FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia

Numero 23
luglio/settembre 2011

Vulcani

 

L'ANGOLO DI ED

a cura di Giuseppe Ierolli


Vulcani


J175-F165

I have never seen "Volcanoes" -
But, when Travellers tell
How those old - phlegmatic mountains
Usually so still -

Bear within - appalling Ordnance,
Fire, and smoke, and gun -
Taking Villages for breakfast,
And appalling Men -

If the stillness is Volcanic
In the human face
When upon a pain Titanic
Features keep their place -

If at length, the smouldering anguish
Will not overcome,
And the palpitating Vineyard
In the dust, be thrown?

If some loving Antiquary,
On Resumption Morn,
Will not cry with joy "Pompeii"!
To the Hills return!

    Non ho mai visto "Vulcani" -
Ma, quando i Viaggiatori narrano
Come quei vecchi - flemmatici monti
Di solito così calmi -

Portino dentro - spaventose Artiglierie,
Fuoco, e fumo, e cannoni -
Che prendono Villaggi a colazione,
E terrorizzano gli Uomini -

Se la calma è Vulcanica
Nel volto dell'uomo
Quando in Titanica pena
I lineamenti restano inalterati -

Se a lungo, l'angoscia covata
Non uscirà in superficie,
E il palpitante Vigneto
Nella polvere, non sarà gettato?

Se qualche amante dell'Antico,
In un Rinnovato Mattino,
Non griderà gioioso "Pompei"!
Alle Colline ritorna!

Il vulcano è metafora classica di qualcosa che cova sotto la cenere, pronta a erompere senza più limiti. I tre "if" che aprono le ultime tre strofe sono da intendersi implicitamente preceduti da "allora mi chiedo", in uno scioglimento della metafora che si conclude con una "Pompei" riscoperta sotto la lava dei millenni.
L'ultima strofa sembra dirci che l'unica possibile "Pompei" dell'anima, ovvero l'agnizione finale, lo sciogliersi dell'angoscia dell'ignoto che ci accompagna durante la vita, sarà possibile soltanto nella resurrezione, quando finalmente saremo liberati dal buio in cui siamo immersi.

 

J422-F415

More Life - went out - when He went
Than Ordinary Breath -
Lit with a finer Phosphor -
Requiring in the Quench -

A Power of Renowned Cold,
The Climate of the Grave
A Temperature just adequate
So Anthracite, to live -

For some - an Ampler Zero -
A Frost more needle keen
Is nescessary, to reduce
The Ethiop within.

Others - extinguish easier -
A Gnat's minutest Fan
Sufficient to obliterate
A Tract of Citizen -

Whose Peat life - amply vivid -
Ignores the solemn News
That Popocatapel exists -
Or Etna's Scarlets, Choose -

    Più Vita - si spense - quando Lui se ne andò
Di un Ordinario Respiro -
Accesa da un Fosforo più pregiato -
Che aveva bisogno per Spegnersi -

Della Potenza di un Freddo Rinomato,
Il Clima della Tomba
Una Temperatura giusto adeguata
Acché l'Antracite, sopravviva -

Per alcuni - un più Ampio Zero -
Un Gelo più pungente di un ago
È necessario, per soggiogare
L'Etiope che è dentro.

Altri - si estinguono più facilmente -
Il minuscolo soffio di un Moscerino
È sufficiente a obliterare
Una Quantità di Cittadini -

La cui vita di Torba - ampiamente vivida -
Ignora la solenne Notizia
Che esiste Popocatapel -
O gli Scarlatti dell'Etna, Scegliete -

I riferimenti all'Antracite e alla Torba (vv. 8 e 17) sono tratti dalla seconda delle Reveries of a Bachelor di Ik Marvel (pseudonimo di Donald Grant Mitchell), un testo del 1850 molto famoso fra i giovani all'epoca della Dickinson, dove all'antracite sono associate le persone solide, profonde, mentre alla torba quelle superficiali, mutevoli, brillanti.
Nella metafora dickinsoniana le prime sono quelle che nemmeno il gelo della tomba riesce a spegnere del tutto (un richiamo alla fama postuma?) mentre le seconde possono essere cancellate dal battito d'ali di un moscerino, perché ignorano la lava incandescente che si nasconde nel profondo, quella che nei due vulcani citati nella poesia è pronta a erompere anche dopo un lungo sonno.
Il "Choose" finale l'ho interpretato come un imperativo: scegliete: antracite o torba.

