FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia
Numero 5
gennaio/marzo 2007

Alterazioni climatiche

Notti a ritroso
DI ROGER BICHELBERGER

UN ROMANZO "SOMMERSO" CHE È ANCHE TESTIMONIANZA D'AMORE PER LA NATURA

di Marco Testi


Ma il padrone non c'era; sembrava che tutto, in quelle stanze, dicesse: la gabbia è vuota e l'uccello se ne è volato via.

Un giovane uomo decide lasciare la sua vita di prima, il lusso, il successo, la noia e il disordine mascherati da affermazione sociale. È un notaio di successo, Regis Labergie, che abbandona la cittadina di Roving per tornare a piedi, di notte, nel paese materno di Lasting, l'eroe di Les noctambules (1977), tradotto in italiano come Notti a ritroso (Città Armoniosa, 1978) da Mercedes Zignaigo Boggiano Pico, romanzo, dello scrittore lorenese Roger Bichelberger (1938).
Regis abbandona Il "nocciolo della sua nausea", la sua condizione borghese, le convenzioni, la garçonnière dove consumava fugaci e insoddisfacenti rapporti con le sue segretarie. È evidente quello che vede il suo occhio interiore quando sta per dare l'addio alla stanza dei piaceri:

Questa camera e questo letto, soffio di alghe in movimento, di alti giunchi cullati da ineffabili brezze, di erbe piegate da una dolce mano, non erano che il luogo della sua sregolatezza, il nocciolo della sua nausea. Bisognava partire, abbandonare quell'alloggio.

Il giovane notaio in crisi ha una storia alle spalle, che parla di affermazione negli studi ma anche di protezione da parte di un altro, che, in cambio di aiuto nella scuola e nel lavoro, gli offre forza, disinvoltura, capacità di fingere e di arrivare senza scrupoli. L'altro diviene il suo aiutante e il suo ambiguo protettore, nell'adolescenza e nel lavoro dopo che Regis ha avviato uno studio notarile. Ma l'aiutante si rivela in realtà un antagonista che, fingendo di appoggiarlo, lo spinge verso l'abbandono di sé e del suo spirito; vuole ridurlo alla schiavitù dei sensi per poterlo sostituire e forse ridicolizzare: la sua è in qualche modo una funzione luciferina, perché aiuta il protagonista, almeno sembra farlo nel favorire i suoi successi mondani, ma in realtà lo sta svuotando della sua autenticità e della capacità di amare in profondità, non solo blandendolo e favorendolo nel corteggiamento di giovani segretarie, ma togliendogli l'affetto della sua giovinezza, una giovane donna che Regis avrebbe voluto per compagna della vita e che invece viene affascinata e sposata dall'altro.

Il ritorno di Regis nella casa materna avviene di notte, in un itinerario di purificazione, attraverso antichi sentieri tra i centenari alberi dei monti della sua giovinezza, in cui alla allegoria classica della salita dal basso verso l'alto (la collina dantesca) si assiste alla necessità della scoperta della verità. Regis viene a sapere infatti di strane dicerie sul conto del padre, scomparso da molto tempo, attraverso i racconti, dal sapore epico, di un vecchio guardacaccia: scopre che il padre era stato bracconiere e poeta e aveva amato una fanciulla prima di sposarsi e passare a una vita "onorevole": la figlia del guardiacaccia stesso, uccisa in circostanze poco chiare.
Quello che era stato un notaio di successo non vuole però far sapere di essere a Lasting, perché il suo rivale-aiutante ha qui una casa, mentre Regis ha l'intenzione di rovinarlo attraverso la propria scomparsa (senza la firma del notaio gli atti dello studio non sono legali) e attraverso un libro-denuncia delle malefatte dell'antagonista, che va scrivendo nelle noti insonni (di qui il titolo) che passa nella soffitta e nelle strade silenti del paese alla ricerca del passato e del senso della propria vita.

Ma un evento nuovo rischia di mandare all'aria il piano: l'amore bussa di nuovo, e in modo inusuale, al cuore di Regis. È proprio la figlia adolescente del suo nemico a offrirglielo: Sylviane, che ha la stessa età che aveva la figlia del guardiacaccia al momento della morte. La fanciulla, insofferente alla rispettabilità che il padre si è costruito intorno, accompagna Regis nelle sue peregrinazioni notturne, e alla fine gli si offre. E Regis fa esperienza della differenza tra possesso e amore, e divenuto finalmente adulto e cosciente di esserlo, formula il no, il primo a pronunciare nei confronti di una donna, che apre ferite in chi lo pone e in chi si offre, ma che diviene nuova nascita e nuovo aiuto per gli altri senza più chiedere nulla in cambio.

