FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia
Numero 4
ottobre/dicembre 2006

Sacro e profano

ARMANDO ROMERO
Hagion Oros (Il Monte Santo)

di Alessio Brandolini


Nel primo numero di "Fili d'aquilone" avevo parlato della raccolta di racconti La radice delle bestie (Sinopia, 2004), libro di brevissimi e fulminanti storie, del colombiano Armando Romero, nato a Cali nel 1944, ma che da tempo vive a Cincinnati, negli USA, dove insegna all'Università. Nel numero successivo Nicola Licciardello aveva proposto alcuni capitoli dell'intenso romanzo La ruota di Chicago, uscito in Colombia nel 2004, ancora inedito (speriamo per poco) in Italia. Avevo accennato anche alla poesia di Romero, soprattutto alla sua ultima raccolta Hagion Oros (El Monte Santo) di cui avevo letto la versione uscita in Venezuela nel 2002, arricchita da diverse foto e illustrazioni, e ora integralmente pubblicata (con testo a fronte) dalla meritevole Sinopia, nella traduzione limpida e precisa di Alessandro Mastrorigo. Nella versione italiana mancano le immagini presenti nell'originali, che non sono meramente illustrative perché accompagnano la riflessione e l'esplorazione poetica dei monasteri, dando visibilità e concretezza ad alcuni personaggi presenti nella raccolta (v. "Il sudicio", "conciato con l'unto e gli escrementi"), però qui in chiusura troviamo, ed è una bella sorpresa, una lunga "Divagazione" di Claudio Cinti e lo stesso Romero.

Nell'introduzione a Hagion Oros Armando Romero spiega la genesi del libro:


Monte Athos

Sbarcai al Monte Athos un mezzogiorno dell'estate del 1991 in compagnia del mio amico Cristof Westenfelder. Erano anni che nei bar della Lincoln Street, a Chicago, questo stesso amico e caro compagno di viaggio mi aveva narrato dei suoi vagabondaggi per il Monte Athos e della sua visione della Geografia di Tolomeo, nel monastero di Vatopedi.
Tuttavia fu la voce poetica di Álvaro Mutis quella che per prima mi avvisò di Bisanzio e dell'andare greco, nella Cali della mia infanzia, fra i suoi versi e le sue prose. E questa voce sorella si fece presenza anni dopo in Messico, quando Álvaro mi disse, con il sorriso di colui che sa come va il mondo, qualcosa che compresi più tardi: la caduta di Bisanzio nel 1453 è l'unico fatto politico che meriti di essere ricordato.
Passarono gli anni, e Kostantino Lardas, il poeta grecoamericano, mi indicò a Pittsburgh i cammini di Bisanzio con il filo delle sue parole dolci e dei suoi versi forti.

Romero è un viaggiatore instancabile, curioso e attento, ormai di casa in Italia. Sua moglie è greca, quindi è normale che l'estroverso letterato latinoamericano senta una forte attrazione conoscitiva verso una realtà così diversa, così chiusa e appartata come quella del Monte Santo, unica repubblica monastica al mondo e baluardo del cristianesimo orientale, come afferma Armando Santarelli nel suo intervento su questo stesso numero.

Sul Monte Santo si conserva il calendario giuliano, le donne non possono accedervi, i pasti sono più che frugali, non esiste tecnologia: niente auto, né televisione, né internet. Un isolamento totale dove il tempo sembra fermo al Medio Evo, in cui la vita è regolata da severe norme di preghiera, eppure qui il monaco, è felice, anche se separato da tutto, forse perché sente di essere unito a tutto:

    Deve esserci un'altra felicità
    nel gesto che accompagna
    il monaco mentre tamburella sulla trave
    della preghiera.
    Deve esserci anche un'altra tristezza
    per il taciturno che raccoglie
    i piatti nel refettorio.
    Una felicità come aghi di pioggia.
    Una tristezza come stracci al sole.

