FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia

Numero 20
ottobre/dicembre 2010

Nel cosmo

 

GUIDO ZAVANONE
Il viaggio stellare

di Alessio Brandolini



Così muove e s’evolve l’universo
senza scopo apparente

Guido Zavanone


Largo poema diviso in venticinque parti, Il viaggio stellare di Guido Zavanone (San Marco dei Giustiniani, 2009) è un lavoro inconsueto, che sorprende per la sua visionarietà dantesca e il coraggio di ragionare sui nostri tempi immaginando un futuro – sebbene globalizzato – concepito dai nostri insensati comportamenti. Il richiamo all’Alighieri è dichiarato ed esplicito fin dai primi versi, anche se qui il viaggio va in senso contrario: non verso l’Inferno calandosi sotto Gerusalemme, ma salendo spediti verso il cielo spinti da uno slancio appassionato. Si ascende verso il Cosmo, in una specie di astronave a forma di magica nuvola estiva “e splendidi ci venivano incontro / dal concavo cielo / stormi infiniti di stelle / bianche e azzurre, raccolte / in multiformi costellazioni”.
Il protagonista di questo viaggio interstellare è l’autore stesso (Guido, appunto, nome così caro al giovane Dante) e anch’egli, come il sommo poeta fiorentino, ha una guida, dal corpo flessuoso di fanciulla il cui sorriso offusca gli astri. Il tragitto si fa ardito, ma il poeta man mano si rilassa, fino a sentirsi “una molecola / felice in sintonia con l’universo”. In buone ed esperte mani si naviga per “arcipelaghi di stelle, risucchiati / nello spazio e nel tempo” e ci s’imbatte subito nella morte (quella di una stella) e nella vita (quella della formazione dei sistemi planetari). Morte e vita, congiunte in un’esplosione di energia e colori.

Il percorso prosegue passando per il pianeta dei nani e dei giganti, quello degli ibernati, dei robot, delle ombre viventi tagliando per un buco nero... Un’avventura mitologica e cavalleresca, non priva di colpi di scena, eroica ed ironica ad un tempo, con richiami (oltre al citato Dante) a Milton, Ariosto e Cervantes, eppure tutto fluisce come un diario intimo, un intreccio di ricordi ed emozioni, un lucido sogno dove ogni particolare ha la sua importanza, il proprio significato:

      Vengo da un pianeta chiamato Terra
      mi porta il dubbio per cui mi tormento,
      vago nel cosmo cercando qualcosa
      che non conosco
      o più non rammento.

Tra i tanti incontri di Guido (i genitori, un Dante alquanto avvilito) particolare importanza riveste quello con San Francesco “testimone / della fede che dona e non divide” e con tutti quelli che seguirono il suo coraggioso esempio di amore e povertà, come il missionario laico trucidato in Ruanda che si lamenta per non aver fatto abbastanza per gli altri. Così Il viaggio stellare di Guido Zavanone ci riconduce dal Cosmo alla nostra Terra martoriata, ai nostri tempi privi di etica e compassione, dove prevale la menzogna sulla cruda realtà (un testo è dedicato a Giordano Bruno), l’immagine sulla sostanza e il progresso scientifico e tecnologico rischia di convertirsi in regresso civile ed etico. Non a caso Giuseppe Conte intitola la prefazione al libro “Un poeta cosmico e metafisico” sottolineando il temerario impianto: “un viaggio al termine del senso, un sogno nel sogno, un’indagine cosmica, stellare, sui perché della vita, sul suo mistero insondabile e infinito”.
Un autentico anelito cristiano è lo speciale combustibile che conduce nello spazio la nuvola-astronave, con il poeta a bordo e alla guida una Beatrice cosmica e sapiente. Un viaggio stellare e visionario dagli effetti fantascientifici che sorprende il lettore, e lo invita a salire a bordo.


Guido Zavanone, Il viaggio stellare, San Marco dei Giustiniani, Genova, 2009, con prefazione di Giuseppe Conte, pp. 104, euro 10.



POESIE DI GUIDO ZAVANONE
da Il viaggio stellare



I - LA NUVOLA

Allora sulla linea
fiammeggiante dell’orizzonte una forma
apparve ai miei occhi non vista dagli altri
caduti in un sonno profondo
s’ingrandiva avanzando veloce
in sembiante di nuvola estiva scendeva
azzurrognola e fitta a insinuarsi
fin dentro la bocca oscura del tunnel.
Dinanzi a me allargarsi le sbarre vidi
e agile un’ombra varcava la soglia
ben vigilata dal ferreo cancello
come un campo magnetico la nube
m’attirava, mi portava con sé.
Salivamo, e al nostro passaggio
si spegnevano suoni e rumori, i venti
docilmente ripiegavano l’ali
un silenzio inaudito
ricopriva ogni cosa.
               Io
pensando al silenzio di Dio
gridavo atterrito versi sconnessi
e parole prive di senso
che ricadevano vuote ed inerti
nello spazio infinito che m’avvolgeva.
Soltanto più tardi m’accorsi
di non essere solo, che dentro la nube una mano
mi conduceva con quieta fermezza
per sconosciuti percorsi, lontano
dal verdazzurro pianeta.
Sforato avevamo
il grande velo dell’atmosfera
e splendidi ci venivano incontro
dal concavo cielo
stormi infiniti di stelle
bianche e azzurre, raccolte
in multiformi costellazioni.
L’essere che mi guidava
l’intravedevo appena, aveva
ali iridescenti di farfalla e corpo
flessuoso di fanciulla
nel volto luminoso ricordava
le polene delle antiche navi. Ne spiavo
i movimenti rapidi e sicuri
al timone della mia vita, l’ondeggiare
armonioso nel vuoto. Quando volse
graziosamente il capo il suo sorriso
offuscava le stelle.
Un gesto della mano
non so se di saluto ed una pace
discese nel mio cuore sovrumana
s’allargò come circoli nell’acqua
tersa d’un fiume
sotto le arcate alte della mente.
Ormai troppo terrene le domande
d’ieri e di sempre:
“Chi muove il mondo, quale
l’origine nostra, ove la meta.” Mi sentivo
accettato, una molecola
felice in sintonia con l’universo.


