FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia
Numero 8
ottobre/dicembre 2007

Tracce d'Europa

TRIESTE E L'ALTRA EUROPA

di Gabriella Musetti



Trieste è una città che non si limita a porsi sul "confine", ha anche avuto esperienza di confini dentro se stessa, nella sua storia, perfino nella sua anima.
A proposito del suo pseudonimo Italo Svevo (suo vero nome Ettore Schmitz) scrive nel Profilo autobiografico, redatto nel 1928 per l'editore Monreale: «Per comprendere la ragione di uno pseudonimo che sembra voler affratellare la razza italiana e quella germanica, bisogna aver in mente la funzione che da quasi due secoli va compiendo Trieste alla Porta Orientale d'Italia: funzione di crogiolo assimilatore degli elementi eterogenei che il commercio e anche la dominazione straniera attirarono nella vecchia città latina. Il nonno d'Italo Svevo era stato un funzionario imperiale a Treviso, dove sposò un'italiana. Il padre suo, perciò, essendo vissuto a Trieste, si considerò italiano, e sposò un'italiana da cui ebbe quattro figliole e quattro maschi. Al suo pseudonimo "Italo Svevo" fu indotto non dal suo lontano antenato tedesco, ma dal suo prolungato soggiorno in Germania nell'adolescenza».1

«Questa diversità di Trieste è stata ora ostentata ora misconosciuta, ora affrontata con lucida coscienza ora ignorata con arroganza oppure codificata in un comodo e falso clichè», dicono Angelo Ara e Claudio Magris,2 in un libro fondamentale per la comprensione della storia e della cultura della città. Magris parla anche di Trieste come di una città "di carta", notazione che rende molto bene il carattere fittizio, fantastico e letterario di una città presente in tanti luoghi della letteratura e della cultura non solo italiana. In effetti Trieste esercita un fascino assolutamente speciale sia su chi arriva in città, sia su chi non l'ha mai vista, ma ne ha letto e visto gli abbondanti documenti: è un luogo letterario, un condensato di immagini spesso non rispondenti alla realtà, assume i contorni di un mito nel quale di intrecciano realtà diverse legate ad un passato irrimediabilmente tramontato e per questo posto in un'aura particolare.

Trieste, fino alla prima guerra mondiale, faceva parte dell'Impero asburgico. Per la sua posizione geografica, e per le particolari facilitazioni volute da Maria Teresa d'Austria, Trieste divenne un luogo particolarmente attraente per scambi e affari e quindi, per la confluenza di una borghesia cosmopolita che qui ha operato e che qui ha lasciato la sua impronta.3
Il ricordo di questo passato glorioso è ancora vivissimo nell'immaginario triestino contemporaneo, il che rende più amara la sensazione di perifericità e marginalità avvertita oggi nei confronti del resto d'Italia.

«Porto franco dal 1719 e più tardi luogo di traffici che ne esaltano l'importanza all'interno dell'Impero austro-ungarico, Trieste ha sempre mantenuto un'identità cosmopolita. Negli anni immediatamente successivi al biennio rivoluzionario 1848-1849, si consolidò l'unità amministrativa di una nuova regione, il Litorale, in cui erano incluse Gorizia, Trieste e l'Istria».4 Trieste ebbe lo statuto di "città immediata dell'impero", godeva, cioè, della prerogativa di "città provincia", non soggetta al controllo di una dieta e dotata di un proprio luogotenente, la cui autorità si estendeva su tutto il Litorale. L'attività economica era legata soprattutto al mare; anche attraverso le tariffe ferroviarie e doganali, e i transiti dall'entroterra.
Il governo di Vienna aveva voluto fare di Trieste uno strumento fondamentale per la sua politica di penetrazione economica a Levante. Abitanti della città erano tedeschi, greci, ungheresi, turchi, ebrei, serbi, armeni, una colonia multinazionale che contribuì con capitali ed esperienze alla crescita economica, ma c'erano anche sloveni, da sempre presenti nel territorio, e italiani.


