FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia

Numero 25
gennaio/marzo 2012

Grumi & Nodi

 

ARTE E NODI

di Bernard Noël



«Può spesso accadere che le vite umane dipendano da un nodo ben fatto.», dice l’epigrafe del Manuel du gabier. E il seguito ribadisce: «Il nodo ben fatto è quello in grado di resistere in modo sicuro a qualsiasi sforzo, e che si può sciogliere con facilità se lo si desidera.»
Da secoli, vi è un’arte dei nodi che non fu mai arte. Tanti nodi intrecciati alla perfezione, milioni di nodi seguiti da altri milioni senza che fosse loro riconosciuto quel valore aggiunto. Che cosa gli mancò?
– Li chiamavo attrezzi, dice Christian Jaccard. È una storia semplicissima, una storia di tempo perduto, di tempo che passa, d’usura del tempo. Il percorso assomiglia a quello dei disegni cosiddetti di telefono. Ho cominciato alla stamperia mentre la macchina vomitava i fogli. In quella stamperia sono restato dal 1964 al 1976. Recuperavo le cordicelle che legavano le pagine di piombo e alla fine venivano gettate. Aggiungevo un tocco di fantasia, per esempio un pezzo di cordicella rossa fungeva da legaccio. Sistemavo poi un nodo con la pressa typo, lo stampavo su un foglio di carta. Facevo sorgere lo stampaggio con un tampone leggermente impregnato d’inchiostro, dopodiché incollavo l’attrezzo a fianco...

Concept supranodal, polyptyque
12 éléments sur console
, 2008
(Dal sito artabsolument)

Ecco uno di questi stampaggi con il suo attrezzo: una cordicella annodata in mezzo e circondata d’un sottile spaghetto di lino. La finzione è l’impronta della realtà, potremmo quasi scrivere sotto. E chino su questa impronta, ti chiedi se è la traccia del salto qualitativo ignorato dal Manuel du gabier.
– Vedi, era molto primitivo, comincia Jaccard, ma c’era un rapporto intimo tra questo lavoro e quello che mi permetteva di guadagnare da vivere. Adesso non chiamo più questi attrezzi ma oggetti.
Tu guardi «questo»: un «questo» che ha preso così tante forme da non riuscire neanche più a scorgerne i dettagli. Ma non è, appunto, la combinazione dei numeri e delle forme che dà all’insieme una strana energia, nella quale il numero fa entrare il tempo?
Eccoti d’un tratto davanti a una forma enigmatica perché è presente e virtuale insieme, completa e in espansione: una forma da cui tutte queste forme sono gli organi e i componenti. L’impressione è molto forte, non arriva a fissare ciò che la motiva, ed è nell’aria così come esiste nella testa un pensiero che modelliamo a poco a poco con delle parole.
Ti giri verso la sinistra dove risiede un’altra partita di «questo», la partita troppo voluminosa per essere impilata, impacchettata, e resta, quindi, lì in permanenza. Vi sono, appoggiati contro il muro, soprattutto i grandi totem di nodi neri. Un silenzio, per così dire, li circonda, uno spessore aereo di silenzio.

– Quando ho cominciato ad annodare, verso il 1972, procedevo in modo completamente nevrotico per colmare i tempi morti. Mi capitava di annodare di notte per calmarmi. L’utilizzo dei nodi come attrezzo ha naturalmente trasformato il loro statuto, li ha distanziati da me, poi la pazienza ne ha fatto un lavoro. Ho incrociato allora l’arte minimale, ma ho oltrepassato il comportamento minimalista con la pazienza, la maturazione, l’investimento del tempo. Tuttavia il lavoro dei nodi, l’ho per lungo tempo tenuto a distanza, a margine dei miei quadri, dei miei trofei, dei miei anonimi, adesso, al contrario, non voglio più dissociarlo da quelli...
Ai piedi dei totem, vi sono undici grossi nodi, nodi in corda impeciata che hanno la dimensione di un abbraccio. Ciò è rude all’occhio, un po’ aggressivo per via di una barbarie della forma, grossolanamente circolare e che si avverte chiusa con fatica. Sono nodi-mucchio, nodi che...
– Il loro denominatore comune, dice Jaccard, è un identico metraggio.
– È il loro segreto?
– Me ne sono accorto in seguito. Avevo in mente di costruire una colonna, poi ho visto che l’indipendenza di ogni elemento permetteva una mobilità, dunque varie disposizioni. Posso impilarle, posso disperderle. Se aumento il metraggio, la forma sarà un’altra, e un’altra ancora, se aumento il diametro della corda. Ma non abbandono il progetto della colonna.