    (Differenze)

Una felicità mistica, estranea alla vita frenetica dell'occidente, e difficile da comprendere: solo il monaco che si sottrae al mondo riesce a percepirla pienamente, a farla propria. Sembra un paradosso o una palese contraddizione: staccarsi dalla vita per viverla più intensamente; abolire il tempo per darsi un ritmo autentico, più naturale; eliminare le donne (anche la sola vista) per essere più vicini alla Vergine Maria. Si veda qui la lunga e bellissima poesia "Axión Estín", che sembra quasi una preghiera alla Jacopone da Todi:

    Donna una e unica che del sole riflette il creato
    Donna di un volto intero nell'icona
    Donna senza dimensioni
    Donna che riempi tutto lo spazio (...).

Axión Estín è la famosa e venerata icona della Vergine Maria con il Bambino in braccio, che si trova nel monastero di Protaton. Armando Romero nell'introduzione accenna anche a un'altra motivazione che lo spinse a percorrere i sentieri dei venti monasteri del Monte Athos, ed è il legame che nella sua infanzia avevano le parole Monte e Monje (monaco), una specie di ossessione che intrecciava, fino a identificarle, le due parole. In molti racconti l'autore colombiano rivela l'attrazione quasi onirica nei confronti della vita monastica, che va ricollegata al labirinto, alla ricerca o, meglio, all'esplorazione di un ipotetico Centro:

Entrare nel Monte Athos per uscire dal tempo, fare le boccacce alla sua infaticabile tirannia. I giorni e le notti sui sentieri di pietre e mare, nei monasteri o nei piccoli gruppi di case e cappelle, all'ombra di possibili grotte o caverne, furono un andare verso la verità di un'altra parte. Riflesso dell'eterno, anima di Bisanzio, cuore dello spirito greco, centro di paradossi, confluenza del bizzarro e del ribelle, ragione e sragione di esseri esposti alle delizie e alle amarezze del delirio del sacro. Camminare per il Monte Athos è calpestare la storia che si costituisce al tempo stesso in cui svanisce.
E' strano per l'artefice di versi, abituato alle vicissitudini della libertà delle parole, legarsi ai rigori di un tema determinato e determinante. Così mi sono sentito al solo pensiero di cominciare questo lavoro. Ma nella disciplina dell'idea fissa c'è un grano d'oro che vale la pena di dissotterrare.
Devo aggiungere che i miei versi non hanno intenzione laudatoria, che le mie vesti da straniero nel paese dei cenobiti e degli ideoritmici mi tradiscono in ogni momento, e che all'atto di comprendere si sposa quello di ignorare. Tuttavia, lo sguardo e il cammino vogliono raccontare di una verità che gli appartiene, anche se forse non sarà quella tramandata dall'ortodossia dell'aquila dalla doppia testa.

La raccolta, dedicata alla memoria di Konstantino Lardas, si compone di 39 poesie che riferiscono di questo viaggio, che si fa analisi introspettiva delle cose, del mondo, del passato, dell'animo umano. Si alternano testi brevi e asciutti ad altri più lunghi e esplicativi, talvolta salmodianti come preghiere. Hagion Oros è un percorso affascinante dove la poesia di Armando Romero trova un equilibrio perfetto in cui immagini altamente poetiche s'innestano abilmente alla descrizione, al racconto del viandante che umilmente entra nel sacro di questi antichi e stupendi monasteri, nella vita del monaco taciturno (così lontana dalle nostre abitudini, dai nostri pensieri) e sembra afferrarla, almeno nel suo aspetto conoscitivo e nei suo profilo spirituale, con la sua saggia pacatezza:

    Montagna che apre un solco nel cielo
    Montagna che ara venti e asperge nebbia

    Il Monte Santo cala tra rocce ed eremi
    Il Monte Santo scende tra pietre e colline

    Fino agli occhi che gli interra la superficie del mare
    Fino alle mani che indicano luce per incantesimo

    (...)

    Strade che rilasciano silenzio come linfa dagli alberi
    Tracce che spremono dal passato futuri incerti.

