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I POETI DEL MERENDACOLO III di Vera Lúcia de Oliveira |
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Dando continuità al nostro progetto di proporre ai lettori di "Fili d’aquilone" i poeti del “Merendacolo”, uno dei tanti gruppi - e fra i più attivi nel promuovere in Italia la poesia -, presento ora due poeti agli antipodi per origine nonché per poetica, a riprova del fatto che la poesia unisce persone delle più diverse esperienze e provenienze.
Pensando alla situazione italiana, ai rigurgiti di intolleranza che, recentemente, si sono tradotti in una negazione della società multietnica, cosa che in Italia, per la sua stessa storia, ormai da secoli è una realtà, ci viene da pensare che forse non è un caso che la società contemporanea in generale abbia emarginato la poesia e i poeti: la poesia è un’attività fondamentale di indagine sulla realtà e i grandi poeti di ogni tempo sono stati sempre capaci di vedere anche nel buio dell’animo umano.
La poesia sfugge alle logiche di mercato, non è una merce di scambio, non trova una collocazione fra oggetti, pensieri, sentimenti e mode “usa e getta”, ed è proprio per questo, per il suo ethos e per il suo significato più profondo, che l’Italia, in questo momento più che mai, ha bisogno dei suoi poeti.
Presentiamo, dunque, la poesia profondamente partecipe della peruviana Gladys Basagoitia Dazza, trapiantata da molti anni in Italia e quindi anche italiana, visto che scrive nelle due lingue, lo spagnolo e l’italiano, intrecciando e fondendo due culture diverse e complementari, e quella, così legata alla natura e ai boschi e montagne della Val Nerina, di Paolo Ottaviani, poeta umbro che usa nei suoi testi, accanto all’italiano, un neovolgare umbro-sabino che ci riporta all’origine della poesia italiana e al volgare usato dai primi poeti della nostra letteratura.
Per chi desiderasse conoscere meglio le attività del gruppo, indico il sito http://xoomer.alice.it/cmaccher/web_merendacolo.
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POESIE DI GLADYS BASAGOITIA
AMICO QUASI FRATELLO
Perché il mio corpo ancora conserva il profumo degli orti e tu sei nitido e azzurro come una sonata, potremmo giungere fino all’incesto. Noi continueremmo a guardarci limpidi come la voce di un flauto incantato, lottando fino all’esaurimento con Prokofiev in Alessander Nevski. Perfino potrei andare incontro alla tua donna - quando la troverai - e tu dovresti amarmi e anche amare l’uomo che io amerò.
(Da Curve, Angolazioni, Triangoli: l’Infinito Amore, Città di Castello, 1986)
ESILIATI
Benché abbiamo lavorato sodo perché la casa sia nostra e religiosamente più di molti paghiamo le tasse e non si rubi niente abbiamo abbandonato la nostra lingua parliamo come loro - o quasi - ancora siamo ospiti e la fame dei luoghi dell'infanzia ci oscura la vista feroce pulsa nelle tempie fa sanguinare dentro superstiti di tanto esilio forse un giorno anche per noi sarà possibile vivere non più come stranieri
(Da Selva Invisibile, Fabrizio Fabbri Editore, Perugia, 1997)
PER FARE L’AMORE FARE POESIA CUCINARE
Seguire infedelmente le ricette ossia originalità fantasia Generosità nello scegliere la qualità degli ingredienti: carezze parole oppure alimenti e condimenti Ingredienti giusti in dosi giuste Misurare con intelligenza Mescolare rimescolare con amore teneramente Indovinare il fuoco necessario: la qualità del fuoco l’intensità la durata del fuoco Togliere il superfluo Non affrettarsi Essere sempre presente Esaltare i sapori ma non esagerare Con piacere dare piacere Che la consapevolezza dell’effimero non tolga la totalità dell’impegno.
(Da Selva Invisibile, Fabrizio Fabbri Editore, Perugia, 1997)
MODUS VIVENDI
Amo in attesa dell’amore attendo fiduciosa odio il mercato del secolo dove si commercia perfino il sentimento non vivo inseguendo le quotazioni della borsa non cerco nemmeno il mio tornaconto né vado a raduni dove si vende la presunta salvezza dove i santoni offrono a caro prezzo la propria guida però riesco sempre a trovare fra tanto marcio il bene voglio sempre vedere oltre la maschera non pretendo il potere non mi piego al potere.