Afferra uno dei nodi, lo posa al di sopra degli altri, poi ne aggiunge un terzo: effettivamente s’impilano alla perfezione, ma la sorpresa non è lì, davanti a questo inizio di colonna, il fatto è che la materia sembra essersi trasformata: adesso si direbbe del cuoio, un cuoio rilucente.
La colonna attinge l’altezza umana. L’irregolarità dei nodi dà delle inflessioni al fusto e questo fa giocare la luce che velluta la superficie.
I grandi totem non appaiono che più ieratici contro il muro, più distanti, non nello spazio, ma nel tempo. Il loro gruppo monta la guardia, a meno che non formi il padre eterno dei nodi.



Pièce rouge calcinée, 1985
(Dal sito ArtCatalyse)


Traduzione dal francese di Viviane Ciampi




Il breve brano qui proposto, tratto da Roman des Nœuds (Romanzo dei nodi) è contenuto all’interno del vasto Romans d’un regard (Ed. P.O.L 2003), frutto di una lunga ricerca del poeta, pensatore, drammaturgo e critico d’arte Bernard Noël negli ateliers dei grandi artisti contemporanei.
Nel Romans d’un regard (Romanzi d’uno sguardo) si può leggere in quarta di copertina: «Un giorno, l’autore fu colpito dalla natura dello spazio incluso tra il dorso (“dos”, in francese) del pittore e il rovescio (sempre “dos”, in francese, N.d.T.) della tela. Si ravvisava in ciò qualcosa che fin lì era rimasto invisibile – e che lo era ancora pur diventando palese, ossia sensibile e addirittura sostanziale. Tra questi due “dos” lo spazio aveva cessato di essere semplicemente aria, era un’estensione del corpo, un supplemento corporeo. Da allora, vi fu coscienza d’un supplemento simile tra il corpo e il soggetto guardato: coscienza di una relazione fisica all’interno di ogni sguardo attentamente posato sull’Altro...»
L’artista qui contemplato da Bernard Noël è Christian Jaccard (N.d.T.)




Christian Jaccard
è nato in Francia, a Fontenay-sous-bois, nel 1939. Dopo studi a L’École des Beaux-Arts di Bourges (1956-60), sovverte l’arte classica o tradizionale della pittura. Libero da ogni telaio, il quadro, posato al suolo, è impresso per mezzo di ciò che l’artista nomina come «attrezzi»: oggetti naturali (piante e insetti), foglio, nastri, poi a partire del 1971, corde, spaghi, nodi. Questi attrezzi sostituiscono il pennello per produrre tracce sulla tela. Nel 1973, brucia questi attrezzi contro la tela, che porta così la traccia della loro combustione.
Dal 1979 al 1981, Jaccard crea una nuova serie: gli anonimi carbonizzati, sottomessi al calore distruttivo delle tele anonime del XVII, XVIII, XIX, XX secolo – ritratti, scene religiose, poi striscioni pubblicitari per il cinema. La combustione intacca certe parti dell’immagine per lasciarne altre più visibili.
Il percorso dell’artista si fonda su una filosofia vicino all’esoterismo. Alla pratica della combustione, associa un «materiale» d’ordine rituale, primitivo. La creazione col fuoco e attraverso il medesimo diviene il passaggio obbligato di una trasmutazione della materia il cui risultato è imprevedibile e genera una rappresentazione più o meno astratta.
Attraverso la sua azione sperimentale, l’opera di Jaccard partecipa alla ridefinizione della cornice strutturale del quadro, il che, negli anni '70, lo avvicina alle preoccupazioni del gruppo Supports-Surfaces.

(L'immagine è tratta dal sito ArtCatalyse)