FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia
Numero 7
luglio/settembre 2007

Altre terre

UN POEMA RELIGIOSO SULLA
CIRCOLARITÀ DELL'ESSERE

Su Ellisse di Domenico Iannaco

di Marco Testi


Il mestiere di leggere poesie, come ogni altro mestiere rischia l'abitudine, soprattutto nella contemporaneistica, quando la mancanza di distanza fa vedere tutto con uno sguardo opaco, rassegnato: anche perché, diciamocelo francamente, non è che il livello complessivo del materiale oggi aiuti a pensarla diversamente.

Ogni tanto però arriva qualche sorpresa, come questo Ellisse, del giovane poeta avellinese nato nel 1980 Domenico Iannaco (2006, Joker Edizioni), in cui sono assenti tutti gli elementi che sostanziano la poesia di oggi: assoluta auto-referenzialità, amori finiti e conseguente solitudine, pianto e stridor di denti, informazioni assai accurate quanto non richieste e non utili sull'attività fisica e mentale del soggetto poetante. Qui siamo di fronte ad un vero e proprio poema (che già di per sé è storicamente merce rara) e ad un afflato misticheggiante assolutamente fuori tempo e fuori moda (lo si legga come complimento), e comunque molto lontano dalle corde della vigente lirica, almeno nel nostro paese.

Qui parla in prima persona la poesia, non le comuni ambasce personali scambiate per poesia: in Ellisse dell'autore in carne ed ossa rimane poco, ma in cambio ci troviamo di fronte a una nuova visione poematica, che attinge all'intera tradizione italiana, ivi compresa quella medievale e dantesca, e oltre, fino alle Scritture. Il centro focale di tale sforzo ri-generativo, sorprendente nella penna di un autore così giovane, è circolarità di una esistenza intuita come viaggio verso l'unità attraverso la divisione.

Siamo di fronte a una poesia che cerca la conciliazione delle differenze nell'unità: "Nella morte il mio principio", "E ciò che è più puro / appare terribile", "Ma quella forza che crea... / distrugge!", "Dio è la lepre e l'aquila".
Ma non si tratta di una approssimativa e impressionistica visione interreligiosa, spiritualizzante, come oggi va di moda, anche se non è detto che tutte le mode vengano per nuocere. Oltretutto non si può pensare che la cultura di un uomo contemporaneo sia a senso unico e non possa invece contenere stimoli che gli vengono da diverse latitudini, da quella ebraica a quella orientale, soprattutto buddista e zen, fino a quella cristiana e in particolare mistica.

Questa è però una poesia della scelta, e le scelte costano, sottintendono rinunzie e prese di posizione lontane dal limbo del vecchio sé quando si cercava di prendere il meglio o il possibile da tutto. Perciò il mito della fusione mistica con la divinità qui non è estenuata e sensuale tentazione metafisica, ma salda scelta di campo: "Perdersi nel mare, / perdersi in Dio, un / Dio che muore e / dalla croce volge gli occhi / misericordioso".
L'equilibrio sempre instabile tra elementi del vissuto, personale e innata voce lirica e superstrato culturale, permette lo sviluppo di un discorso che si avvale di diversi materiali, dalla realtà alla fisica alla religione al mito, in una singolare riappropriazione dei racconti delle origini e insieme della biologia darwiniana: "La realtà è liquida, / puzza di morte. / Tu appari tra scaglie d'argento / e piume di cigno / e ricordi l'origine marina / di tutto ciò che è".

È come se qui, come in uno dei celebri quadri di Dalì sulla liquidità del tempo, la realtà colasse e perdesse la sua apparenza di solidità, permettendo l'apertura dello spirito sull'informe, sulle origini del tempo e dello spazio. Una poesia che cerca il centro senza abolire il molteplice, perché vi si sente il richiamo della danza delle cose, si avverte quasi il ritmo inesausto che detta il tempo dell'accadere. Non si chiudono gli occhi al mondo, perché tanto è inutile: il mondo è in grado di aprire le orecchie e di fare sentire il suo battito; è, a leggere questi versi, un fatto naturale, non culturale.