Ma la ricerca delle tracce nascoste del padre da parte di Regis continua. Si scoprirà che fu lo stesso Ligori, padre di Regis, a uccidere Dilia, nel tentativo di difenderla dal brutale assalto di un altro bracconiere. Dilia, la figlia del guardacaccia, e il bracconiere Ligori si amavano, dunque. E Ulla, la mamma di Regis, la vedova di Ligori, viene a sapere tutto questo, perché è giusto che sappia quale posto ella abbia in realtà avuto nel cuore del marito. Non il luogo della passione, ma quello del riparo dalla tempesta del cuore, non quello dell'assoluto divorante, ma dell'affetto che costruisce il futuro di altri: di Regis.

Notti a ritroso collega in un universo sospeso e quasi fiabesco una storia di agnizione paterna fatta di mille frantumi di unità: il pazzo Hallel, che sa emettere solo un suono straziante, somigliante al canto dell'Alleluia mai compiuto, e che di notte si reca nel cimitero per appendersi alla grande croce, in una sorta di immedesimazione con la sofferenza atroce del Cristo, perché solo in quella sa rispecchiare la sua, fatta di separazione, di non comunione con gli altri, di paura della gente, di percezione dell'incompiutezza della sua esistenza, allusa in quel suo tentativo di gridare l'Alleluia della Pasqua senza riuscirvi fino in fondo e restandone al di qua, in un eterno venerdì santo della croce; la madre di Regis che cerca di difendere la sua propria identità di moglie onorata nei confronti di una storia d'amore che la scavalca senza pietà; la ricerca di Regis che abbandona la città per penetrare, dapprima in modo inconsapevole, le strade dell'identificazione simbolica con il padre (la ricerca del fucile sotterrato dalla madre ne è un'evidente spia).

Il romanzo è dotato di grande respiro narrativo, in grado di penetrare le soglie profonde che separano l'universo del narrante da quello del lettore. Intanto è un libro profondamente religioso nel senso etimologico, perché suggerisce un profondo legame (re-ligo) tra mondo e persona, nel quale l'incontro con l'albero della foresta diviene l'abbraccio a un fratello, di cui si intuisce la partecipazione alla vita del cosmo:

Abbracciò l'albero e, con l'orecchio teso all'ascolto, gli parve di percepire il mormorio della linfa nel cuore di quel gigante. Era la musica soffusa della vita nuova, la vera vita, appassionata e paziente, l'unica vita. Ed egli l'afferrava e teneva nelle mani.

Il romanzo soprattutto batte in breccia quelle concezioni estreme di certo laicismo che vedono nella letteratura religiosa un campionario di banalità conformistiche e acritiche, mentre qui si assiste allo sviluppo di un messaggio chiaramente oppositivo alla funzione di consenso alle ideologie "produttive" dei media. Il cattolicesimo qui è insieme militante, seppure non dichiarato, ma palpabile, e immerso e nascosto nel mondo, panicamente, ed è la prova che quando la fede è riconoscimento della vita come dono, essa diviene comunione con il tutto, nel quale si intravede la traccia vivente del Creatore, e non opposizione alle antiche concezioni naturalistiche del paganesimo.

Il senso complessivo della funzione oppositiva del romanzo alla struttura mentale borghese voluta soprattutto dai mezzi che dovrebbero essere d'informazione e dall'espansione dei mercati, è da ricercare perciò soprattutto nel ritorno notturno di Regis nei boschi della sua infanzia e nel riconoscimento dell'albero come simbolo della vera vita rispetto a quella falsa di prima. Qui c'è forse la pagina più suggestiva del racconto: abbracciando l'albero, Regis ripensa alla manifestazione di protesta di un vecchio storico deriso e compatito dalla gente, che si opponeva al taglio di vecchi alberi, e il narratore fuori dalla storia conclude: "Chi può pensare agli alberi, quando, nelle ore libere del sabato, si deve pulire la propria auto?".

In Notti a ritroso emergono, già in anticipo sui tempi, elementi di riflessione molto importanti: la condizione di inautenticità dell'uomo a noi contemporaneo, che, blandito dal possesso delle cose, dimentica la vera natura di sé e degli altri, assimilando tutto a materia. Entrano nella riflessione su questa narrazione l'idea della città non più come luogo della ragione e dello svelamento, ma associato alla polarità negativa di morte della natura, lo scavo nelle radici svincolato dall'osservanza freudiana e più latamente analitica per privilegiare il valore mitico (e in questo forse più vicino a Jung e alla sue derive nella new age) della "casa paterna" del cristianesimo come riscatto dal vuoto metropolitano e non come funzione confessionale da contrapporre ad altre visioni del mondo.