III - MORTE DI UNA STELLA

Fu proprio ad un risveglio che compresi
come la guida mia compiutamente
penetrasse sogni e pensieri. “Eterno
– mormorò dal guscio d’ombra –
parola grande
inventata da voi a esorcizzare
i vessilli stormenti della morte.
Ora vedrai l’inganno della mente e come tutto
anche quassù tra noi scolora e muore.”
Aveva appena proferito le parole
quando fulgido più di cento soli
un astro apparve
di color rosso vivo, ad ogni istante
cresceva il suo splendore
insopportabile alla vista.
               Improvvisa
un’ala immensa solcò lo spazio sconfinato, un vento
oscuro trascinava da millenni
indecifrabili segnali. Affievolirsi
a poco a poco spegnersi la luce vidi
della stella carissima, contrarsi,
accartocciarsi il grande disco, nero
con antenne invisibili un abisso
orrenda mantide succhiava
lentamente divorava la stella;
un crepitio, un sibilo affannoso
ne accompagnava l’agonia.

Io pregavo
perché lo strazio interminabile finisse, invocavo
tremando la misericordia del morire.
E fu infine silenzio, una sottile
nuvola ad arco sola traccia rimasta.


IV - FORMAZIONE DEI SISTEMI PLANETARI

Scintillavano
nell’improvvisa tenebra le vesti
e le bianche ali distese
e osavo finalmente le parole
che salivano con impeto alle labbra
sin dall’inizio del viaggio celeste:
“O mia guida gentile, fa’ ch’io sappia
chi ti ha mandato a me e a quale impresa,
mentre languivo nel buio cunicolo.”
“Il desiderio tuo di conoscenza – rispose –
gridava così forte ch’io lo intesi
da un lontano pianeta e a te volai
seguendo il soccorrevole mio istinto
per aiutarti a cercare il vero
al di là delle sbarre
di quel cancello da cui fosti vinto.

Vedrai nascere e crescere le stelle
visiterai pianeti sconosciuti
e gente nuova e ti verranno incontro
l’ombre viventi e quelle
dolenti dei defunti.”

Giungemmo dunque presso nubi estese
di gas e polveri e conobbi
la culla immensa ove posa la materia
che altra materia roteando veloce
attira a sé con forza di magnete
a formare le stelle.
Ogni atomo irradia la sua luce
libera nella direzione che gli pare
ma insieme fanno come per incanto
la gran luce stellare.
Così avviene nei secoli ai poeti
che ognuno muove per diversa via
e poi formano uniti il gran sogno
della poesia.
Ed ecco un disco,
cento dischi di fuoco e da ciascuno
si staccavano due bracci spirali
per avvolgersi come anelli attorno al centro,
embrioni di sistemi planetari.


IX - IL PIANETA DEGLI IBERNATI

D’improvviso mi sembrò che scendessimo
planando dolcemente
poco dopo i miei piedi calpestavano
un pavimento solido e compatto
che si stendeva a perdita d’occhio
senza mostrare alcunché di vivente.
Dal cielo scendeva una luce
livida, oscura,
di temporale imminente o di notte
che un lampo attraversa e improvvisa
bussa alla tua porta la sventura.
Io vidi un mare
fermo di candidi marmi; a ogni metro,
separate da un cancello di ferro,
erano fioche trasparenze di vetro:
da cui s’intravedevano
avvolti in un lenzuolo e imbalsamati
corpi simili ai nostri, irrigiditi,
gli occhi persi nel vuoto, spalancati.
“Tutto è immoto, impietrito
- mi chiarì la mia luce – come dopo
un’esplosione atomica, in attesa
che tra secoli o forse tra millenni
qualcuno d’improvviso li ridesti
da quell’ibernazione e da quel sonno
che rifuggendo da vita e da morte
vollero procurarsi da se stessi.”
A lungo rimanemmo assorti
senza coraggio di guardare altrove.
Pensavo ai camposanti nostri, dove
sotterra o entro nicchie nei muri
attende fiducioso ciò che resta
dei resurrecturi.
Quando partimmo
una coltre di cenere nera
avvolgeva il funereo pianeta
rivedevo biancheggiare nell’ombra
quei volti tesi di bistro e di cera.




Guido Zavanone è nato nato ad Asti, ma vive e lavora a Genova. Ha pubblicato diverse raccolte poetiche, tra le quali: Arteria (Scheiwiller, 1983), La vita affievolita (edizioni Premio Libero de Libero, 1986), Il viaggio (San Marco dei Giustiniani, 1991), Se restaurare la casa degli avi (Campanotto, 1994), Nouvelles pour l’an 2000 (La Bartavelle, 2002), Urme (IDC Presse, 2004), L’albero della conoscenza (Genesi, 2004).
Ha vinto numerosi premi di poesia ed è redattore delle riviste letterarie “Resine” e “Satura” e condirettore di “Nuovo Contrappunto”. Per l’editore De Ferrari cura la collana di poesia “Chiaro Scuro”.

 

alexbrando@libero.it