E per quale sgranatura del tempo riconosceremo luoghi dove passano con splendore intransitivo le cose che accadono piccole ogni giorno?
Così recitano alcuni versi tratti da Le rondini di Manet (2010), la prima raccolta pubblicata da Anna Elisa De Gregorio. In Dopo tanto esilio (2012) l’Autrice sembra riprendere il tema del poeta pellegrino e, insieme, il tema del viaggio, inteso come desiderio e ricerca, ma al tempo stesso come distacco, esilio, allontanamento, diminutio:
Va ciascuno di noi pellegrino verso viaggi archiviati, rimozioni, resta assorto nella sua primavera, nella sua giacca, riparo da poco.
Nella nuova raccolta la lontananza si fa parola e la scrittura, quasi in una leopardiana ricordanza, fa emergere da un tempo irreversibile immagini, figure, memorie, condizioni e tensioni dell’essere: dal ricordo dei sogni, delle magie e dei febbrili moti dell’animo propri dell’adolescenza e della giovinezza (“stavo allora su un giovane terrazzo / con freschissimi ardori di anarchia”) fino al tempo della vita che declina verso il tramonto: un nòstos, insieme seducente e impossibile, per una scrittura che è come un eterno ritorno.
L’esilio è condizione esistenziale, è tormento di appartenenze negate: Exilé sur le sol au milieu des huées, / Ses ailes de géant l’empêchent de marcher, cantava Charles Baudelaire nella poesia Albatros. Ma è anche crescere di esperienze e di consapevolezze, come accade per il volo della mosca che, al termine della corsa, guadagna in trasparenze, avvicinandosi inconsapevolmente al paradosso dell’eternità.
Nel ricco e variegato microcosmo che anima la raccolta l’esilio è assenza di presenze per uomini, animali e cose, orfani di appartenenze. Così è esilio anche la vita di un’orchidea, caparbia nel ricercare l’habitat della foresta tra mura di cemento o il destino di vasi di fiori spaesati nel camion del trasloco. Ma a ricordare questa “malattia dell’essere” sono spesso gli anziani e l’Autrice declina la loro condizione nelle più diverse forme. C’è il vecchio che raccoglie sassi, o piuttosto pensieri / da molto indietro nel tempo, ci sono gli anziani degli istituti che in limbi dorati si abbracciano e si riconoscono solo perché da una parola / s’infila quasi un’intera canzone, riparando su precarie terreferme di passato, e ci sono i pensionati che salgono sull’autobus che li porta al cimitero della Misericordia per pulire i ricordi dall’inverno. Vecchi con i malanni o con il buio che cala nelle loro menti, quasi per estrema compassione... per dare respiro alla paura o perché si convincano alla partenza.
Ma l’esilio è anche nella violenza della morte, ricordata nella poesia Nessuno ha occhi dedicata a tutti i Petru Birladeandu, a ricordare come la crudeltà del caso possa spegnere il suono di una fisarmonica e, tra l’indifferenza generale, sul lurido pavimento di una metropolitana vada a disegnarsi il colore / rosso dell’ultimo pensiero.
I toni della poesia della De Gregorio sono pacati e tutto è vissuto in una coralità di voci. A condividere e a in-segnare la via c’è la poesia, perché solo il suono delle parole fa luce. Nell’esergo c’è Giorgio Caproni, nella cui opera torna con insistenza il sentimento dell’esilio, c'è Michele Sovente che lascia in eredità domande / che ci fanno ancora domandare, e poi Matsuo Bashô, Mark Strand, Wisława Szymborska, solo per citarne alcuni. E poi c’è l’arte: la Pietà Rondanini, la Pala Gozzi e L’ospitalità di Abramo di Andrej Rublëv. C’è anche il cinema: insieme a Tarcovskj, che ricorda che l’arte vince la violenza dei potenti, c’è "Terra Madre" di Ermanno Olmi, ci sono le giostre di Emir Kusturica e con occhi di lupo ferito c’è Rick Blain di Casablanca.