    (da Hagion Oros)




DIECI POESIE DI ARMANDO ROMERO
da Hagion Oros1 - Il Monte Santo (Sinopia, 2006)


HAI QUE VOLVER AL TIEMPO

Hay que volver al tiempo lo que es del tiempo
A la mano lo que da la mano
Al árbol la hoja que lo sirve
Hay que sacar el aire detrás del aire
Abrir la luz a las ventanas
Tomar del libro diestra y siniestra
Del espacio el hábito que viste
Más allá es mar adentro
Más acá es mar afuera
Lo que le vine a quitar a Dios
Que detrás del altar me mira
Es ese ojo como centro


C'È DA RENDERE AL TEMPO

C'è da rendere al tempo quello che è del tempo
Alla mano quello che dà la mano
All'albero la foglia che lo serve
C'è da tirar fuori l'aria dietro l'aria
Aprire la luce alle finestre
Prendere dal libro il buono e il cattivo
Dallo spazio l'abito che veste
Al di là è mare aperto
Al di qua è fuori mare
Ciò che venni a togliere a Dio
Che da dietro l'altare mi guarda
È quell'occhio come centro

    ***
POLVO DEL POLVO

No era más que polvo de la roca
Yerba seca del abismo
Color del mar en la noche
Piedra cortada por el derrumbe
Cielo encapotado y arisco
Barro en adobe convertido
Palo seco de sostén al aire
Techo de lajas partidas
Olor de viejas moradas
Herrumbre de cruz a lo alto
Escombro de livianos edificios
Noera más que polvo del polvo
El monje en el malecón
Esperando su caique


POLVERE DELLA POLVERE

Non era nulla più che polvere della polvere
Erba secca dell'abisso
Colore del mare nella notte
Pietra tagliata dal crollo
Cielo coperto e scontroso
Fango in mattone convertito
Palo secco di sostegno dell'aria
Tetto di lastre rotte
Odore di vecchie case
Ruggine di croce in alto
Macerie di leggeri edifici
Non era nulla più che polvere della polvere
Il monaco sul molo
che aspetta il suo kaike
2

    ***
ENTRE KARYES Y PANTOCRÀTORAS

Camino de la tarde que baja al mar por entre las piedras.
Zarza ardiendo done pequeños animales o insectos
        huyen por el ruido.
Qué más pasos que el paso que va al paso de nuestra sombra.
Camino de la tarde que dice a borrarlo todo por las plantas.

Detenerse en la fuente que aligera de agua nuestros labios.
Levantar los ojos y no ver sino el cielo que es cielo por lo cielos.
Tirar el cuerpo sobre el ramaje para volverlo a caminar.
Camino de la tarde que por sagrado va al revés del tiempo.


FRA KARYES E PANTOCATRORAS3

Cammino del pomeriggio che scende al mare fra le pietre.
Rovi che ardono dove piccoli animali o insetti
        fuggono per il rumore.
Quali altri passi se non il passo che va al passo della nostra ombra.
Cammino del pomeriggio che dice di cancellare tutto con le piante.

Soffermarsi sulla fonte che alleggerisce d'acqua le nostre labbra.
Alzare gli occhi e non vedere se non il cielo che è cielo per i cieli.
Gettare il corpo sui rami per farlo tornare a camminare.
Cammino del pomeriggio che per essere sacro va a ritroso del tempo.

    ***
DEVINO MISTERIO

¿Cómo convertir en canto ese silencio
de la tarde fuera del monasterio, frente al mar?

En el pequeño malecón dos pescadores,
vueltos hacia sí, desempacan su cosecha de peces
espejeantes.

¿Detener con las manos las imágenes mudas
que esperan contener nuestros cuerpos?

El viento pega contra el portal inmenso
pero de ello también hay silencio.

¿Vivir este tiempo al otro lado del tiempo?

Un monje pasa y entrebarbas escupe su
risa a los pescadores.

¿Resstregar la memoria hasta donde
no lo quiso el recuerdo?

El mismo monje observa el espacio
que habito y sonríe cortésmente.

¿Dónde está el poema, entonces,
la mirada bacia adentro?


DIVENNE MISTERO

Come trasformare in canto questo silenzio
del pomeriggio fuori dal monastero, di fronte al mare?

Sul porticciolo due pescatori,
rivolti l'uno verso l'altro, scaricano le loro messi di pesci
baluginanti.

Trattenere con le mani le immagini mute
che sperano di contenere i nostri corpi?

Il vento picchia contro il portale immenso
ma anche di ciò è silenzio.