Borgo Teresiano

«Al porto triestino si collegavano importanti industrie, adibite alla lavorazione delle materie prime giunte via mare, i cui prodotti finiti venivano inviati verso l'interno. Si apriva allora la più importante fase di crescita economica che la città abbia mai attraversato, una vera e propria rivoluzione industriale: accanto a nuovi cantieri navali dislocati a Muggia e a Monfalcone, si svilupparono stabilimenti siderurgici (la Ferriera), tessili (iutifici e cotonifici), chimici; inoltre raffinerie d'oli minerali, la pilatura di riso di San Sabba, una fabbrica di linoleum e molte altre industrie alimentari. Ben 50 ditte si dedicavano al commercio del caffè".5
Anche la situazione delle donne presenta caratteristiche particolari. L'idealizzazione della donna triestina attraversa tutto il periodo asburgico e continua negli anni successivi. In effetti, a Trieste, unico porto dell'Austria-Ungheria, luogo di mescolanze di genti, le donne avevano più autonomia e libertà rispetto al Regno d'Italia: erano più libere nella vita sociale, potevano andare senza compagnia maschile, con le amiche nei caffè, al mare o a teatro; erano più autonome sul piano economico: l'attività marittima lasciava spesso le donne sole per molta parte dell'anno; la città industriale necessitava di manodopera femminile nelle fabbriche (tessili, cartiere, tabacchifici, porto), nei trasporti (ad esempio la tramviera del racconto di Svevo Il buon vecchio e la bella fanciulla), nel servizi domestici (le famose lavandaie che raccoglievano i panni della borghesia e li lavavano a casa), nel commercio minuto (le "venderigole", venditrici di frutta e fiori in piazza Ponterosso, le donne che portavano pane e latte, le "pancocole"), nell'artigianato (le sartine), ecc.

Molte donne furono anche impiegate in attività bancarie, assicurative, amministrative, nei settori dirigenti, nelle diverse comunità etniche e culturali che vivevano nel territorio triestino. Anche le donne della borghesia triestina erano più autonome ed emancipate, godevano di una educazione più accurata al Liceo femminile, ben frequentato, dove acquisivano con largo anticipo sull'Italia, suggestioni che provenivano dalla cultura europea, come Freud, Nietzsche o Ibsen, o le irruenze del Futurismo, che, con la presenza di Marinetti a Trieste, ebbe molte donne tra le sue più accanite sostenitrici. Donne informate, attive, culturalmente impegnate, portatrici di inquietudine, vivacità polemica ed energia vitale che attraversa tutto l'universo femminile della città e che si fonde e si confonde, poi, con le particolari vicende drammatiche che questi territori hanno vissuto nell'arco delle due guerre mondiali.
La città stessa, in qualche modo, ha elevato a mito la donna, la "mula triestina", spesso in maniera astratta, aproblematica, senza peraltro poi raccontare la parte reale svolta dalle donne nelle vicende concrete, nelle battaglie politiche e culturali che ne hanno costruito la fisionomia.

Le fonti letterarie e storiche, i documenti cartacei, le immagini, i racconti orali, mostrano invece i differenti ruoli concreti svolti dalle donne, di subalternità o di autonomia, ma è un discorso, in grande misura, ancora da esplorare. Ma è forse attraverso il ritratto delle "tre amiche", le "tre giovinette, tre coetanee e condiscepole, compagne sue di escursioni, di villeggiature, di bagni, colte, intelligentissime, da poter dire loro tutto di sé e anche di loro", secondo le parole di Silvio Benco a proposito delle amiche di Scipio Slataper, che meglio si illumina l'anima inquieta, tormentata e insieme vitale e spavalda di molte esperienze femminili dei primi anni del Novecento.
Attraverso i carteggi di Slataper, raccolti e pubblicati in seguito da Giani Stuparich, di delineano le figure di Anna Pulitzer (Gioietta), Elody Oblath, e Gigetta Carniel, la più mite delle tre, che Slataper sposò poi nel 1914, dopo il suicidio dell'amata Gioietta, in piedi, con la pistola davanti allo specchio, in un atto vibrante di folle esaltazione eroica, secondo l'atmosfera rarefatta legata ai modelli di Nietzsche, Kleist e Ibsen, e in cui si mescolavano vita e letteratura.

Ma Trieste è anche un "mito ingannevole" come sostengono Roberto Finzi e Giovanni Panjck in una monumentale opera.6 È in gran parte una falsificazione l'immagine della città "crocevia" di culture, fa parte di una immagine eminentemente letteraria, su cui si sono versati fiumi d'inchiostro. La muliculturalità della città era un fattore soprattutto di élite, una circostanza familiare che denotava alcuni ambienti della buona borghesia triestina, non una situazione generalizzata della città. Che la realtà fosse fatta soprattutto di mondi separati, che potevano tutt'al più incontrarsi qualche volta, ma mai in modo costante, lo aveva scritto anche Bobi Bazlen, scrupoloso e ironico conoscitore della città.

