COMPAGNI DI VIAGGIO
Lungo la spiaggia di Ansedonia ci accompagnano, allegre e un po’ insolenti, le orme di una piccola volpe. Forse adesso ci scruta dalla macchia con lo sguardo fisso. Forse stanotte annuserà le nostre orme, così disordinate e tracotanti. Quanti compagni di viaggio invisibili sulla strada, quanti fratelli.
UNA PENNA VERDE
Semplicemente sento scorrere la vita mentre l’uomo solo in treno accanto a me è intento alle parole crociate e pensa forse a un gatto che l’aspetta a casa grigio e prepotente, e ha solo lui, e un cappotto dimesso, stanco di portarlo in giro sui treni, solo e con quell’idea del gatto nella testa. C’è anche un sole molto violento, un sole di gennaio che un po’ ci riscalda e un po’ ci ubriaca e io ho una penna verde e aspettiamo la partenza per Matera.
UN INVENTARIO DELLA LUCE
Com’è limpido il cielo e come sgorga. Sono qui per fare un inventario della luce, per dare alle pupille le case disseminate nel paesaggio dell’alba priva di vento. Sono qui per mietere a piene mani.
IL CONFINE DEL VENTO
Questa campagna esatta e laboriosa tenere tra le braccia, masticarla piano, assaporare tra i denti una gioia assoluta e senza credi, diventare lo sguardo fisso delle vigne, essere i sentieri che corrono a perdifiato tra gli ulivi, vene che ingurgitano i verbi della luce, la grammatica breve degli insetti, le vite infinite e sconosciute, le chiome nebulose dove si frange il volo della gazza, le aperte geometrie, se potessi questa terra ingoiarla, digerirne le masserie lucide di calce e di silenzi, essere il brusio delle finestre, il richiamo misterioso dei pozzi, se potessi essere la memoria di tutti i fili d’erba, essere io lo sguardo il suono, il confine del vento.
FATTI SENTIRE
Te ne sei andata senza spiccioli, senza passaporto, ti lasceranno entrare ? Aprile ti prenderà in consegna? Allora tornerai? il sorriso e il pianto bussano alla tua porta ma tu non vai ad aprire. Altri traguardi premono. Te ne vai con i segni di una lotta di radici e d’aria, di terra e di pura necessità. Non ci domandiamo nemmeno chi siano gli sconfitti. E gli orecchini? E adesso le tue bambole? le fotografie? Sei semplicemente salita sul convoglio della morte. Ora aspettiamo la pioggia e il tuo ritorno. Ma tu non tornerai. Il traffico non ti riguarda più, il sole non picchierà alla tua finestra. Hai orizzonti indecifrabili per noi. Di tangibile c’è tutto il nostro disappunto. Non vuoi preparare la lezione, non vuoi mettere la torta in forno, o aprire il frigorifero. Né guardare il mare. Anche l’amore ti risulta estraneo. Il cielo assedia la tua nuova casa e non smetteremo di pensarti. Ma tu fatti sentire.
COSA ACCADE ALLA CASA QUANDO ESCO SBATTENDO LA PORTA
Ci sono parole che ancora volteggiano nell’aria prima che i loro vuoti involucri si adagino in un residuo di polvere lungo le pareti. Piccoli insetti diventano padroni del silenzio. La poltrona trattiene il vuoto della forma, i quadri mantengono un rigido riserbo. Sul pavimento lucido un filo parla la lingua dell’esilio. La finestra registra il profilo delle nuvole. Il frigorifero senza preavviso si mette a borbottare. Si assiste alla declinazione degli oggetti durante la parabola del sole. Nella luce si affaccia una pantofola, cerbiatta timida prossima alla consunzione. Il suono del postino irrompe nel vuoto della casa, lo riempie di uno splendido interrogativo. Il clamore del traffico accarezza le sedie in cucina. Nei bagni le tubature se ne infischiano delle voci dei vicini ed emettono brevi gorgoglii, guaiti appena pronunciati, sospiri, soffi. Forse risuonano dei passi, forse una vecchia paura ancora aleggia nelle stanze. Le tovaglie conservano i loro vividi colori. Ci sono dita che si attorcigliano all’attesa.
DOMANDE
Dimmi papà, com’è morire? sei ancora apprendista o veterano? in nove anni hai sostenuto degli esami, oppure non c’è molto da imparare? m’insospettisce che nessuno si lamenti, forse è un bel posto, si può passeggiare? organizzare gite? andare in barca? servono le tabelline? e le carte geografiche? la vita di società contempla le stesse disinvolture? si può spettegolare? E tu come stai? mi puoi parlare? Puoi leggere il giornale, o ricordare? Qui seguitiamo a fare quello che facevamo, che è semplicemente sguazzare nella vita, starcene aggrappati ai desideri, alle paure. Io cerco uno spiraglio per spiarti di là, per controllare se ancora fumi le super senza filtro, se vai talvolta in bicicletta, se ti piacciono sempre i libri di fantascienza, se sei triste e avverti nostalgia. Ma ho la sensazione che sarà difficile parlarci. E il trattamento? I cibi sono a scelta? Si può fare la mezza pensione? C’è qualcosa che ancora somiglia a questa vita? Perché tanta paura, tutti ci passano, nessuno, nessuno che abbia protestato, che sia tornato indietro per dirci: attenzione! è uno schifo di posto. Mai nessuno ci ha detto queste cose. E tu, puoi dirmi tu qualcosa che m’illumini? Forse morire è così dolce che non vuoi dividerlo con nessuno? Ci si abitua di fretta?
LE CLARINETTISTE DELLA BANDA
Alle clarinettiste della banda aprile porge nuovi alfabeti sulle labbra e avvolge la scansione degli anni al ceppo della primavera. Le clarinettiste costeggiano le occorrenze del vento, l’impellenza dell’amore e l’idea stessa di una geologia del corpo, le mani frammentarie e il farneticare luminoso dei capelli, le promesse di una fertilità terrena, la continuità delle gambe. Le precede il fiume di una musica rotonda che si sgrana in forma d’acini d’uva, polpa d’anguria, si dissipa nel segreto dei chicchi di una melagrana, si allarga nel respiro di un’erba invaghita della luce.
CARAMELLE
Verrò in via delle vigne quattordici a passarti l’ultima delle mie caramelle, è lì che abita in forma di zucchero l’orto di tua madre e si gonfiano di rosso i pomodori nel cerchio delle alpi e l’insalata ha il suono familiare di una porta che sbatte. Gli autunni vengono con passo leggero e io mi arrampicherò sul tuo accento di montagna, sulle gutturali che sono rocce aspre, su certe consonanti che imitano il tumultuoso gorgoglio dei torrenti. Le tue mani forse mi cercavano, tentavano un approdo, ma tu lo sai che il nostro sole è la solitudine e la promessa di non vederci più è già nei nostri passi. L’ho visto il gatto, e quella lunga scia di tristezza. Ho visto la fabbrica e la fretta dei viaggi. Le mani si cercavano e ridevi di un riso notturno e c’era la pioggia e il buio e il momento era perfetto per perdersi, per scivolare via come un addio.
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