FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia
Numero 9
gennaio/marzo 2008

Luoghi narrati

IL CINEMA A PAROLE

di Verónica Becerril


VOLVER - TORNARE
di Pedro Almodóvar

Tornare alle radici, confrontarsi con il passato e respirare l'aria e gli odori della terra che ci ha visto nascere, questo è quello che il grande Pedro Almodóvar ha voluto raccontare nella sua ultima pellicola, Volver (Tornare), che nel 2006 ha portato al regista "manchego" grandi soddisfazioni. Da una parte, infatti, ne è stata riconosciuta la grandezza con numerosi premi, come il "Cesar", francese, o il "Goya", spagnolo, due degli Oscar europei, e dall'altra è tornato a lavorare con la sua musa, Carmen Maura.
Volver si svolge principalmente tra Madrid e un paesino di Castiglia La Mancha, regione dove il regista spagnolo è nato nel 1951 e dove ha vissuto l'infanzia. Nel corso della narrazione Almodóvar riesce a trasmettere il sentimento di solitudine delle zone rurali e dei paesini che man mano si spopolano, per via dell'esodo massiccio verso le grandi città. Però allo steso tempo ne racconta i valori che perdurano, nonostante tutto, i sapori e le tensioni del luogo dove si è nati, alla quale uno appartiene sempre, anche non volendo, anche quando ci si trasferisce in un altro luogo proprio per distaccarsene.

Il film parla spesso del vento della Mancha - va ricordato che anche Don Chisciotte era di queste terre e che l'eroico Cavaliere in una famosa scena lotta contro un mulino, avendolo scambiato per un gigante - un vento che ti entra dentro, sconvolge i pensieri, uccide, fa impazzire le persone. Così lo racconta Raimunda (Pénelope Cruz), donna temprata dalle difficoltà quotidiane e sposata con un operaio disoccupato e ubriacone, quando parla del loro paesino con la sorella Sole (Lola Dueñas), che fa la parrucchiera abusiva. Anche se le due donne decisero, tanti anni prima, di lasciare il proprio paese per trasferirsi nella capitale, la nostalgia ogni tanto si fa sentire, e questo si nota soprattutto quando vanno a trovare Paula (Chus Lampreave), l'unica zia rimasta in vita, sorella della loro defunta madre, dimostrandosi affettuose e devote ai comuni ricordi, attaccatissime a quella vecchia zia che da anni vive sola, piena di acciacchi, che ci vede pochissimo eppure che ogni volta che vanno a trovarla ha la forza di preparare da mangiare per le due nipoti, persino barattoli di sottaceti da riportarsi in città.
Ma forse la zia non è sola, qualcuno potrebbe aiutarla. Forse con lei vive il fantasma della loro madre morta tragicamente in un incendio. Così sussurrano i vicini...

Un giorno l'amica di famiglia, la stessa che tutti i giorni controlla l'anziana zia, chiama al telefono Sole (la sorella non sposata) per dare la brutta notizia della morte della zia Paula. E l'amica di famiglia Augustina (la bravissima Blanca Portillo) fa capire che ad avvisarla della morte della loro zia è stato, probabilmente, il fantasma della loro madre... che poi verrà fuori, all'improvviso, dal portabagagli della figlia Sole al ritorno dal funerale. Una specie di favola amara, però l'intrusione è concreta e sconvolge, ma in modo positivo, la vita di molte persone.

L'improvvisa apparizione della madre, Irene, e l'effetto surreale che ne deriva, si cala alla perfezione nella vita reale di tutti i giorni, anzi fa sì che si svelino verità e s'incrinino le cortecce nella quale spesso rinchiudiamo le nostre vite, non distoglie l'attenzione dello spettatore dalla vita quotidiana delle due sorelle Sole e Raimunda, ma ce la fa comprendere meglio.
Il ritorno della madre farà cambiare parecchio la vita delle due donne, darò loro stabilità e l'ancoraggio con il passato che non avevano. Ne beneficerà soprattutto Raimunda che, dopo la violenta morte del marito, è rimasta da sola a tirare avanti la propria vita, già difficoltosa, e quella della figlia adolescente (Yohana Cobo).

Un film intenso e complesso per via della miscela di grottesco, surreale, legami con le tradizioni arcaiche e sensualità-coraggio femminile, condotto da un cast praticamente di sole donne, tutte molto brave.
Va aggiunto che l'incontro madre-figlie all'inizio non è per niente idilliaco, come si potrebbe immaginare, e questo fino a quando la madre (una efficacissima Carmen Maura) si mette a dipanare i fili dei misteri, a spiegare le tragedie, le verità dolorose che riguardano il loro passato, ad ammettere le proprie colpe nei confronti delle figlie abbandonate, per non aver capito le molestie sessuali subite da Raimunda durante l'infanzia.
In questa intricata narrazione familiare viene fuori anche la vita del paese, di quei luoghi dove è impossibile andare avanti senza essere giudicati, e allo stesso tempo l'importanza di quella vita collettiva e la fragilità che lì si avverte della barriera tra vivi e morti, tra presente e passato.

I misteri s'intrecciano ai ricordi, a verità tenute nascoste per troppi anni, al dolore e alla gioia quando si riprende (si torna) a vivere. Per questo Volver è un film superbo e amaro, eppure meno tragico del precedente lavoro del regista spagnolo La mala educación (2004). Il vento impetuoso con il quale si apre il film, oltre a riportare in vita i ricordi e i morti, mantiene l'aria di quella terra "manchega" - superstiziosa ma generosa - sostanzialmente pulita, fedele a se stessa, e per questo il film vuole essere anche un invito a mantenere salde le proprie radici, a prendersi cura dei propri luoghi.


Volver (Tornare).
Con: Martina Gedeck, Ulrich Mühe, Sebastian Koch, Ulrich Tukur, Thomas Thieme, Hans-Uwe Bauer, Volkmar Kleinert, Matthias Brenner.
Produzione: Spagna, 2006.
Sceneggiatura: Pedro Almdóvar.
Fotografia: José Luis Alcaine.
Musica: Alberto Iglesias.

 

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