FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia

Numero 21
gennaio/marzo 2011

Futuro

 

UMANO POCO UMANO
Cosa ci attende nel futuro?

di Armando Santarelli




Non ci saranno umani ad assistere allo spettacolo della fine del sole, tra 6 miliardi di anni. Ma se ci saranno, si tratterà di creature tanto diverse da noi quanto noi lo siamo dai batteri. Infatti, l’umanità è alle soglie di un cambiamento comparabile con la nascita dell’homo sapiens. Siamo animali che hanno voluto inventarsi uomini; non c’è da stupirsi se un giorno ci trasformeremo in macchine. Perché qui non si tratta di vivere una vita un po’ più lunga; è in gioco un salto di specie inimmaginabile, che comporterà uno scardinamento totale delle regole umane.
Dobbiamo renderci conto di un fatto: nel 1985, quando alcuni ricercatori cominciarono a proporre di sequenziare il genoma umano, molti pensavano che fosse impossibile. Dicevano che ci sarebbero voluti trent’anni, con costi immensi; invece, l’impresa è stata completata in pochi anni, con finanziamenti limitati. Si avvicina il giorno in cui uno dei nostri figli tornerà da scuola lamentando di non poter competere con bambini più atletici o più intelligenti di lui, e quindi favoriti per l’ammissione alle migliori Università. La ragione? I suoi genitori possono permettersi farmaci che rendono più intelligenti, altri non possono. Stiamo per entrare nell’era dei neuroceuticals, farmaci creati grazie al connubio tra informatica e medicina, che saranno in grado di elevare le nostre prestazioni fisiche e cognitive. Che cosa faremo quando arriverà quel momento? Ci sono tre strade. La prima è la più tradizionale: «Smetti di piangere, figlio mio, ti amiamo per quello che sei e non ci interessa come gli altri genitori cambiano il corpo e la mente dei loro bambini». La seconda è trovare i soldi per aiutare il figlio ad affrontare la competizione. La terza soluzione è battersi per far cacciare dalla scuola i ragazzi tecnologicamente migliorati.

Ciò che non si può fare, invece, è ignorare queste trasformazioni. In un mondo in cui la maggior parte di noi sembra voler guardare solo indietro, c’è una comunità di scienziati che aspetta il futuro a braccia aperte. Si chiamano estropisti e sono sparsi in tutto il Pianeta. Convinti che l’unico modo per garantire la sopravvivenza della specie sia continuare ad autoevolverci, gli estropisti stanno cercando il modo di riversare il contenuto del cervello in una macchina. Intanto, in virtù di appositi innesti cibernetici, i post-umani acquisiranno presto nuove facoltà sensoriali. Al massimo tra una decina di anni sarà il nostro alter ego digitale a darci la sveglia al mattino. L’io digitale assomiglierà a un cerottino dietro l’orecchio, come quelli che si applicano per smettere di fumare; il chip di silicio incorporato memorizzerà ogni informazione utile, dagli appuntamenti della giornata ai numeri telefonici, dallo shopping ai compleanni, come un autentico personal digital assistent. Grazie a oggetti intelligenti integrati perfettamente in noi, e computer diffusi ovunque (nelle auto, nelle banconote, nei cellulari, nelle tv), luoghi e persone fisiche saranno parte di un’unica rete digitale. Quando hypernet - la connessione elettronica completa e invisibile - diventerà cosa concreta, davanti a un ristorante leggeremo sul videofonino le recensioni di chi c’è stato prima di noi; seduti a un check-up cafè, grazie ad apposite sonde elettromagnetiche, potremo sottoporci a chek-up medici per diagnosi precoci. In un futuro appena più lontano, i cyborg transumani, liberi dalla necessità di respirare e nutrirsi, potrebbero colonizzare altri pianeti e iniziare quel processo di esplorazione galattica che secondo gli estropisti è il vero motivo della nostra esistenza nell’universo.