Dopo la prima guerra mondiale e il crollo dell'Austria Ungheria, il successivo "fascismo di confine" si distinse nell'offensiva contro le popolazioni slovene e croate rimaste in gran numero entro i nuovi confini dello stato italiano, ebbe un forte carattere totalitario e antislavo.
Dopo l'8 settembre Trieste diventava capitale dell'Operationszone Adriatische Küstenland (Zona di operazioni Litorale Adriatico), che comprendeva le province di Udine, Gorizia, Trieste, Pola, Fiume e Lubiana, destinate a essere incorporate direttamente nel Reich in forme da stabilirsi. Contemporaneamente le SS crearono il lager della Risiera. Il Litorale fu uno dei più aspri campi di lotta partigiana.
Al termine del secondo conflitto mondiale, Trieste divenne luogo di una nuova conflittualità fra Italia e Jugoslavia. Nel 1945 tutto il territorio della Venezia Giulia passò sotto il controllo jugoslavo e, dopo una lunga parentesi di amministrazione angloamericana, il governo italiano riuscì a recuperare i bordi occidentali della regione: nel 1947 l'Italia ritornava a Gorizia, nel 1954 a Trieste, mentre per la sanzione formale della nuova frontiera bisognò attendere il 1975.7

Trieste, che per collocazione geo-politica è stata considerata «di frontiera» negli anni della guerra fredda, oggi, dopo la recente riconfigurazione della fisionomia geografica e politica dei Balcani e l'ampliamento dell'Unione Europea si pone come un laboratorio privilegiato per un confronto tra Est e Ovest. E il primo confronto, da questo lato d'osservazione della realtà, è proprio con i Balcani, con questo territorio che si apre ai suoi confini orientali.
I conflitti che hanno distrutto la Jugoslavia rappresentano una sorta di "buco nero" per l'Europa e ancora oggi si fatica, in molti ambienti e nell'opinione pubblica italiana, ad avere una percezione esaustiva dei problemi innescati, delle lacerazioni connesse, dei conflitti identitari e linguistici, dei nazionalismi devastanti, della instabilità di quest'area area geo-politica "nel cuore dell'Europa".

«In periodi di particolare crisi, e tanto più in guerra, una società perde la sua 'coerenza epistemologica'; il che vuol dire che lo scarto tra realtà e immagine di sé aumenta e che il loro legame può anche spezzarsi. Ci sarà allora una rottura della rappresentazione e, implicitamente, una sorta di scissione ermeneutica. Più la ferita è grande e più la società si fonda (o piuttosto si rifonda) su una menzogna o su un ideale che poco ha a che vedere con la realtà».8
«Paradossalmente (ma non troppo) assistiamo nel nostro paese alla rimozione, da parte di molti mass media, di molti intellettuali, di moltissimi politici, di quelle guerre durate un decennio che tanto profondamente dovrebbero avere inciso sulla coscienza di sé dell'Europa; mentre, anche al più esterno dei visitatori, molti paesi sorti dalla disgregazione della Jugoslavia appaiono ancora pesantemente segnati dalla povertà, dal dolore, da un dilagare della memoria che alimenta il risentimento".9

Uno studioso di origine bosniaca, che da anni vive in Italia, Predrag Matvejević, sostiene che occorre fare chiarezza, anche linguistica, nel parlare di Europa: l'Europa dell'Est è stata una designazione «più politica e ideologica che geografica e culturale, imposta dalla seconda guerra mondiale e dalla guerra fredda. Questo nome è diventato desueto, viene sostituito da un altro, altrettanto impreciso: Europa centrale e orientale. L'Europa centrale comprende anche paesi che - come l'Austria o la Svizzera - non sono stati assoggettati dai regimi "comunisti" dell'Est. L'Altra Europa è anch'essa una nozione mal definita, forse di proposito»."10
Infatti quale può essere la connotazione dell'alterità e rispetto a quali parametri?

Oggi l'Europa considerata nella sua interezza non è più configurabile, con le dovute differenze, come lo era un tempo: pezzi del suo territorio sono apparentemente appartenenti al Terzo Mondo: basti pensare all'Albania, a molti luoghi dei Balcani, alla Romania, ad altri paesi molto lontani da livelli di vita occidentali.
Allora la domanda da farsi è ancora: "Quale Europa?".
Perché i piani da interrogare, da quello puramente economico a quello culturale, da quello delle nazioni a quello scientifico, o delle risorse, o delle religioni, o internazionale, ecc. sono molti, diversi tra loro e spesso in contraddizione.
L'Altra Europa è una definizione ambigua, si è detto, ma la realtà in cui si spendono le azioni e si ipotizza il futuro, si muove anche senza una progettazione precisa. Per questo è importante pensare all'Europa sottolineando gli aspetti di cultura e civiltà che la caratterizzano, senza trasformarla in una sorta di "fortezza", tesa alla difesa del suo status e del suo territorio.