Il fascino del libro sta anche in questo: il suo intreccio lascia intuire bisogni diversi nell'uomo che vive nell'adesso, ma senza che vengano celebrate una nuova mitologia e una condanna senza appello: l'avventura del nuovo Adamo dei villaggi della Lorena, a due passi dalle autostrade mangiatrici di alberi, è un intrico di senso del presente e di bisogno di entrare nello spirito delle cose che le rende eterne; è la testimonianza della necessità dell'uomo nuovo di essere anche al di là della dòxa, dell'opinione, uscendo, come direbbe Carlo Michelstaedter, dalla sua falsa persuasione che è invece solo vuota, ma promettente, in senso mondano, retorica.

Non è un libro tenero, perchè non fa leva su istinti naturali come la bontà e la commozione a basso costo, ma gioca su sottili fili che altrove avrebbero scombinato l'equilibrio della narrazione: il tema dell'esilio, dell'infelicità, del non senso di una vita apparentemente appagante, dell'eros fine a se stesso, del matrimonio che può essere trappola, riposo necessario, o utopica unione eterna tra chi eterno non è, dei rapporti sul lavoro che nascondono dinamiche invisibili e inquietanti, sulla necessità del ritorno allo spirito della natura, di cui l'uomo è parte integrale, e alla fine presenza non negata perché fa parte del grande gioco, della morte. In una spettrale messa in scena, il vecchio pastore ha voluto rappresentare sul far dell'alba, la fine della sua Dilia, la sua accidentale uccisione da parte dell'innamorato (ecco il tema di amore-morte che torna senza ingombrare e senza ridondanze) nel cimitero del paese, davanti alle tombe di Dilia e di Ligori. I morti si svegliano, attraverso la giovane Sylviane, nella parte di Dilia, e di Hallel, nella parte dell'aggressore. Ma le parti, soprattutto quelle di una tragedia, che è un evento ostensivo, quindi sempre operativo, e sacrificale, non sono mai stanche ripetizioni, e i morti devono risposare in pace, perché nelle loro vicende c'è ancora la fatale energia della vita che si trasmette ai mortali che vengono dopo, e allora lo scemo del paese, l'agnello sacrificale, entra troppo nella parte, perché a tu per tu con la fresca e bella adolescente sente nel sangue lo scorrere d'una vita mai davvero vissuta con e nell'altro, e il desiderio anche se in forma sconvolta si fa largo, prorompe in modi che il folle non sa e non può dominare.

Finisce nel sangue. Il sangue che scorre e torna alla terra, e diventa linfa per le radici, e ridiviene vita, perché l'agnello che si è offerto, porta con la sua morte l'ordine biologico dell'esistenza agli altri, e con quell'ordine, anche lo spirito:

L'idiota (travolto da un'auto mentre fuggiva, ndr) giaceva a terra, con la schiena rivolta al suolo, dilaniato; e il sangue scorreva fuori dal fianco aperto, mescolandosi all'acqua, infilandosi nella terra, fino alle più profonde radici.

Fin qui le note positive. Ma ve ne è una negativa, e la cattiva notizia è che questo problema è strutturale, perché il libro rischia di non essere più letto da noi per la ragione che la sua editrice italiana, Città Armoniosa, è uscita dal mercato e questo libro non è stato più ristampato.

Roger Bicheleberger continua il suo lavoro di scrittore con nuovi romanzi. Sono usciti in questi anni Celle qui gardait toute chose en son coeur, di argomento mariano, Noëls pour un enfant perdu e, nel 2006, Le Déserteur. Tutti libri - nessuno dei quali tradotto in italiano - in cui la sensibilità cristiana non è assunta dogmaticamente dall'esterno, ma sofferta proposta di una vita vera e, insieme, nuova. L'autore però continua a essere sconosciuto in Italia, nonostante alcuni studi specialistici.

È possibile ancora tentare la ricerca di questo romanzo "perduto" su siti commerciali che in internet propongono anche usati (io stesso l'ho trovato in questo modo), ma sarebbe comunque opportuno che Notti a ritroso venisse ripubblicato e ristampato, perché è uno dei romanzi di quel periodo, gli anni Settanta, che riesce a rimanere in piedi come senso complessivo, non agganciato a mode o a tic: non datato, come si usava dire un tempo, ma in grado di rinascere su se stesso grazie alla continua capacità di leggere il mondo e lo spirito.

 

testi.marco@libero.it