Vous êtes ici
Una pinacoteca imprevedibile e itinerante è ciò che scopriamo nelle fotografie di Maria Paz Graino, fotografa cilena residente da alcuni anni a Trieste, che così descrive la materia prima e la finalità del suo lavoro:
“Volevo creare immagini che producessero la sensazione di osservare un quadro e non un muro invisibile perché occultato da manifesti, posters o graffiti…. Quasi tutti erano strappati, molti erano disfatti dal tempo e dalla pioggia, la maggior parte di essi erano dimenticati per sempre e nessuno si fermava a leggerli. La gente passava davanti al muro con totale indifferenza, senza curarsene. In realtà, era come se non esistesse.”
Con questo personale sguardo, l’autrice ha attraversato le varie città in cui ha vissuto, raccogliendo nel corso degli anni un grande numero di immagini che oggi costituiscono il risultato di una ricerca non solo grafica o cromatica, ma anche sociologica e antropologica derivante dalla capacità di percepire le molteplici trasformazioni delle cose che, nel loro modificarsi, aggiungono elementi identificativi di un uso, di un luogo o di un’epoca.
Fiori oscuri Lenin vive
Marilyin Evanescence
Eliminando ogni riferimento urbanistico o storico, Maria Paz si concentra sulla materia e su tutti gli elementi che prepotentemente i manifesti contengono cogliendone le possibilità espressive e riconducendoli al ruolo di segno, sia quando ne intuisce riferimenti e rimandi, sia quando li rende capaci di nuove visioni.
Seguendo questo percorso speculativo, che brillantemente risolve, Maria Paz ha percepito i segni come tracce di un passato dove si sono depositate le impronte del tempo, producendo un nuovo sistema di comunicazione non voluto e non previsto “un messaggio che veniva non da me bensí dai cittadini della città, dalla moltitudine anonima della metropoli, che avevano lavorato, insieme al clima e al tempo, trasformando il semplice e banale avviso di un concerto rock, o la pubblicità di un corso di yoga, o l'invito ad una manifestazione politica, in una grande opera d'arte collettiva.”
Maria
Si viene così a creare un flusso linguistico, prodotto dalla fusione di diversi linguaggi, che diventa una ri-lettura del preesistente. E dunque immagini, disegni, colori si ricompongono attraverso il valore aggregante della parola che diventa centrale, rendendo capaci di senso i segni e i simboli di un linguaggio contemporaneo. Un linguaggio non preordinato in architetture condivise, che consente, al contrario, di liberare la fantasia, l’istinto e le emozioni dell’osservatore: Azul ci precipita all’interno di un colore intenso che ci avvolge completamente; Robots inquietante apparizione di un profilo alieno; Vous etes ici …ma dove?...dove possiamo trovarci?; Lenin vive appare sotto uno strato di manifesti, come sotto un secolo di storia, e di una inesorabile polvere; Veneziana, piccola parola colta sotto il dipinto di un grande pittore veneziano.
Veneziana
Mar perverso
Ancora una volta, per merito di queste immagini, riusciamo a cogliere, e a meglio comprendere, il valore rappresentativo dello strumento “ fotografia” che non si limita a trasformare la realtà nel suo analogo, ma anche a creare l’evidenza di una nuova dimensione del visibile.
Robots
Non c’è alcuna mistificazione in queste fotografie perché ogni elemento colto è lì a disposizione di ogni viaggiatore o viandante che non sia distratto dal superamento della funzione comunicativa del manifesto, considerandolo ormai obsoleto.
“I muri parlano” sintetizza con felice intuizione Maria Paz, perché attraverso queste sue immagini riusciamo a comprendere “lo stato attuale del mondo in cui viviamo e a vedere riflessi i problemi, i desideri e le speranze del nostro tempo”.
Azul
pazgraino@hotmail.com
ambralaurenzi@yahoo.com
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