Uno degli insegnamenti, tra i più interessanti e profondi che ci ha lasciato Luigi Ghirri, purtroppo scomparso prematuramente, consiste nella capacità di costruire attraverso le fotografie un insieme legato da “un sottile filo che leghi autobiografia ed esterno”, pur conservando ogni immagine una sua struttura autonoma.
Le fotografie di Anna Di Prospero, giovane autrice di grande sensibilità narrativa, conducono immediatamente in questa direzione, lasciandoci il non facile compito di partecipare alla sua personale narrazione.
L’autrice ci introduce, tramite un complesso triplice ruolo di regista, operatrice ed attrice, nel mondo delle sue riflessioni e dei suoi sentimenti costruendo una sorta di mappatura di luoghi reali e di luoghi immaginari, senza tuttavia risolverli a priori come tali: il reale e l’immaginario si definiscono attraverso la relazione che Anna crea con il luogo rappresentato.
Da qui la necessità di utilizzare cornici all’interno delle quali esprimere un evento tramite il suo alter ego che ci accompagna nel percorso, o attraverso la presenza del suo doppio, l’altro da sè, che rende possibile il confronto con una parte interiore, quella meno conosciuta ma capace di pretendere attenzione: qualche volta intimorisce, altre diventa stimolo, altre ancora conforta. L’essenziale per Anna è riuscire a visualizzarla, attraverso la sua stessa immagine raddoppiata o addirittura moltiplicata.
Le architetture domestiche, lontane dal definire un’appartenenza, rappresentano uno spazio di cui l’autrice si sente contemporaneamente ospite ed estranea, diventando una sorta di scenografia utilizzata attraverso il filtro della fantasia che diventa unico strumento di ricerca per raggiungere una possibile armonia con se stessa, con il luogo, con l’ambiente familiare.
Ecco dunque che si aprono finestre, non importa se autentiche o fantastiche, all’interno delle quali si affacciano frammenti di vicinanze e di lontananze, dove lo spazio è annullato e dove i luoghi diventano un’ ipotesi.
Inserito in queste cornici e con un continuo gioco di rimando tra realtà e immaginazione, tra interno ed esterno, improvvisamente appare l’altrove, luogo ipotetico di una possibile identificazione. È la dimensione del sogno: profondi orizzonti di mare, città lontane, natura al passaggio delle stagioni.
Sono frammenti di uno spazio complice a cui affidare emozioni contrastanti.
È come visualizzare una strada che conduce in un luogo indefinito, ma necessario, per trovare ciò che Bob Dylan, nel 1963, ha scritto in una poesia dedicata a Woody Guthrie:
Ti serve qualcosa che apra nuove porte per mostrarti qualcosa che hai già visto prima ma a cui cento e più volte non hai badato Ti serve qualcosa che ti apra gli occhi.
anna.diprospero@alice.it
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