Vivere questo tempo all'altro lato del tempo?

Un monaco passa e fra la barba sputa la sua
risata ai pescatori.

Stropicciare la memoria fin dove
il ricordo non volle?

Lo stesso monaco osserva lo spazio
che abito e sorride cortesemente.

Dov'è la poesia, allora,
lo sguardo verso dentro?

    ***
EL ÁGUILA DE DOBLE CABEZA

El àguila de doble cabeza
Vuela de un extremo al otro
         de la penísula:
En uno de sus picos lleva la rama dulce
         de la victoria,
En el otro lo limones amargos
         de la derrota.
El águila de doble cabeza está detenida ahora
         en los aires del Monte Santo,
Clavada a un tiempo que no espera.


L'AQUILA DALLA DOPPIA TESTA4

L'aquila dalla doppia testa
Vola da un estremo all'altro
         della penisola:
In uno dei suoi becchi porta il ramo dolce
         della vittoria,
Nell'altro i limoni amari
         della sconfitta.
L'aquila dalla doppia testa è immobile ora
         nei venti del Monte Santo,
inchiodata a un tempo che non aspetta.

    ***
EL ESPÍRITU SANTO

Dicen que el Espíritu Santo no surge de la
         conjunción del Padre y el Hijo.
Dicen que esta llama sagrada, zarpazo de ave
         al fondo de los misterios,
Tercer rostro de la luna que refleja del espacio
         lo eterno,
Viene a nosotros cayendo de la mano abierta
         del Padre.
Dicen que debemos poner granos de arena en la
         clepsidra de la fe,
Zambuirnos entre los peces del bautismo,
Renacernos en el pan y el vino de la eucaristía.
Mientras ellos, anacoretas de largas barbas,
         buscan como huir del tiempo en la montaña abajo
         de sus celdas,
Retorcerle el pescuezo el la noches que prolongan
         a siglos.
De cabeza contra natura esquivan la creación,
Sus semillas no exploran la vastedad de lo porvenir,
Para que así el Epíritu Santo los ayude a desobedecer
         el dogma de su origen y crear lo increado,
Lo increable como increíble,
Afirmando la vida sin gastarse en la muerte.


LO SPIRITO SANTO

Dicono che lo Spirito Santo non nasce dalla
         congiunzione del Padre e del Figlio.
Dicono che questa fiamma sacra, zampata d'uccello
         al fondo dei misteri,
Terzo volto della luna che riflette dello spazio
         l'eterno,
Viene a noi scendendo dalla mano aperta
         del Padre.
Dicono che dobbiamo mettere grani di sabbia
         nella clessidra della fede,
Tuffarci fra i pesci del battesimo,
Rinascere nel pane e nel vino dell'eucaristia.
Mentre loro, anacoreti dalle lunghe barbe,
         cercano come fuggire dal tempo nella montagna sotto
         le loro celle,
Torcergli il collo nelle notti che prolungano
         fino a secoli.
A capofitto contro natura schivano la creazione,
Le loro sementi non esplorano la vastità di ciò che verrà,
Affinché così lo Spirito Santo li aiuti a disubbidire
         al dogma della loro origine e a creare l'increato,
L'increabile come incredibile,
Affermando la vita senza consumarsi nella morte.

    ***
HISTORIAS

San Cristóbal, reverenciado en Dionysiou, nació
         con cabeza de perro.
Pero al convertirse a la fe de Dios adquirió tal belleza
         que convirtió a su vez a todas las cortesanas propuestas
         a sudusirlo.
En Docheiariou un monje perdió sus ojos como castigo divino
         por dejar empañar de humo la imagen de la Virgen.
Allí mismo, una gran piedra de mármol narra la historia
         del abad Basilio, quien de joven descubrió un tesoro.
Tres monjes, para robarlo, lo lanzaron al agua atado
         a la piedra, sólo para verlo reaparecer en medio
         de la iglesia con este mármol en las manos.
En Xenophontos un monjen non dice de cómo al sumergir
         la gran cruz divina del monasterio en el mosto, lograron
         que fermentara luego de haber intentado lo imposible.
En el Monte Athos, donde lo divino juguetea con lo fantástico,
         las historia saltan como peces vivos en la cesta.