Ellisse è un poema religioso latu sensu, ma non è un trattato di teologia in versi. La prospettiva dei punti di vista e le voci cambiano continuamente, rappresentando una sorta di corale in cui il caos lascia intravedere l'assestarsi di un ordine attraverso il lògos inteso come persona, nella linea del giovanneo "E il Verbo si fece carne".
Il Lògos si rivela nella materia, nella intima e profonda composizione del mondo, e l'uomo sente echeggiare questa relazione materia-Verbo in sé, al di là della logica e della ragione astratta, perché "aveva conosciuto la terra, / atomo per atomo". Solo uno sforzo di superare l'orgoglio della ragione fine a se stessa riesce a penetrare il mistero del mondo e ad intuirne il cuore segreto: "Il mistero della morte è sacro / e mi ha condotto oltre / la logica, / oltre la ragione, / quando il cielo fiorisce / e la luce è puro spirito".
È un procedimento elicoidale, attuato da elementi così apparentemente eterogenei che spesso danno l'idea di una sinfonia in fieri, che ha pochi precedenti, almeno in Italia, tra i quali occorre almeno ricordare il Marino Piazzolla di Sugli occhi e per sempre.

La scelta della forma-poema in un autore così giovane farebbe pensare ad un azzardo e ad una bella presunzione: ma quando si leggono questi versi ci si convince presto della assoluta naturalezza e leggerezza, quasi noncurante, di questa fuga continua in avanti dei materiali lirici.
Una interpretazione dell'esistente di questo tipo comporta anche una forte componente visionaria, per cui la lettura degli accadimenti e della quotidianità sottintende sempre una corrispondenza, una presenza, un simbolismo radicale e non retorico che si sostanzia di elementi apparentemente facili e abusati, ma che invece qui riprendono forza: il sangue, umano e divino, diviene "il bianco inverno dei vecchi, / neve come i corpi degli angeli".

Il tutto comprende in sé ogni cosa, ma resta il mistero di una libera scelta inscritta in questa assoluta unità dell'essere: "Piangeva il volto di Madonna, / piangeva la storia prima dell'inizio". Questo è l'enigma, sembra dire il poeta: l'esistenza di un molteplice che abita l'esistente e lo modifica, potendo ogni sua azione avere risonanza in cielo e in terra, e insieme un inizio prima del tempo, una storia che parte e torna verso quel prima, come se tutto fosse già stato scritto. La donne terrene sono figure che richiamano altra Donna, a sua volta circolarmente tesa a suggerire le madonne di tempi lontani ma di cui si ascolta l'eco nello spazio e nel tempo.

Ma non è una storia, questa di Ellisse, che riguarda solo l'uomo che crede nell'oggi, bensì una antica e anch'essa misteriosa battaglia, espressa nei versi attraverso brevi, ellittiche (ecco il senso del titolo) frasi che si rincorrono in profondità, non nella superficie didascalica del detto (il che sarebbe cattiva poesia): "Era una divinità greca / che mi possedeva / e mi straziava come / un lenzuolo usato / ed aveva la forza dei vulcani. / Sono stato un titano contro / un Dio che amava".
Eccola, la poesia, in questo riuscire a concentrare tutto in pochi versi, conservandone il senso logico e tuttavia suggerendo il non-razionale, il profondamente sentito, quel Verbo che è anche parola sotterranea, sorgiva.

Non è come potrebbe apparire, la lotta tra gli dèi pagani e il dio cristiano, ma qualcosa di molto più profondo, inscritto nella storia stessa dell'uomo, che Hölderlin aveva intuito: è la presenza nell'uomo del richiamo dei sensi, quello nobilitato dalla cultura classica, adesione al mondo naturale, non quello triviale della carne in sé e per sé; presenza che convive con l'altra componente umana, quella dell'abbassamento, attraverso il quale l'uomo tenta di farsi fratello in spirito degli altri: il che comporta una dolorosa rinuncia del luogo delle delizie scambiato per Eden ma solo proiezione individuale e talvolta narcisistica delle aspettative e dei sogni. Nessuna delle due componenti è tutta nel mondo pagano o nel mondo cristiano, ma ambedue si mescolano continuamente, e questo poemetto esprime con la sua fluidità questo movimento incessante di archetipi umani. Il dolore è già in questo situarsi nello spazio e nel tempo, è nell'azione come corsa verso la cessazione. È la separazione, sembra dire Iannaco: il che non è, come tutti avranno capito, una novità.

Questo correre apparentemente senza senso non è consolato da un dio, che sarebbe un escamotage per sfuggire alla paura della morte. "Ma ora non restano che / le opere e i giorni" è il suggello del piccolo poema in versi.
Non è una speranza nata dalla paura del buio che ci avvolge e minaccia, bensì la motivazione dell'azione: non per cogliere il premio finale ma perché questo è il codice inscritto nel mondo e che solo la poesia può aiutare a decifrare.

Domenico Iannaco, Ellisse, Joker Edizioni, collana I Girasoli, Novi Ligure 2006, pagg. 56, € 10,00.

 

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