FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia
Numero 8
ottobre/dicembre 2007

Tracce d'Europa

IL PASSEGGERO WALTER BENJAMIN
NELL'EUROPA DEVASTATA DEL 1940

di Alessio Brandolini



Aveva viaggiato molto, prima di ingoiare le compresse di morfina che lo porteranno alla morte, Walter Benjamin. Nato a Berlino nel 1892 si era laureato in Svizzera, a Berna, nel 1919. Era stato a Mosca più volte, e in Italia, aveva vissuto a Parigi dopo l'avvento del nazismo. Un ebreo in fuga o, meglio, in "europeo" in fuga. La fortuna del suo pensiero in Europa ha avuto inizio soltanto negli anni '60. Quando si uccise era conosciuto da una cerchia ristretta, che però andava ben oltre la Germania. A dimostrazione che le idee, quando sono originali e acute, circolano comunque. E stranamente in Italia la sua fortuna è stata più grande che altrove. A partire dal primo libro pubblicato da Einaudi nel 1962, Angelus Novus e poi, nel 1966, L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica, nel 1971 Il dramma tedesco barocco e nel 1975 l'autobiografico (e molto poetico) Infanzia berlinese. Opere fondamentali del pensiero contemporaneo.

Ricardo Cano Gaviria è uno scrittore colombiano, nato a Medellín nel 1946, che 1970 vive in Spagna, vicino Barcellona. Affascina il fatto che sia un autore americano, trasferitosi in Spagna, a raccontarci gli ultimi giorni di vita di un europeo costretto alla fuga, che spera di raggiungere l'America (e quindi la salvezza) e che, al contrario, troverà la morte subito dopo aver raggiunto a piedi il suolo spagnolo.
Il passeggero Walter Benjamin (Le Lettere 2007) uscì la prima volta in Spagna nel 1989, poi - rivisto - in Venezuela nel 1993 e di nuovo in Spagna - rivisto ancora - nel 2000. Anche l'edizione italiana è stata ulteriormente rivisitata dall'autore, e quindi risulta inedita nella lingua originale. Scherzi del destino, però in linea con il pensiero di Benjamin che affermava che la lingua, essendo una creazione divina, è l'essenza dell'uomo. Ovvero, il romanzo di Cano Gaviria tende alla precisione storica e filosofica: le modifiche si rendono necessarie via via che vengono alla luce nuovi documenti del pensatore berlinese. Non a caso Cano Gaviria sull'argomento ha scritto anche articoli e reportage su quotidiani spagnoli. Il suo libro è sì una "finzione", come ogni romanzo, ma ben documentata e precisa nei fatti storici.

Il romanzo si divide in due parti, con un "Esordio" che fa il punto della situazione: l'arrivo dopo l'attraversamento dei Pirenei a Port-Bou (nella Catalogna spagnola), il 25 settembre 1940, del quarantottenne Walter Benjamin con in mano un visto francese per imbarcarsi per gli Stati Uniti. Uno scrittore (critico-filosofico) ebreo, che già era fuggito da Berlino dopo l'avvento del nazismo, poi dalla Parigi occupata il 14 giugno 1940 dopo che l'esercito tedesco, seguendo la tattica del 1914, un mese prima avevo attaccato la Francia occupando Olanda, Belgio e Lussemburgo, paesi neutrali. Una così rapida avanzata - ma criminale, visto che calpestò la neutralità dei tre paesi invasi - annullò le titubanze di Mussolini e il 10 giugno 1940 anche l'Italia entrò in guerra, con la speranza d'accaparrarsi qualcosa dell'Europa in decomposizione.


L'Europa nel 1940
(con un refuso: Sofia e Bucarest scambiate di posto)

Benjamin arriva stanchissimo, sta male, allora viene chiamato un medico per visitarlo. Ha con sé una valigia piena zeppa di lettere e manoscritti, altri li ha lasciati a Parigi. Spera d'attraversare velocemente la Spagna franchista e raggiungere il Portogallo, per poi imbarcarsi da Lisbona, per l'America. All'arrivo con lui ci sono cinque donne e un bambino. L'ingresso in Spagna viene però loro negato: i sette devono tornarsene subito nella Francia di Petain. Ma è tardi, allora gli concedono il permesso di alloggiare una notte in un albergo del posto:

Walter Benjamin, che a stento aveva sopportato la traversata a piedi dei Pirenei, non sopportò la navigazione di quella lunga notte in una miserabile stanza d'albergo, e il giorno dopo, presumibilmente all'alba, ingerì la dose di morfina che favorì, o forse provocò, il suo decesso.

