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IL RITORNO IN ITALIA DEL POETA VICTOR OLIVEIRA MATEUS di Vera Lúcia de Oliveira |
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Victor Oliveira Mateus, poeta portoghese di grande forza e intensità, ci regala la sua sesta raccolta, dal titolo Regresso (Editora Labirinto, Amarante, 2010). Regresso, e cioè “ritorno”, è parola già di per sé carica di attese e di poesia. Presuppone un viaggio nella memoria, alla ricerca di un luogo, di una persona, di un rapporto, di un ricordo, di un’immagine, di un vissuto. Il luogo in cui si ritorna qui è Torino, città che il poeta ripercorre da solo, attento a ogni particolare, cogliendo ogni momento in un soliloquio illuminato dalla nostalgia e dal vuoto della figura amata. In realtà, forse più che cercare l’amata, il poeta cerca sé stesso, certa colui che è rimasto intrappolato in un momento, in una fotografia, nei ricordi che non si cancellano e che impediscono di continuare l’esistenza. Nei versi di questa densa raccolta, di un lirismo riflessivo e filosofico, le poesie sono tappe essenziali di un viaggio interiore e paiono, più che un incontro, un doloroso e necessario commiato.
Insieme all’io lirico, seguiamo il suo itinerario fra i luoghi del ricordo: Via Roma, Piazza San Carlo, Via Po, Piazza Vittorio Veneto e poi ancora il Palazzo Reale e altri monumenti e viali della Torino che appassiona i visitatori di tutto il mondo. Ma non ci facciamo ingannare da quello che, solo in apparenza, è un giro turistico. Fra passanti e visitatori affrettati o chiassosi, troviamo l’io intento a compiere una sorta di pellegrinaggio per una città che è stata, insieme, testimone e scenario di momenti che debbono essere rivissuti e ossessivamente sviscerati affinché si possa placare la sensazione di qualcosa che è rimasta incompiuta:
(...) E foi, mais ou menos por essa altura, que eu quis voltar atrás. Voltar atrás para encontrar a origem. Uma porta. Para recomeçar tudo de novo, mas de outro modo. Voltar atrás para encontrar o princípio – e a mim através dele(p.18)
(…) E fu più o meno da quel momento, che volli tornare indietro. Tornare per trovare l’origine. Una porta. Per ricominciare tutto di nuovo, ma in un altro modo. Tornare per ritrovare l’inizio – e me stesso tramite esso
Una malinconia accompagna i passi del poeta e un disincanto di chi sa che il suo è un incontro a cui solo uno dei due personaggi si presenterà. Non è un caso che egli affermi, nella poesia che apre la raccolta, che non voleva ritornare e che lo ha fatto solo per un’assoluta compunzione dell’anima:
À minha maneira tudo fiz para não voltar aqui. Para não me expor à inútil corrosão da memória, ao enganoso magma das palavras. A meu modo sempre evitei estas grades, estas árvores simetricamenteencaixotadas acenando-me ao fundo (p.11)
A modo mio tutto ho fatto per non tornare qui. Per non espormi all’inutile corrosione della memoria, all’ingannevole magma delle parole. A modo mio ho evitato sempre queste grate, questi alberi simmetricamenteallineati che mi accennano in fondo
La città è indaffarata, i passanti distratti mentre il poeta è sospeso, come fuori dal tempo (anche se non dallo spazio), alla ricerca delle stesse coordinate spazialo-temporali in cui si è compiuto un rapporto e un’esistenza: “Aqui, debruçado sobre o Pó, / sorvendo-lhe as águas e os reflexos, digo-me finalmente / ao que vim: procurar pegadas, retalhar acidentes…” [Qui, affacciato sul Po / assorbendogli le acque e i riflessi, mi dico finalmente / perché sono venuto: cercare orme, riordinare i fatti…] (p.14).
