FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia
Numero 8
ottobre/dicembre 2007

Tracce d'Europa

TRACCE D'EUROPA?
Siamo ancora i primi della classe

di Armando Santarelli



Tracce d'Europa?
"Una civiltà", ha scritto Emile Cioran in Storia e Utopia, "si rivela feconda per la facoltà che essa ha di incitare gli altri a imitarla".
È per questa ragione che siamo ancora i primi della classe.
Una qualità che si fonda su ciò che chiamiamo conoscenza: Platone e Aristotele, San Benedetto e San Tommaso, Dante e Shakespeare, Leonardo e Michelangelo, Galileo e Keplero, Cartesio e Newton, Montesquieu e Kant, Bach e Mozart, Linneo e Darwin, Goethe e Proust, Einstein e Popper: immortali sigilli d'Europa nella storia umana.

Tracce d'Europa?
È stata la filosofia, tramite le sue categorie razionali, a rendere possibile la nascita della scienza; la filosofia, che resta un prodotto del genio ellenico. I popoli orientali possedevano sì cognizioni scientifiche, ma esse avevano un carattere eminentemente pratico; quanto al loro pensiero, non assurse mai a scienza filosofica basata sul logos, come invece furono in grado di fare i Greci.

Tracce d'Europa?
La storia della libertà inizia con Erasmo da Rotterdam, il primo intellettuale a comprendere l'importanza della ricerca e a ergersi in difesa della libertà individuale.

Certo, oggi non siamo più il centro del mondo, e questo ci ha reso più insicuri, più fragili. Dopo millenni di supremazia, abbiamo perso il predominio economico e militare, soprattutto per effetto dell'ascesa degli Stati Uniti al rango di potenza planetaria. Ma più degli americani, più di ogni altro popolo della terra, sappiamo chi siamo.

Nella cruda, ma realistica formulazione di Denis de Rougemont, abbiamo scoperto e influenzato tutti gli altri continenti, ma nessuno ha scoperto noi. Abbiamo dominato il mondo, ma nessuno ci ha mai dominati. Siamo sicuramente all'altezza delle difficili scelte che l'odierno assetto del mondo comporta, perché la nostra civiltà, nutritasi del pensiero greco, dei fondamenti morali della religione cristiana, di quella ragione laica che è alla base della democrazia liberale contemporanea, ci ha abituato alla riflessione, all'apertura verso la possibilità che la verità risieda altrove, alla rinuncia a imporre le proprie ragioni con la violenza e la sopraffazione.

Nessuno nega il diritto all'esistenza di una pluralità di culture, e quindi di diversi modelli di organizzazione della convivenza civile. Né possiamo dirci certi di essere noi, gli europei, i più attrezzati a sostenere la sfida cruciale del nostro tempo, cioè l'incontro e l'integrazione con altre razze e culture. La terribile pagina del genocidio degli ebrei d'Europa sta lì ad ammonirci sulla labilità, anche per le società più avanzate, del confine fra civiltà e barbarie.

Ma quale terra, al mondo, può vantare l'esperienza culturale, sociale, politica, il lungo cammino attraverso le istituzioni che ha contraddistinto la storia europea?
Nonostante le pagine buie, nonostante gli acciacchi, penso sia innegabile che l'Europa rappresenti, oggi, la migliore realizzazione di quella che Popper ha definito una "società aperta", cioè una società democratica, laica, liberale, solidale.

Chi, meglio di noi?
L'America che vuole imporre la "dollarizzazione del modo" (come l'ha definita Jonathan Franzen), che promuove l'egoismo sociale di chi misura il valore di un uomo in base a ciò che ha?
La Russia di Putin, dove i giornalisti pagano con la vita la voglia di verità, dove chi manifesta contro il Governo rischia di venir punito con 15 anni di carcere?
L'Islam, che non conosce il concetto di società laica, che vorrebbe governare il mondo secondo i dettami di un testo, il Corano, che sancisce l'inferiorità giuridica della donna, che presta il fianco a interpretazioni come quella che è permesso di uccidere nel nome di Dio?
La Cina, che continua a opprimere il Tibet, a negare i diritti civili, a condannare all'esecuzione capitale migliaia di persone ogni anno?
L'India, una società ancora segnata da profonde disuguaglianze e da terribili tensioni religiose e intercastali?

Fra le molte, indelebili tracce che l'Europa, e poi l'Occidente euroatlantico, hanno impresso nella storia umana, resta da dire di quella che è diventata, ormai, la più profonda, perché è alla base di ogni attuale mutamento sociale, politico, economico, e persino antropologico: la tecnica.
La tecnica che, da strumento nelle mani dell'uomo, è diventata l'ambiente dell'uomo; che da mezzo è diventata fine, e tutto subordina a sé: la natura, sempre più vulnerabile per effetto della potenzialità distruttive della tecnica; la politica, dipendente ormai dalle scelte e dalle disponibilità che solo l'apparato tecnico può garantire; l'etica, che fatica a indirizzare una realtà che la tecnica non cessa di modellare a prescindere da qualsiasi posizione assunta dalle teorie morali.

Come sostiene da tempo Emanuele Severino, lo scontro di civiltà che si profila non è quello fra Cristianesimo e Islam, fra Oriente e Occidente, ma quello fra passato e presente dell'Occidente, tra i valori del pensiero greco-cristiano e la tecnica.
Sarà la tecnica ad assorbire l'Islam, come ha già dimostrato di saper fare: il proselitismo, l'organizzazione, le azioni della jihad fondamentalista, di Al Qaeda, delle altre cellule del terrorismo islamico, dipendono ormai dal possesso e dalla padronanza delle tecnologie più moderne e sofisticate.
È la tecnica che sta avvicinando la Cina e l'India ai nostri modelli. Cina e India che, mentre avanzano verso la modernità, sperimentano gli effetti dei terribili colpi che la modalità esistenziale basata sulla tecnica arreca alla tradizione.

Detto questo, sono convinto che il pensiero occidentale, che più di altri ha autorizzato la tecnica a dominare il mondo, saprà trovare i rimedi contro la fuga dell'esistenza verso il nichilismo e l'insensatezza generati dalla potenza e dalla pervasività dell'apparato tecnico.
La crescita nella società occidentale - e specialmente in Europa - della sensibilità verso una migliore qualità della vita, l'attenzione per il tempo libero rilassante e creativo, la solidarietà verso terre e popolazioni che non hanno la nostra stessa fortuna, rappresentano un'inversione di tendenza rispetto alla ricerca insensata del benessere identificato con il potere, la ricchezza, il consumismo.

A dispetto dei catastrofisti, di chi si sofferma solo sul lato edonistico e individualistico della nostra società, io vedo emergere nella vecchia Europa un nuovo bisogno di comunità e di cooperazione, di forme di vita associata dove incontrare e vivere i bisogni reali, quelli del dialogo, della giustizia, del pluralismo, del rispetto per l'ambiente, valori che non sono occidentali, ma che dovrebbero essere un diritto per tutti i cittadini del mondo.

Come ha sottolineato di recente Andrzej Stasiuk, se sempre nuovi Paesi desiderano unirsi alla Comunità Europea, allora non è questione di benessere o dello standard di vita europeo. "Per cose del genere", scrive lo scrittore polacco, "la gente non va in prigione e non si mette sotto la canna dei fucili. Si tratta di qualcosa di più grande".

 

armando.santarelli@inwind.it