Nel romanzo si descrive l'arrivo, la sistemazione nelle stanze, le speranze di fuga, e poi si esplora la stanchezza di Benjamin, i ricordi che scorrono nella sua mente. Via via la narrazione rallenta, man mano che ci si avvicina al momento della morte perché, come scrive Cano Gaviria nel citato "Esordio":

l'autore trova forse il suo maggiore stimolo nella seguente riflessione, inserita da Benjamin in uno dei suoi più illuminanti lavori sulla narrazione: 'Allora, il romanzo non è significativo perché ci presenta, in modo magari esemplare, un destino estraneo, bensì perché quel destino estraneo, in virtù della fiamma che lo consuma, ci offre un calore che non otterremmo mai dal nostro stesso destino. Ciò che trascina il lettore verso il romanzo è la speranza di riscaldare la propria vita tremante grazie alla morte di cui legge'.

Per questo i minuti diventano ore: i ricordi sono fatti di dettagliate descrizione delle città europee dove ha vissuto (soprattutto Parigi e la Berlino dove è nato e dove nel 1929 aveva conosciuto l'amico Bertolt Brecht). E poi gli amori, i libri letti con passione, i suoi scritti, i versi della Bibbia, le continue riflessioni sulla religione, l'arte, la storia... E poi le immagini che si stagliano davanti agli occhi febbricitanti. L'avvento del nazismo che sconvolge la Germania, la sua Berlino, e poi, a distanza di qualche anno, l'intera l'Europa.
Il presente si intreccia al passato, il tempo si blocca a Port-Bou e il domani è già quasi oggi. Una peripezia nella mente che viaggia nel tempo e nello spazio in cerca di frammenti significativi, che poi si saldano in una composizione "a mosaico".

Come si sa Benjamin si impegnò a fondo nello studio di Proust, e nei capitoli finali (v. "Moriendo vivere non est necesse") la lingua del romanzo, che segue il flusso di pensiero di Benjamin, risente di questo aspetto e fonde le diverse sensazioni che affluiscono nella mente e nel corpo di un uomo che si sta avvicinando alla morte, la accoglie come un traguardo finale:

comprese che ormai alla frontiera non gli avrebbero più richiesto alcun salvacondotto, e con la stessa allegria di chi constata che, malgrado tutti i contrattempi sorti, non è arrivato tardi all'appuntamento, tirò un sospiro di sollievo e chiuse tranquillamente gli occhi dietro gli spessi occhiali da miope.

Forse la sua morte servì a qualcosa visto che poi ai suoi compagni, il giorno successivo a quello dell'arrivo, quando il corpo di Bejamin fu trovato senza via, fu concesso il permesso di proseguire, di raggiungere il Portogallo. Il viaggio del filosofo, invece, terminava a Port-Bou, dove tutt'ora il suo corpo è sepolto.

Sono molti i libri apparsi negli ultimi anni su Walter Benjamin, il romanzo di Ricardo Cano Gaviria forse è il più affascinante, certo il più benjaminiano, pur nella sua originalità di scrittura e di pensiero, e centra il viaggio filosofico e umano di questo nobile e moderno "passeggero" in un'Europa devastata dal nazifascismo.

Ricardo Cano Gaviria, Il passeggero Walter Benjamin (Le Lettere, collana Latinoamericana, traduzione di Alessandro Rocco, Firenze 2007, pp. 163, € 16,00)




Da Il passeggero Walter Benjamin


Fu allora che notò che più avanti, prima che il poliziotti si fermassero, la più slanciata e giovane delle donne, la alsaziana, si era girata per guardare verso di lui. Subito dopo sollevò lentamente la mano e sembrò indicare uno stretto edificio sulla sinistra, dal cui ingresso pendeva un'insegna scarna e grigia: Hotel Francia. Pensò che quel gesto quasi ieratico, con la sua inquietante aureola, avrebbe potuto ben essere il beau sujet che cercava (chi è costei che si innalza sul deserto come una colonnina di fumo, fatta di profumi di mirra e di incenso, e di aromi di ogni specie...?), e nel momento in cui i poliziotti, senza affatto preoccuparsi degli stranieri, attraversavano la porta rettangolare dello stabilimento, il suo sguardo irrequieto passò in rassegna le finestre del primo piano, quello del balcone. Sì, erano chiuse: ma in realtà, quando, con gesto sicuramente identico a quello della giovane alsaziana, l'angelo della morte segnava con il dito le case degli egiziani i cui primogeniti erano destinati a morire, si compiva sempre la sua promessa? Poi, semplicemente, fornendo alla scena un contesto diverso, immaginò che lo stesso effetto sarebbe scaturito, guardando da una prospettiva analoga, dall'edificio di rue Domblase, quando una giovane con la divisa della Gestapo vi fosse giunta seguita da un gruppo di soldati che, mitragliette alla mano, si sarebbero lanciati sul piccolo e rumoroso ascensore diretti allo studio del settimo piano, dal quale lui era riuscito a fuggire per un pelo dopo aver messo in salvo la parte più importante dei suoi manoscritti in rue Richelieu...

Ma erano veramente al sicuro in rue Richelieu? Gli uomini che una notte del '33, armati di fiaccole, avevano bruciato migliaia di libri in Germania, non erano capaci di accendere nella place de Richelieu, di fronte al nobile edificio della Biblioteca, la pira più grande d'Europa?


alexbrando@libero.it