In questo diario intenso i grandi temi dell’esistenza si mescolano a fatti e gesti quotidiani e la vita entra nei versi attraverso le voci della città, attraverso i dialoghi rubati che si intrecciano ai pensieri e al percorso in profondità fatto dall’autore. Tutto diventa materia di poesia, tutto viene catturato dallo sguardo attento di un io che analizza sé stesso e il mondo e che, nei momenti di più intensa nostalgia, sdrammatizza con ironia il suo stesso dolore.
Con un eloquio chiaro e posato, con versi lunghi e regolari (quasi sempre più di dodici sillabe), egli procede al riconoscimento dei luoghi in cui è vissuto, sorpreso che nulla vi sia rimasto impresso, che la vita proceda e non lasci memoria di sé. Allora è necessario ricorrere alle fotografie, ricontrollare oggetti e immagini, ricercarsi in uno scatto che ha immobilizzato volti e movenze e strappato al nulla ciò che ormai vive solo nella memoria:
Na foto ela está sorridente. Ar inocente, conseguido. Ele também, triunfante e pose a condizer, embora presa de presa mas sem o saber. Outros iguais nas mesas vizinhas – esperam a hora para descer (...). Na foto lá estão os toldos branco-sujo a cobrir as mesas, as cervejas, os sorrisos. A um transeunte foi-lhe roubado o espanto, fixado naquele pedaço de papel sem brilho. Debruço-me para dentro da foto, mas não me vejo. Contudo, tenho a certeza que estou (p.15)
Nella foto lei è sorridente. Aria innocente, riuscita. Anche lui, trionfante nella giusta posa, catturati uno dall’altro ma senza saperlo. Altri identici nei tavoli vicini – attendono l’ora di andarsene (…). Nella foto si vedono i tendoni bianco-sporco che coprono i tavoli, le birre, i sorrisi. A un passante è stato rubato lo stupore, fissato in quel pezzo di carta opaca. Mi sporgo dentro la foto, ma non mi vedo. Eppure sono certo che ci sono
Ha ragione il critico e poeta brasiliano Paulo Franchetti quando afferma, nella postfazione del libro, che non si percepisce veramente un “tu” in questi versi, ma solo un “io” alla ricerca, in viaggio e in attesa. Il titolo di una delle più belle poesie del libro, “Desabitada presença” (Disabitata presenza), nella sua ossimorica sintesi può ben riassumere il senso di questo ritorno ai luoghi disabitati da colui che si è venuto, invano, a cercare.
Per questo, Regresso è una sorta di requiem, di canto dell’assenza. Le ultime poesie hanno, infatti, titoli che rimandano all’ambito religioso: “Vésperas, sem oração (Vespri, senza preghiera), “Litania para um dia depois” (Litania per il giorno dopo). È il commiato che permette all’io lirico di ritornare al punto da cui era partito e di ricominciare l’esistenza consapevole che la parola e la poesia se non salvano, almeno guariscono, consolano e danno un senso al viaggio e alla vita.
POESIE DI VICTOR OLIVEIRA MATEUS
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O ÚLTIMO LANCE
À minha maneira tudo fiz para não voltar aqui. Para não me expor à inútil corrosão da memória, ao enganoso magma das palavras. A meu modo sempre evitei estas grades, estas árvores simetricamente encaixotadas acenando-me ao fundo o Palazzo Reale. Caminho tantas vezes tido e hoje recusado, por entre sorrisos contrafeitos e olhares tomados de empréstimo. À minha maneira tudo fiz para não voltar e encontrar esta praça, estas fontes geometricamente incrustadas no solo, as estátuas ( Castori, de braço soerguido, segurando algo que eu sei ser o que no dizem), os cheiros, a música, as paixões viradas para dentro... Tudo fiz mas sem sucesso, por isso agora fico: múltiplo, aéreo, lembranças ao desbarato (umas sobre as outras, amarfanhadas). Fico – sem códigos nem certezas, mas apesar de tudo firme – tão imperturbavelmente firme.