Quella di Anna Elisa de Gregorio è una poesia nutrita di esperienze culturali ricche, raffinate, profondamente meditate. Questo resta dopo tanto esilio, insieme alla consolazione di un’insistita dualità, ben evidente nella metafora del guinzaglio, legame che unisce padrone e cane, allo stesso modo in cui noi siamo uniti alla nostra ombra: ben legate alle scarpe le nostre ombre scure... forme della nostra vita più intima. Dualità come fedeltà, che richiama anche alla mente la solidarietà cantata da Leopardi ne La Ginestra; dualità ricercata nella Pala Gozzi in cui l’albero e il cielo sono come aria e preghiera, oppure sorpresa nei due vecchi sulla spiaggia legati da chiavi / di lessico familiare, colta nel vaso quadrato della kenzia in cui c’è posto anche per il timido trifoglio o nei due ragazzi ciechi della poesia Forse avevano ali: L’una nelle mani dell’altro / l’una il cane dell’altro, in un darsi senza contare chi dei due dà o riceve di più, come recitano alcuni versi della poesia La fedeltà cieca:
C’è dualità-fedeltà anche nel rapporto che si stabilisce tra noi e gli angeli: fino alla fine fedeli come ombre al sole. Angeli imperfetti in simpatia, vicini alla condizioni mortale di cui sono quasi proiezione e che ricordano gli angeli di Klee o Damiel e Cassiel de Il cielo sopra Berlino.
Con intima partecipazione, senza mai cadere nell’enfasi retorica, l’Autrice compie il suo viaggio anche tra i problemi del nostro tempo: la violenza, le guerre, un ambiente ferito, la modernità e la solitudine alienante in entropie di città.
Con l’eco del mare spesso in sottofondo, la poesia della De Gregorio è un mormorio di fiori, di alberi, di animali, di suoni, in cui scorci di memoria si inseguono appoggiati a frammenti di paesaggi familiari in un processo analogico solo apparentemente lontano da tentazioni autobiografiche, oscillando tra una colloquialità domestica (le briciole di pane per i piccioni, le chiavi appoggiate nella scatola insieme alla pensione, le piante di basilico) e toni più rarefatti. Spesso, come abbiamo rilevato per la prima raccolta, Le rondini di Manet, è una poesia caratterizzata da un movimento binario, in cui il secondo tempo riprende, dettaglia e rimodula il fraseggio del primo. A volte i puntini di sospensione, come incipit di una lirica, rimandano a un borbottare ellittico, lasciato solo intuire dal secondo movimento.
Nell’iteratività assillante della vita - una vita che è un novembre nel cuore di ogni mese - nello scivolare della notte nel giorno e del giorno nella notte siamo un amen continuo su quello che accade e la salvezza è nella poesia, come recitano i versi di Matsuo Bashô scelti a esergo della lirica Perché è d’obbligo mandare a mente i poeti:
La luce che si sprigiona dalle cose occorre fissarla nelle parole prima che si spenga nella mente.
Anna Elisa De Gregorio, Dopo tanto esilio, Rimini, Raffaelli, 2012, con prefazione di Davide Rondoni, pagg. 113, euro 12.
TRE POESIE DI ANNA ELISA DE GREGORIO da Dopo tanto esilio
ESPOSIZIONE
davanti alla Pietà Rondanini
Si arriva laggiù nel fondo, stanza dopo stanza, esposti a infinite distrazioni, e mai abbastanza lo sguardo è preparato a quell’ultima Pietà. Un uomo fa cose più belle di Dio. Espone la propria vecchiaia, martella conosciute sofferenze, rughe di scaduta resistenza. I volti nel marmo, specchi del suo, imperfetti, come già sepolti, sono pietà per ogni altra morte. Delta d’acqua la mano della madre che sostiene senza forza il Cristo, dall’incompiutezza nasce la pietà: una donna espone il figlio morto. obbligata a offrirlo al mondo per incerta promessa dei riscatto
DOPO TANTO ESILIO
Una sera d’improvviso senti voci di ragazzi che dal cortile salgono fino all’ultimo piano. Giocano sudati a palla e sono come l’estate che arriva tardi magari quando inizi a dubitare.
L’ABITO SPORCO
Dall’alto del vagone m’affaccio a guardare la città tagliata in due dalla duplice ferita dei binari, rimarcata ogni volta dal correre dei treni, mai guarita, e m’accorgo di scoprire una sua parte segreta che non si vorrebbe mai rivelare. Carcasse d’auto randagie come topi mi corrono a fianco sulla spiaggia, conche d’arcobaleni instabili di nafta le barche spiazzate da una pioggia che le fa straripare, fantasmi di case (erano roulottes felici sul mare). Capisco che devo voltare gli occhi e non sapere, che sto facendo male, non è questa città che devo vedere.
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