(Da Selva Invisibile, Fabrizio Fabbri Editore, Perugia, 1997)
AMMALATA
Mi riportava i ricordi a fasci la musica remota di un oboe dalla mia finestra a Via Chiara Assisi da lontano risplendente al sole il Subasio ora azzurro senza neve, millenovecentottantatotto alla chiusa di Marzo, ore dieci, a letto ammalata e sola con un libro pensieri di aceto su vecchie ferite un passero geme oscurando il sole
(Da Polifonia, Perugia, Edizioni Tracce, Pescara, 2000)
L’AZZURRO
l’anima del silenzio respira nelle parole palpitano con lei le altre dentro di me la candela quasi spenta profuma solitudine l’azzurro della stanza illuminata mentre scrivo ciò che detta il silenzio
(Da La carne / El sueño, Fara Editore, Santarcangelo di Romagna, 2007)
LA SOGLIA
giunge il ricordo dell’antico esitare per paura prima di scendere dall’albero a cui salivo con bambina gioia il rimbrotto di mia madre per il vestito sporco e strappato mi attendeva al ritorno ora ritorna l’esitare alla soglia del viaggio verso il mare increspato del mio inverno inevitabile e so che devo attraversare la soglia
(Da La carne / El sueño, Fara Editore, Santarcangelo di Romagna, 2007)
A UN OPERAIO
mi fa male quel veleno lento che s’infiltra continuo nel tuo sangue i tuoi polmoni disfatti la tua morte che s’annunzia prematura io sento la tua camicia sudata come un cadavere sulle tue/mie spalle
(Inedita)
IL FEDELE INFEDELE
quell’uomo era fedele come un cane lui era fedelissimo al suo cane il cane era fedele al suo padrone e con gioia infedele alle sue cagne alle madri amorose dei suoi cuccioli quell’uomo era fedele al suo cane ma infedele alle madri dei suoi figli
(Inedita)
LUCE AMBIGUA
non riuscii mai a decifrare l’enigma che separò la tua vita dalla mia nel recondito delle tue intenzioni immaginai un sole inesistente e conobbi il rigore dell’agonia di allontanare la tua luce ambigua
(Inedita)
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GLADYS BASAGOITIA DAZZA nata a Lima, Perú, è poetessa bilingue, traduttrice, performer. Attualmente vive a Perugia, dove ha lavorato a lungo come biologa. Premiata più volte in importanti concorsi di poesia e narrativa, nazionali e internazionali, è presente in riviste e antologie, pubblicate in Perú, Brasile, Argentina, Colombia, Messico, Nicaragua, Stati Uniti, Portogallo e Italia. Fra le sue numerose raccolte poetiche, citiamo Curve, Angolazioni, Triangoli: L’Infinito Amore (Città di Castello, 1986), Polifonia (Edizioni Tracce, Pescara, 2000), Acquaforte (Fara Editore, Santarcangelo di Romagna, 2003), Rêverie (Edizioni Trace, Pescara, 2005), Il colore dei sogni (Fara Editore, Santarcangelo di Romagna, 2005), La carne / El sueño (Fara Editore, Santarcangelo di Romagna, 2007); di narrativa ha pubblicato Il sorriso del fiume (1995), ora uscito in seconda edizione corretta e ampliata, con il titolo Il fiume senza foce (Fara Editore, Santarcangelo di Romagna, 2008).
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POESIE DI PAOLO OTTAVIANI
INCANTAMENTO
Sandro e Pier Paolo per incantamento vorrei sentire in barca ragionare e io cheto alla barra scrutare il mare.
(Da Funambolo, 1992)
UN RAMO DI GINESTRA
(Breve modulazione su La Ginestra di Giacomo Leopardi)
Questo ramo ti dono di ginestra non per progressive sorti ma per vago eterno amore che senza vergogna si mescola alla terra e lentamente dinanzi al sole fiorisce nei grappoli dell’oro e del profumo. Non renitenti soccomberemo al buio luminoso della morte: non dell’oblio ché a primavera tu, vaga parola, e tu, filosofico fiore, narrerete ai deserti questo amore.