Basta poco, vivendo a Trieste e generalmente in questi territori di "confine", per rendersi conto che questa zona può essere rappresentativa dell'Europa intera e potrebbe davvero diventarne il fulcro.
«L'Europa si dissolve nel momento in cui uno vuole pensarla in modo chiaro e distinto, si frammenta quando si vuole riconoscerne l'unità. La nozione d'Europa deve essere concepita tenendo presente la sua piena e multipla complessità... L'Europa non possiede unità che nella sua molteplicità. Sono le interazioni tra i popoli, le culture, le classi sociali, gli Stati, che hanno tessuto una unità, essa stessa plurima e contraddittoria. ... È attraverso le divisioni e gli antagonismi che si impone la nozione di Europa.»11

Edgar Morin, nel suo saggio: Penser l'Europe, parla di "Unitas multiplex", espressione che si adatta in pieno a questi territori dove il sud si incontra col nord, l'est con l'ovest e dove convivono persone dalle più svariate provenienze e culture e dove, quasi sempre, non ha significato parlare di "triestino autentico", perché quelle mescolanze sono tutte presenti nella stessa persona. D'altra parte lo stesso autore ci mette in guardia perché proprio quella che è stata, culturalmente, la maggior ricchezza dell'Europa, ovvero la diversità, è anche la fonte della sua fragilità: «Le memorie storiche europee non hanno in comune che la divisione e la guerra, non hanno come eredità in comune che le loro reciproche inimicizie».12 Allora, continua l'autore, «Il destino comune a cui auspichiamo non emerge dal nostro passato. Emerge dal nostro presente perché è il nostro futuro che ce lo impone.»13



1Il Profilo autobiografico è inserito nel volume Italo Svevo "Opera omnia" Racconti, saggi, pagine sparse, a cura di B. Maier, Dall'Oglio, 1968, p. 800.

2A. Ara, C. Magris, Trieste. Un'identità di frontiera, Einaudi, Torino 1983, pag. 4.

3La città che ha visto decollare la sua fortuna economica e che occupa un posto nevralgico in Europa, all'incrocio tra civiltà diverse, assume un volto più complesso rispetto a quello del vecchio comune, determinato dal flusso migratorio che diventerà una delle costanti della storia triestina fino allo scoppio della prima guerra mondiale. Il fenomeno dell'immigrazione si presenta in due forme diverse, per quanto riguarda la provenienza dei nuovi abitanti e la loro incidenza sulla fisionomia di Trieste: da una parte i mercanti e gli speculatori, provenienti dai più svariati luoghi dell'Europa e del Mediterraneo, dall'altra una manodopera che passa dal lavoro agricolo extramurale all'impiego nelle attività portuali, sostituita nelle campagne, da contadini sloveni. Cfr. Ara Magris, cit., pag. 11.

4Marina Rossi, Profilo di una città, in Donne di frontiera. Vita cultura lotta politica nel territorio del confine orientale italiano nei racconti delle protagoniste, a cura di Gabriella Musetti, Silava Lampariello Rosei, Marina Rossi, Dunja Nanut, Il Ramo d'Oro, Trieste 2007, p. 35.

5Ivi p. 35.

6Storia economica e sociale di Trieste, Volume primo: "La città dei gruppi. Secoli XVIII-XX", a cura di Roberto Finzi e Giovanni Panjck, LINT, Trieste 2001.

7Cfr. Marina Rossi, Profilo di una città, cit.

8Rada Ivekovic, Autopsia dei Balcani, Raffaello Cortina Editore, Milano 1999, p. 13.

9Le guerre cominciano a primavera. Soggetti e genere nel conflitto jugoslavo, a cura di Melita Richter e Maria Bacchi, Rubettino, Catanzaro 2003, p. 17.

10P. Matvejević, L'Europa e l'Altra Europa, in "Spinn" Roma 2003, p. 6.

11E. Morin, Penser l'Europe, Gallimard, Paris 1987, pp. 22.

12ivi pag. 23.

13ivi pag. 24.

 

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