 

J601-F517

A still - Volcano - Life -
That flickered in the night -
When it was dark enough to do
Without erasing sight -

A quiet - Earthquake Style -
Too subtle to suspect
By natures this side Naples -
The North cannot detect

The Solemn - Torrid - Symbol -
The lips that never lie -
Whose hissing Corals part - and shut -
And Cities - ooze away -

    Una silenziosa - di Vulcano - Vita -
Che fluttuava nella notte -
Quando era buio abbastanza per fare
A meno della vista che cancella -

Un quieto - Stile di Terremoto -
Troppo sottile per far insospettire
Nature di questo lato di Napoli -
Il Nord non sa distinguere

Il Solenne - Torrido - Simbolo -
Le labbra che non mentono mai -
I cui sibilanti Coralli si separano - e si serrano -
E Città - dissolvono -

ED fa un autoritratto. Una silenziosa ma vulcanica vitalità, che preferisce rivelarsi di notte, quando il buio impedisce alla luce di abbagliare e cancellare ciò che è nascosto, che è dentro di noi. Un quieto stile di terremoto (evidente dicotomia), così ben nascosto che fa vedere il quieto e cela il terremoto, e non fa minimamente insospettire chi è nato lontano da vulcani, simboleggiati dalle labbra dei loro crateri, che si aprono e si richiudono dissolvendo città intere.
Un ritratto autobiografico esattamente conforme a ciò che avveniva ad Amherst: un vulcano, un terremoto che covava sotto la cenere (ED indica al verso 6 la variante "endangering" - che significa appunto "covare sotto la cenere" - al posto di "subtle") in una tranquilla e borghese casa di Main Street, senza che nessuno sospettasse minimamente il movimento tellurico che aveva accanto.
Al verso 10 "lie" significa anche "giacere" e perciò potremmo leggere "labbra che non giacciono (o riposano) mai". Ma anche mentire ha senso, perché le labbra che non mentono, dalle quali scaturiscono i versi, sono contrapposte alla maschera esteriore del vulcano-terremoto, che deve apparire silenzioso e quieto.

 

J754-F764

My Life had stood - a Loaded Gun -
In Corners - till a Day
The Owner passed - identified -
And carried Me away -

And now We roam in Sovreign Woods -
And now We hunt the Doe -
And every time I speak for Him
The Mountains straight reply -

And do I smile, such cordial light
Upon the Valley glow -
It is as a Vesuvian face
Had let it's pleasure through -

And when at Night - Our good Day done -
I guard My Master's Head -
'Tis better than the Eider-Duck's
Deep Pillow - to have shared -

To foe of His - I'm deadly foe -
None stir the second time -
On whom I lay a Yellow Eye -
Or an emphatic Thumb -

Though I than He - may longer live
He longer must - than I -
For I have but the power to kill,
Without - the power to die -

    La Mia Vita era stata - Un Fucile Carico -
Negli Angoli - finché un Giorno
Il Proprietario passò - Mi identificò -
E Mi portò via -

E ora vaghiamo in Boschi Regali -
E ora cacciamo la Cerva -
E ogni volta che parlo per Lui
Le Montagne subito rispondono -

E basta ch'io sorrida, quale vigorosa luce
Sulla Valle avvampa -
È come se un volto di Vulcano
Avesse liberato la sua gioia -

E quando a Sera - finita la bella Giornata -
Sorveglio il Capo del Mio Padrone -
È più bello che le Soffici Piume
Del profondo Cuscino - aver condiviso -

Al Suo nemico - sono mortale nemica -
Niente si muove per la seconda volta -
Su cui io abbia posato un Occhio Giallo -
O un energico Pollice -

Sebbene di Lui - possa vivere più a lungo
Egli più a lungo deve - di me -
Perché io ho solo il potere di uccidere,
Senza - il potere di morire -