Quello descritto è uno degli scenari che possiamo ipotizzare per il nostro futuro. Consolante, anche se non molto “umano”, questo scenario, che potremmo definire tecno-ottimista, vede il trionfo delle tecnologie GRIN (ovvero Genetica, Robotica, Informatica e Nanotecnologie), e assicura la vittoria sull’ignoranza, sulle malattie, e persino sulla morte. Alcuni fra i tecno-ottimisti pensano che basterà mantenersi sani per i prossimi trent’anni, dopodiché chi ha i soldi potrà conquistare (comprare) l’immortalità.
Il secondo scenario, speculare al primo, è quello catastrofista, e paventa il rischio di estinzione della razza umana. I catastrofisti pensano che se l’incredibile potere tecnologico che possederemo andrà nelle mani di gente pazza o malvagia, accadrà l’inverosimile. Una variante di questo scenario inquieta, se possibile, ancor di più. Quando le macchine saranno sufficientemente intelligenti da migliorarsi da sole (cioè di fare l’upgrading di se stesse) la curva del loro apprendimento punterà dritta verso l’alto, in modo vertiginosamente esponenziale. Un giorno, gli enormi network di computer e tutti gli esseri umani interconnessi che li utilizzano potrebbero “svegliarsi” e riconoscersi come entità intelligenti superumane. Lo stesso potrebbe avvenire per le interfacce uomo-computer nel momento in cui queste sviluppassero un tale rapporto di intimità con i loro proprietari da essere considerate anch’esse intelligenze superumane. L’evento che farà precipitare la situazione sarà probabilmente del tutto inaspettato, persino per i ricercatori e gli scienziati che ne saranno causa. A titolo puramente esemplificativo, potremmo immaginare un momento in cui il networking divenga, grazie a sistemi ubiqui e integrati, talmente diffuso e totale da generare la sensazione – fondata – che gli oggetti nel loro insieme abbiano improvvisamente preso vita.

Herbert Marcuse
 

Entrambi questi scenari sono tecno-deterministi, perché si basano sulla convinzione che sarà il cambiamento tecnologico a guidare la storia umana. Forse non sarà proprio così, ma una cosa è chiara: per non farci sopraffare dall’enorme potenza degli apparati informatici dobbiamo diventare anche noi, in qualche modo, dei computer. Rimane un dubbio: sarà una trasformazione a vantaggio di tutti o riguarderà solo delle élite? Chissà se Marcuse – che individuava nelle masse povere del terzo mondo l’erede del proletariato mondiale, destinato a sostituire la classe operaia delle industrie occidentali nel ruolo di motore della rivoluzione – aggiornerebbe ora la sua teoria riconoscendo nella divisione tra cyborg-uomini e uomini-semplici la nuova linea di demarcazione, e nell’umanità non cyborg-manipolata la classe potenzialmente rivoluzionaria? Già oggi, i meccanismi dell’esclusione del mondo sono determinati dall’informatica e dall’elettronica; le masse povere sono quelle “non collegate”, fuori dalla rete nel senso più generale della parola, fuori da Internet ma anche dal circuito dei media. «Gli umani», afferma il primo uomo che ha provato sul proprio corpo l’effetto dei chip elettronici, «diventeranno una sottospecie. E io non voglio assolutamente far parte di una sottospecie!».

Che cosa rimarrà del vecchio uomo? Non lo sappiamo. Comunicheremo col pensiero? Qualcuno ipotizza che la parola rimarrà presente nella nostra vita. La useremo per parlare dell’amore, dei sentimenti, delle emozioni. Perché il grande limite del computer e di tutta la comunicazione elettronica è quello della logica, mentre una grande parte della coscienza umana è fuori da ogni logica, come lo è l’amore, come lo sono le emozioni. Computer e sentimenti umani uniti e integrati: forse vivremo alla grande, con una mente potentissima e il vecchio, generoso cuore umano. A meno che… nel 2040, un cyber-cynic assetato di potere riuscirà a creare un virus informatico trasmissibile agli umani e talmente contagioso da distruggere in 24 ore miliardi di cortecce cerebrali. Grazie alla loro speciale filosofia antivirus, circa 20.000 cyber-cynics in tutto il mondo sopravviveranno alla catastrofe, non senza gravi danni al cervello. Saranno indietro di due milioni di anni nel loro sviluppo intellettivo; e così tutto ricomincerà da capo.

Allora: avete un quadro migliore di ciò che ci attende nel futuro? Ho chiarito qualcosa nella vostra piccola mente? Se la risposta è sì, ne sono contento per voi. Se è no, non me ne importa niente, anche perché non ne sono responsabile. In questo articolo, infatti, ho riportato, in ordine sparso, le idee di scienziati e pensatori come Martin Rees, Vernon Vinge, Joel Garreau, Bruce Davidson, Zach Lynch, Steve Mann, Kevin Warwick, Andreas Eschbach, Gianni Vattimo, Friedhelm Moser ed altri. Ad eccezione di queste ultime righe, non ho usato una parola che sia mia, come non è mia la terribile sentenza con cui voglio chiudere, e che ci dà la misura del confronto che ci aspetta: «Il futuro», ha detto George Steiner, «è l’invenzione più scandalosa degli esseri umani».

armando.santarelli@inwind.it