io? (e di una mia cultura assolutamente eterogenea e superficiale). Perché io? (e del mio tempo libero). Perché io? (e della mia capacità di non stupirmi mai di niente). Ero sconcertato e stupito (invece), e anche molto divertito (quest’ultimo è il motivo principale per cui ho accettato). Ridevo tra me sulla strada del ritorno, in autobus (verso il mio quartiere, al sicuro). Chissà quando lo racconto a mia moglie... Sì, ma solo a lei. Mi è stato vietato di dirlo a chiunque altro, pena lo scioglimento del contratto (abbastanza generoso, lo ammetto). Ma poi a chi altro lo potrei raccontare? E a cosa mi servirebbe raccontarlo? E gradatamente l’incredulità allegra (e anche un po’ orgogliosa, perché no) lasciava il posto a una stanchezza senza remissione (la mia stanchezza), un buco umido scavato proprio sotto le fondamenta della coscienza (per l’oscurità non se ne vede il fondo). E così, arrivato a casa, a mia moglie non dicevo più niente (ho acceso una sigaretta e mi sono seduto in televisione). E ancora non sa niente (né mai lo saprà). D’altronde non avrebbe motivo per nutrire alcun sospetto, la mia quotidianità scorre sempre identica (e poi chissà quanto durerà ancora, non è possibile saperlo, se dovrò mentire ancora per molto). Certo, ci sono più soldi, ma i nostri conti bancari rimangono separati e io non ho mai aumentato le uscite (contengo per indole le spese). Tutto tace, insomma, all’apparenza (che è tutto). E (ma) da anni ho un nuovo lavoro (e la stessa casa). Lo svolgo diligentemente tutte le mattine dalle sei alle nove (tanto mi sveglierei comunque per l’insonnia senile) e qualche volta anche un’oretta il pomeriggio (dopo la siesta). Mia moglie pensa che io scriva (pudichi sfoghi post-post-post) e mi lascia tranquillo. E io mi dedico con una certa maestria (ci vuole, non è un impegno da poco) a scrivere (scrivo infatti) i tra-parentesi dell’autore più importante della casa editrice, il mio scrittore preferito (perché non se li scrive da sé? Non me l’hanno spiegato, e in verità non ho mai sentito l’esigenza di saperlo). Col tempo sono diventato piuttosto bravo, perfettamente integrato con la sua prosa pensiero (la sua seconda voce, a cappella), fuso con la sua musica (perfettamente in controtempo). E forse, poco a poco, sto cominciando a sperare anche in altro (comincia a non bastarmi). Ora che mi sono tanto specializzato (incisivizzato) forse potrei passare a qualche nuovo autore (uno alla volta) della casa editrice (chissà le altre... ). Un giorno di questi dovrò trovare il coraggio di parlarne con i responsabili (quelli che si sono manifestati tali). Comunque non c’è fretta, per ora va bene così, conservo un pochino di tempo per dedicarmi anche alle mie cose (una specificità pur compromessa nel profondo). E poi chissà che i restanti scrittori della casa editrice non siano già impegnati (accompagnati), che altri non siano stati assunti, per altri, con le mie stesse mansioni (magari non necessariamente per intenzionali tra parentesi, di cui è particolarmente ricco il mio autore). Altri esattamente come me, in tutto e per tutto (fuorché nelle mansioni, forse, ci sono molti altri aspetti del periodo). E chissà se addirittura non ci siano già altri che subentrano nella prosa del mio stesso autore? (altri esattamente come me, appunto, fuorché nelle mansioni. Ci sono molti altri aspetti del periodo, appunto). Chissà se il mio autore esiste realmente, e non sia piuttosto il risultato di un intelligente (o solo naturale) assemblaggio di costrutti. Se esistono gli scrittori (e i loro libri). Esiste almeno un solo scrittore? (e il suo libro completo?) Tutte domande inutili. Non è dato di saperlo, da contratto (una postilla in grassetto, in fondo). Tra parentesi.

 


Il racconto è inedito.


mialecomte66@gmail.com