L’ULTIMO SCENA
A modo mio tutto ho fatto per non tornare qui. Per non espormi all’inutile corrosione della memoria, all’ingannevole magma delle parole. A modo mio ho evitato sempre queste grate, questi alberi simmetricamente allineati che mi accennano in fondo al Palazzo Reale. Percorso tante volte ripetuto e oggi rifiutato, fra sorrisi contraffatti e sguardi presi in prestito. A modo mio tutto ho fatto per non tornare a incontrare questa piazza, queste fonti geometricamente incrostate al suolo, le statue (Castori, con braccia sollevate, che tengono qualcosa che io so essere ciò che non dicono), gli odori, la musica, le passioni girate verso l’interno… Tutto ho fatto ma senza successo, per questo ora resto: multiplo, aereo, ricordi sparpagliati (gli uni sugli altri, spiegazzati). Resto – senza codici né certezze, malgrado tutto ciò saldo – imperturbabilmente saldo.
PARTIDA
Quando parti ninguém apareceu à beira da pista. Quando parti as viagens eram coisa simples e banal, e não este desejo de procurar um sentido para a mágoa, uma clareira para a ausência, uma fonte – minúscula que fosse – para saciar aquilo que se mantém ininterrupta sede. Quando parti estavam todos atarefados a viajar, mas de outro modo – voracidade de prestamistas, esbugalhados olhos onde o tempo é tão transacionável, quanto um futuro hipotecado ou uma mera jante enferrujada. Quando parti tiveram logo o cuidado de me avisar que a poesia nunca salvara ninguém, que a procura de raízes (bem como o entendimento de um passado não acontecido) era coisa tão ridícula quanto obsoleta para o riso alvar de muitos. Quando parti a buganvília da moradia em frente estava esplendorosa e havia um gato a furar a rede. Quando parti uma mulher no prédio ao lado sacudia um pequeno tapete. Acenou-me. Sorriu. Quando parti imaginei o escárnio deles, os telefonemas duns para os outros, as conversas. Quando parti ninguém apareceu para se despedir, havia apenas: eu, um objetivo incerto, o teu rosto a reflectir-se ao longe e o sol a dar de chapa nas vidraças.
PARTENZA
Quando partì non venne nessuno ai bordi della pista. Quando partì i viaggi erano cosa semplice e banale, e non questo desiderio di cercare un senso per il dolore, una radura per l’assenza, una fonte – per quanto minuscola – per saziare quello che si mantiene un’inesauribile sete. Quando partii erano tutti indaffarati a viaggiare, ma in un altro modo – voracità di faccendieri, spalancati occhi dove il tempo si mercanteggia tanto quanto un futuro ipotecato o una semplice ruota arrugginita. Quando partì ebbero subito la premura di avvertirmi che la poesia non ha mai salvato nessuno, che la ricerca delle radici (così come la comprensione di un passato non avvenuto) era cosa tanto ridicola quanto obsoleta per il riso sciocco di molti. Quanto partii la buganvillea dell’abitazione di fronte era splendente e c’era un gatto che bucava la rete. Quando partii una donna nel palazzo accanto sbatteva un piccolo tappeto. Mi fece un segno. Sorrise. Quanto partii immaginai il loro scherno, le telefonate di uni agli altri, le chiacchiere. Quando partii nessuno venne per salutarmi, c’ero solo: io, un obbiettivo incerto, il tuo volto riflettuto in lontananza e il sole che batteva in pieno sulle vetrate.
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Testi tratti dalla raccolta Regresso, Editora Labirinto, Amarante, 2010.
Traduzione dal portoghese di Vera Lúcia de Oliveira
Victor Oliveira Mateus è nato a Lisbona, dove si è laureato in filosofia. Oltre all’attività poetica, si dedica con passione alla traduzione. Ha pubblicato i seguenti libri di poesia: Nas águas a luz suspensa (1998), Movimento de ninguém (1999), A Noite e a Voz (2001), Quando Voltares (2002), Pelo Deserto as minhas mãos (2004), A iressistível voz de ionatos (2009), Regresso (2010).
Sue poesie, racconti e articoli sono stati pubblicati in Portogallo, Brasile, Spagna e Italia.
Ha creato e cura il blog "a dispersa palavra".
vera@veraluciadeoliveira.it
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