La vita come un fucile carico, pronto a far erompere la propria energia non appena qualcuno, o qualcosa, la risveglia dagli angoli in cui è poggiata, inerte. Da quel momento segue il suo padrone nel vagabondaggio in mezzo alla natura. Il fucile diventa la voce di chi lo porta con sé; spara nella caccia alla cerva, facendo risuonare l'eco delle montagne con una splendente e vigorosa luce che somiglia all'eruzione di un vulcano che lasci libera la sua gioia di erompere. E a sera, quando la bella giornata passata insieme è ormai finita, quanto è dolce vegliare su di lui, più dolce che condividere il profondo cuscino di soffici piume che accoglie il suo capo. Nessuno gli farà del male, perché per il fucile è un nemico chiunque lo sia del suo padrone, e nessuno riuscirà a muoversi più di una volta se capita a tiro della sua canna, che si illumina nello sparo, e del suo grilletto, un energico pollice che non perdona. E sebbene il fucile non possa essere toccato dalla morte, potendola soltanto dare, è il padrone che deve vivere più a lungo di lui, perché non si ha il potere di vivere se non si ha quello di morire.
Molte le interpretazioni. "The Owner" può essere Dio, che dà alla vita il suo soffio divino ma ci vieta nel contempo di porre fine ad essa se non quando lui lo vuole; o, in un'ottica femminista, il potere patriarcale che relega la donna a soggetto passivo e adorante; o l'amato, che permette il fiorire di una ardente passione; o la poesia, che dà al poeta il potere di esternare i propri sentimenti.
Secondo me le più plausibili sono le ultime due, non come alternative ma in una sorta di simbiosi che lega insieme il sentimento più ardente che si possa provare con il dono più bello che si possa avere: quello di saper esternare le proprie sensazioni e le proprie passioni; un dono che, come nel caso di ED, diventa anche un mezzo per vivere quei sentimenti che spesso dobbiamo reprimere, o che non riusciamo a cogliere durante la nostra vita. Insomma, il fucile-poeta, strumento della poesia, e il fucile-amante, che si consegna come docile strumento nelle mani dell'amore.
In entrambi i casi il fucile si relega appunto al ruolo di strumento, ma felice e orgoglioso di esserlo, e così riconosce all'amore e alla poesia la supremazia dell'immortalità, resa con l'enigmatica e apparentemente fuorviante ultima strofa, dove al "fucile" è negato il potere di morire e sembra così che, in una connotazione implicitamente negativa, sia esso l'immortale. Qui dovremmo invece leggere la morte come passaggio verso l'immortalità, un passaggio che per noi mortali resterà forse sempre sbarrato.

 

J1146-F1161

When Etna basks and purrs
Naples is more afraid
Than when she show her Garnet Tooth -
Security is loud -
    Quando l'Etna si crogiola e fa le fusa
Napoli è più impaurita
Di quando mostra i suoi Granati Denti -
La sicurezza è rumorosa -

Una variazione su "can che abbaia non morde". Qui ED scambia Catania con Napoli, o il Vesuvio con l'Etna. Nella J1705-F1691 c'è l'errore opposto: il Vesuvio è accostato alla Sicilia.

 

J1677-F1743

On my volcano grows the Grass
A meditative spot -
An acre for a Bird to choose
Would be the general thought -

How red the Fire rocks below
How insecure the sod
Did I disclose
Would populate with awe my solitude

    Sul mio vulcano cresce l'Erba
Un angolo meditativo -
Un campo adatto a un Uccello
Sarebbe opinione comune -

Quanto rosso il Fuoco si agiti sotto
Quanto insicura la zolla
Dovessi svelare
Si popolerebbe di sgomento la mia solitudine

La calma apparente della solitudine cela spesso un fuoco interiore che se svelato sgomenterebbe chiunque.

