FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia

Numero 21
gennaio/marzo 2011

Futuro

 

AMY HEMPEL
Ragioni per vivere

di Alessio Brandolini



Uscito nel 2006 negli Stati Uniti con il titolo The Collected Stories e pubblicato nel 2009 in Italia (riproponendo il titolo della prima raccolta) dalla Mondadori, nell’ammirevole traduzione di Silvia Pareschi, Ragioni per vivere è un libro di libri, visto che raccoglie tutto quello che ha pubblicato la scrittrice americana Amy Hempel, nata nel 1951 a Chicago ma che da anni vive a New York. Ovvero le quattro raccolte di racconti che ne hanno consacrato il successo, tanto che il “New York Times” ha inserito questa collezione di racconti tra i migliori dieci libri dell'anno.
Ma cosa hanno questi racconti di speciale?

Le prime tre raccolte – Ragioni per vivere (1985), Alle porte del regno animale (1990) e Rientrata (1997) – sono uscite sotto la guida (i primi tempi) e l’influenza (più avanti) di Gordon Lish (1934), maestro della continua limatura e della riduzione al minimo indispensabile del testo. Rapidi tocchi di scrittura che descrivono un mondo di personaggi sofferenti ma in lotta, non rassegnati. Sono racconti essenziali, a volte d’una pagina soltanto, quasi epigrammatici ma sempre densi ed evocativi, pulitissimi. Perfette istantanee sulla vita americana di tutti i giorni. Fin troppo perfette, dove persino le zone sfocate o in ombra sono messe lì per far risaltare il resto, per contrasto. Ma la perfezione (la maestria) è sempre presente, fatta anche di arguzia, ironia, raffinato e caustico umorismo («Se hai smesso di affondare non vuol dire che non sei sott’acqua», «È sorprendente scoprire con quanta rapidità ti entrano in testa le cose sbagliate», «Ogni volta che vedi una bella donna, ricorda che qualcuno è stanco di lei»). La voce narrante è sempre in prima persona e sempre femminile. Una scrittura diretta e semplice che con intelligenza esplora la profondità del quotidiano, del gesto banale o ripetitivo. Anche se sotto c’è la follia, il nulla o l’indecifrabile (v. “Il raccolto”, “Celia è tornata”).
Racconti dal finale poco rassicurante, dove ci sono solitudini, malattie e terremoti (la scrittrice ha vissuto a lungo in California). Terremoto che diviene metafora dell’impossibilità di controllare la natura o di sognare un futuro migliore: «È la tua vita, il resto della tua vita, la parte peggiore». Contrastare il destino, i giorni, le false speranze, è già eroico.

Nell’ultima raccolta pubblicata - e ovviamente presente in questa “Collezione” - che s’intitola Il cane del matrimonio (2005) la Hempel si emancipa dal mentore Lish e vengono fuori racconti meno perfetti ma non meno interessanti, dove le relazioni tra le persone si complicano (così la frase), si stratificano e le storie, non a caso, s’allungano, fino a toccare le trenta pagine. Nell’ultimo lavoro, pur diverso dalle precedenti, si comprende che la Hempel non rinuncia a ciò che ha assimilato, nel corso di decenni di proficuo lavoro sulla scrittura e il linguaggio, con e da Lish. Resta la capacità e l’intelligenza di sintetizzare in una frase una complessa emozione, di deviare il discorso per allargare (talvolta alleggerire) i significati, smussare presunte verità. C’è un accostarsi per gradi a una visione sociale e letteraria più ampia, simile a quella di Alice Munro, che abbraccia anche il mondo animale (quanti cani sono essenziali, “umanissimi” coprotagonisti di queste storie!). C’è un distanziarsi per gradi dalla lezione di Carver restando però fedele al nucleo essenziale. Il Raymond Carver di Gordon Lish, ovviamente. Comunque, Ragioni per vivere di Amy Hempel ha un’infinità di ragioni non solo per essere letto ma per essere amato. E quindi vissuto.

Amy Hempel, Ragioni per vivere - Tutti i racconti, traduzione di Silvia Pareschi, Mondadori, 2009, pp. 380, euro 20.





NEL RIFUGIO DEGLI ANIMALI

Ogni volta che vedi una bella donna, ricorda che qualcuno è stanco di lei, dicono gli uomini. E io so dove vanno, queste donne, con la loro stanca bellezza che qualcuno non desidera, queste donne che devono vivere come i pini bianchi dell’alta Sierra, lì da prima di Cristo, nutriti chissà come dal vento di montagna.

Si dedicano agli animali, giorno dopo giorno, accarezzandoli dentro una gabbia e dicendo: «Come sta il cucciolo della mamma? Si sente solo il cucciolo della mamma?».

Le donne se ne vanno alla fine della giornata, fermandosi a domandare a un guardiano: «Andranno a stare in un bel posto?». E tornano dopo un giorno o due, chinandosi a osservare un gatto con un occhio solo e chiedendo, come se intendessero adottarlo: «Come faccio a presentare un nuovo gatto al mio cane?».

Ma le adozioni sono rare: la cosa importante è che, quando si lasciano alle spalle le tenere creature che non le lascerebbero mai, le donne abbiano qualcuno da lasciare, sempre che abbiano donato loro il cuore.


L’UOMO DI BOGOTÁ

La polizia e quelli del pronto intervento non cavano un ragno dal buco. La voce implorante del consorte non ottiene l’effetto sperato. La donna resta sul cornicione, ma minaccia, non ancora per molto.

Immagino che tocchi a me convincerla a scendere. Vedo la scena, che si svolge così.

Le parlo di un uomo di Bogotá. Era una persona ricca, un industriale che era stato rapito a scopo di estorsione. Non era un telefilm: la moglie non poteva telefonare alla banca e procurarsi un milione di dollari in ventiquatt’ore. Ci sarebbero voluti mesi. L’uomo era malato di cuore, e i rapitori dovevano tenerlo in vita.

Stai a sentire, dico alla donna sul cornicione. I sequestratori lo fecero smettere di fumare. Gli cambiarono la dieta e lo costrinsero a fare ginnastica tutti i giorni. Lo tennero così per tre mesi.

Una volta pagato il riscatto, l’uomo venne rilasciato e fu visitato da un medico: questi lo trovò in ottima salute. Racconto alla donna quello che disse il medico: il rapimento era la cosa migliore che potesse capitare a quell’uomo.

Forse non è una storia che convince la gente a scendere dai cornicioni. Ma la racconto pensando che la donna sul cornicione si farà una domanda, la stessa domanda che si fece l’uomo di Bogotá. Come facciamo a sapere che quello che ci succede non sia un bene?




AMY HEMPEL
è nata a Chicago nel 1951 e ha vissuto per alcuni anni a San Francisco prima di trasferirsi a New York, dove ha studiato scrittura creativa con Gordon Lish. Ha pubblicato quattro raccolte di racconti:
  • 1985   Racconti per vivere
  • 1990   Alle porte del regno animale
  • 1997   Rientrata
  • 2005   Il cane del matrimonio
Lavori poi raccolti nel libro pubblicato nel 2006 The Collected Stories, uscito nel 2009 in Italia per Mondadori, con il titolo Ragioni per vivere- Tutti i racconti, con la traduzione di Silvia Pareschi. L’uscita di ciascuna raccolta di racconti è stata accolta dall’entusiasmo dei critici, che hanno assegnato all’autrice molti premi e riconoscimenti. Questa edizione è stata inserita nella classifica dei Dieci migliori libri dell’anno del “New York Times”.


alexbrando@libero.it