(Da L’odore dei limoni, 1994)
WALTER, GIOVANNA...
Giovanna, Walter... ascoltate il suono che dentro i vostri nomi si ripete e sempre in quarta sillaba risuona: Walter, Giovanna... come un lento andare, un’affondare il passo nella neve, van... val... variar di nuvole nel cielo, un batter d’ali che rimane aperto, van... val un vento calmo che ritorna, a prendersi, a donare ogni dolore, un sogno che si schiude dentro un sogno...
(Da E questa festa di parole in me, 2006)
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GEMINO PRIMO
Piagnìanu ‘n bianche piste de renella su ‘nparcite panche de nicchia o cappella,ru friscu de nòa erbetta e de luna, benanche que piòa orbata fortuna aprile era dorce de celli e sperella, a buju re torce e ra marturella, ru feru battutu ‘nchioatu su legno Sonava cherchutu Ru puoru congegno e l’arba s’arzava slargata de luce, de sopra ‘n’ottava ru cantu recuce, madonne de tera un suffiu de voce clinata maniera rensegue veloce. Ra luna pasquale ajamà calante, su ru capezzale un radiu sclarante vejetti d’aprile, e pàrimu suoru, derentro ‘n suttile bajatu tesuoru que iju quarantotto que m’ia fijatu arìa mo’ rottu ru sugnu sugnatu de ‘na roscia tera cummunista e mansa doppo fame, guera, prescione e mattansa.
(Da Geminario, 2007) |
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Piangevano in silenzio lungo bianche stradine, impervi, renosi sentieri, dentro nicchiette, su tarlate panche, la pungente frescura della luna, dell’erba rugiadosa, benché triste cada la pioggia e malvagia fortuna, dolce stagione era d’aprile, bella di passeri nel tiepido del sole, fiaccole a notte poi la marturella, ferro battuto inchiodato nel legno, con il rintocco sordo un chierichetto mesto cantava musica d’ingegno e l’alba cristallina risuonava schiusa alla luce tremula di rosa, l’armonia si alzava di un’ottava, madonne di ceramica muschiata e quegli occhiuti, rapidi bisbigli correvano tra gente inginocchiata. Pallido raggio di luna pasquale volta ad oriente, già in fase calante, malfermo lume intorno al capezzale, il padre solo stava nell’aprile, quasi temendo ferita di luce nel suo spirto segreto e gentile: quel millenovecentoquarantotto tempesta che mi aveva generato sogno sognato avrebbe presto rotto di un comunismo buono e rossa terra per uomini e animali generosa dopo prigione, genocidio e guerra.
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HAIKU
I Chi disse “è bello morire per la patria” fu un apolide. II Corre e s’incurva Il tempo tra le stelle. A cerchi cresce. III Calma di vento. Respira la montagna. Svettano i muli.
(Inediti)
TRECCIA DEGLI ELFI NEL FUOCO DEI CAMINI
S’incrociano più azzurre di cielo e di catrame le strade e gli alti pini. Profumi di legname. Qui mi lascio sedurre dal fuoco dei camini e dalle antiche favole degli elfi, gnomi e diavole. E l’anima si posa sul filo delle grate, sul fumo e sull’odore delle leggende alate, va e danza senza posa col vento e con le spore, si fa fiocchi d’argento perlati di sgomento e s’incurva e s’alza sul rìbes, sul melo, lieve ad ogni balza per l’ansia del gelo che a settembre s’annuncia nelle vene bluastre della sera, nel crocchio delle pigne salmastre. Qui l’anima rinuncia, s’insinua nel nocchio di una gemma dormiente, di una sparsa semente: da un oscuro pertugio mira lo scintillio della volta cadente delle stelle, nel pio, misterioso rifugio di un’estasi incipiente, poi torna a volteggiare, persa nel focolare: rossa eternità di luci e di fumi, sta felicità tra spire e profumi.