 

J1694-F1703

The wind drew off
Like hungry dogs
Defeated of a bone
Through fissures in
Volcanic cloud
The yellow lightning shone -
The trees held up
Their mangled limbs
Like animals in pain
When Nature falls upon herself
Beware an Austrian
    Il vento si ritrasse
Come cani affamati
Defraudati di un osso
Attraverso fessure in
Vulcaniche nubi
Il fulmine giallo brillò -
Gli alberi sostenevano
I loro mutili rami
Come animali in pena
Quando la Natura attacca se stessa
Guàrdati dal Tronco

Una tempesta raccontata come se fosse un attacco della natura contro se stessa, con immagini vive e incalzanti e una sorta di raccomandazione finale a non fidarsi di nulla che faccia parte di quella natura in guerra.
Nell'ultimo verso non è certo cosa intendesse ED con "Austrian". Nel Webster è definito soltanto come "austriaco", abitante dell'Austria, ma in tale accezione il senso rimarrebbe oscuro. Sono state proposte due soluzioni (sia da Errante, nelle note dell'edizione del 1959, sia dalla Bulgheroni nella nota nel Meridiano): una ortografia scorretta per "Auster" ovvero "Austro", un vento che viene dal sud (ma Errante fa notare che "nella Nuova Inghilterra l'austro non è un vento di tempesta; esso fonde anzi la neve, e aiuta l'erba e i fiori della primavera a spuntare."); un'abbreviazione per "Austrian Pine" ovvero "Pino Austriaco", che, come dice la Bulgheroni, è considerato"pericoloso come albero che attrae il fulmine". Gli alberi con i rami strappati, evidentemente colpiti dal fulmine, dei versi 7-9 fanno propendere per quest'ultima soluzione, come se quegli alberi mutilati fossero un monito a non fidarsi di tronchi ancora frondosi e intatti, un apparente riparo in realtà pieno di pericoli.

 

J1705-F1691

Volcanoes be in Sicily
And South America
I judge from my Geography
Volcanoes nearer here
A Lava step at any time
Am I inclined to climb
A Crater I may contemplate
Vesuvius at Home
    Vulcani ci sono in Sicilia
E in Sud America
A giudicare dalla mia Geografia
Vulcani più vicini qui
Un gradino di Lava alla volta
Sono propensa a scalare
Un Cratere posso contemplare
Vesuvio in Casa

I vulcani veri, concreti, sono lontani, ma non c'è bisogno di fare lunghi viaggi per assaporarne il calore, basta guardare, per esempio, dentro la mente di un poeta, abituata a scalare lave più vicine ma altrettanto ardenti.
Come nella J1146-F1161 c'è uno scambio di vulcani: là l'Etna a Napoli, qui il Vesuvio in Sicilia.

 

J1748-F1776

The reticent volcano keeps
His never slumbering plan;
Confided are his projects pink
To no precarious man.

If nature will not tell the tale
Jehovah told to her
Can human nature not proceed
Without a listener?

Admonished by her buckled lips
Let every prater be
The only secret neighbors keep
Is Immortality.

    Il reticente vulcano custodisce
Il suo piano mai assopito;
I suoi progetti rosa sono confidati
A uomo non effimero.

Se la natura non racconterà la storia
Che Jehovah le raccontò
Potrà mai la natura umana procedere
Senza un ascoltatore?

Ammonito dalle sue labbra sigillate
Ogni chiacchierone sia
Il solo segreto che i vicini mantengono
È l'Immortalità.

Il vulcano è il simbolo della natura che tiene ben celati nelle sue profondità i segreti del piano divino, un progetto che non può certo essere confidato a uomini mortali e perciò effimeri. Se la natura continuerà a non rivelare quei segreti, riuscirà l'uomo a procedere nel suo cammino senza aver nulla da raccontare a nessuno? Ma forse è proprio questo il destino dell'uomo, un destino suggerito dal silenzio della natura: quello di non sapere, di dover mantenere, suo malgrado, un segreto di cui in realtà non sa nulla.

 


Le poesie di Emily Dickinson non hanno un titolo, a parte rarissime eccezioni. I numeri che le precedono si riferiscono alla numerazione attribuita nelle due edizioni critiche, curate rispettivamente da Thomas H. Johnson nel 1955 ("J") e da R. W. Franklin nel 1998 ("F").


ierolli@hotmail.com
www.emilydickinson.it