(Da Retroguardie, 2009)
TRECCIA PER L’AMIATA (A Giovanna e Walter Cremonte)
Quando il tempo si sgrana leggero e tutt’intorno vibra l’aria più chiara, più tenera del giorno “un po’ di maggiorana” - chiedi - “insieme alla cara mentuccia, all’erba luisa”... Nella voce indecisa l’allegrezza s’incrina, dal cupo marroneto smotta per le viottole fino ai sassi del greto, lungo la serpentina s’invena nelle frottole, nel sangue dell’infanzia, la trasparente infanzia: nel bosco d’Amiata magma peperino, faggina argentata respiri in cammino: sono faggiprofeti con gli occhi incastonati dentro le roccefoglie di dirupi incavati, diroccati poeti dalle sillabe spoglie, coriandoli di sole tra fraterne parole. Qui alchimisti ed astronomi, minatori e mezzadri esplosero marroni nei focolari, ladri d’arnie e miele da autonomi decreti, da carboni mistici liberati, da utopia bruciati: respirano i sassi sangue di giustizia, acque, faggi e sassi sono già letizia.
(Da Poeti e Poesia, aprile 2009)
TRECCIA AUTOBIOGRAFICA
Sono nato nel Cuore (*) di una vasta pianura cinta in cerchio da Pizie di spavalda natura, pregne di bacche e more, scrigni d’erme delizie: nel giogo delle cime, come fanno le rime che ruzzano a celarsi nelle pieghe dei versi, ctonie forze ancestrali s’annidano in dispersi dirupi, in visceri arsi, cavernose ed astrali: proditoria vacilla la terra e in cielo brilla più pallida Venere: sismi orrendi scuotono monti, strana cenere... (Boato monotono e cupo!) opprime il cielo. Presto ho imparato a nascere dalla più secca polvere col senno incline a pascere liquide virtù: il velo della vita, a dissolvere morte e paura, schiude sempre in me una più rude arguzia che rammenta la minerale essenza d’ogni mio interno moto: la limpida nescienza delle stelle mi orienta nell’infinito vuoto: se crescono gli ulivi nei più timidi clivi me nell’Umbria etrusca che amo e coltivo Poesia e Crusca fanno ognor più vivo.
(*) Le mura medioevali di Norcia cingono la mia città natale nella forma chiusa e perfetta di un cuore.
(Inedita)
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Nota metrica dell'autore
Intendo per Treccia un componimento poetico di sei strofe: quattro di versi alessandrini (o doppi settenari che, nella mia libera accezione, possono essere entrambi piani, tronchi o sdruccioli) e due di versi senari. In sequenza si dispongono, ripetendo lo schema, due quartine di alessandrini e una di senari. I versi vengono ordinati e scalati in modo perfettamente bipartito da una immaginaria linea ortogonale che solca dall’alto in basso il centro della pagina. Viene così a formarsi una sorta di disegno in forma di treccia. Le quartine di senari, disposte a rima alternata secondo lo schema abab, fungono da nodi: qui i versi si chiudono o si raccolgono per poi riaprirsi nelle ampie quartine dei doppi settenari. Queste a loro volta presentano, secondo un disegno costante, rime esterne, rime interne e “rime al mezzo”: i primi due versi infatti costituiscono un distico a rima baciata; il primo emistichio del verso 1 rima poi con il primo emistichio del verso 3; il primo emistichio del verso 2 rima con il secondo emistichio del verso 3; il verso 4 presenta infine la “rimalmezzo”.
PAOLO OTTAVIANI è nato a Norcia, nell’estrema parte nord-orientale dell’antica Sabina e attualmente vive e lavora a Perugia. Laureato in Filosofia con una tesi su Giordano Bruno, ha successivamente pubblicato saggi sul naturalismo filosofico italiano. Ha fondato e diretto la rivista "Lettera dalla Biblioteca". Attualmente dirige la Biblioteca dell’Università per Stranieri di Perugia. Nel 1992 ha pubblicato la raccolta poetica Funambolo, con prefazione di Maria Luisa Spaziani. Collabora a numerose riviste specializzate e multimediali con poesie, saggi, recensioni e articoli di interesse letterario. Nel 2007 ha pubblicato Geminario, un poemetto bilingue vergato in uno neovolgare umbro-sabino che, in movimento alternato con la lingua, riecheggia il volgare due-trecentesco, comprese le arcaiche e suggestive sonorità di quei componimenti poetici che segnano il passaggio dalla metrica dei ritmi bassolatini alla metrica italiana accentuativa.
velucia@tin.it
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