San Cristoforo Cinocefano

STORIE

San Cristoforo, ossequiato a Dionysiou, nacque
         con testa di cane.
Ma convertendosi alla fede di Dio acquistò una tale bellezza
         che a sua volta convertì tutte le cortigiane intente
         a sedurlo.
A Docheiariou un monaco perse i suoi occhi come castigo divino
         per aver lasciato che si macchiasse di fumo l'immagine
         della Vergine.
Proprio lì, una grande pietra di marmo narra la storia
         dell'abate Basilio, il quale da giovane scoprì un tesoro.
Tre monaci, per rubarlo, lo gettarono in acqua legato
         alla pietra, solo per vederlo riapparire in mezzo
         alla chiesa con questo pezzo di marmo in mano.
A Xenophontos un monaco ci dice di come, immergendo
         la gran croce divina del monastero nel mostro, hanno
         ottenuto che fermentasse dopo aver tentato l'impossibile.
Al Monte Athos, dove il divino giocherella con il fantastico,
         le storie saltano come pesci vivi nella cesta.

    ***
LOS MONASTERIOS

Trepados en la montaña,
desafiando el abismo,
los monasterios imponen su soberbia
arquitectura contra el cielo.
Llaman a Dios a gritos entre las rocas.



Monastero Dochiariou

I MONASTERI

Arrampicati sulla montagna,
sfidano l'abisso,
i monasteri impongono la loro superba
architettura contro il cielo.
Chiamano Dio gridando fra le rocce.

    ***
FUERA DE TODO

Debo sembrar palabras como piedras
en el camino de ese monje que se descrubrió un día
fuera de todo.
Si la mesa estaba servida faltaba su asiento,
si tendía la cama era para dormir en el suelo,
si abría la boca se le venía el silencio.
Estar fuera de todo como destino de cada momento.
Debe haber un día que al caer al agua
se descrubrió entre rocas sediento.
Deben haber puertas que se abren hacia adentro.
Estar fuera de todo como forma de estar en algo.
Nadie le creía ese cuento.


FUORI DA TUTTO

Devo seminare parole come pietre
sul cammino di questo monaco che un giorno si scoprì
fuori da tutto.
Se la tavola era imbandita mancava il suo posto,
se rifaceva il letto era per dormire sul pavimento,
se apriva la bocca gli usciva il silenzio.
Essere fuori da tutto come destino di ogni momento.
Deve esserci stato un giorno in cui al cadere in acqua
si scoprì assetato fra le rocce.
Devono esserci porte che si aprono verso dentro.
Essere fuori da tutto come modo di essere in qualcosa.
Nessuno credeva a quel racconto.

    ***
NON ES LA CARNE

No es la carne, pecadora, vana,
sino los huesos, purificadores,
lo que divinizan estos monjes raudos
al canto y la oración.
Huesos duros desperdigados por
un tiempo de lado al tiempo.
Calaveras amortajadas que ríen
al sinsentido de lo porvenir,
a lo ido sin noticia ni proclama.
San Atanasio, reclinado en el ábside,
nos recuerda una eternidad
de polvo detenido.
Quijadas, dedos, tibias de santos
a sacerdotes, de eremitas a rayos
de luz alucinada en las cuevas.
Huesos a montón,
lanzados al abismo de lo que no tiene
pregunta ni respuesta.
Así, el colmillo de San Cristóbal
nos advierte que el silencio
roe las paredes,
que un ave al cruzar la cúpula
es lo que de nosotros resta.


NON É LA CARNE

Non è la carne, peccatrice, vana,
ma le ossa, purificatrici,
ciò che rende divini questi monaci pronti
al canto e alla preghiera.
Ossa dure disseminate in
un tempo di fianco al tempo.
Teschi avvolti in sudari che ridono
al non senso di ciò che verrà,
a ciò che se n'è andato senza notizia né proclama.
San Atanasio, chino sull'abside,
ci ricorda una eternità
di polvere immobile.
Ganasce, dita, tibie di santi
di sacerdoti, di eremiti di raggi
di luce allucinata nelle grotte.
Ossa a mucchi,
scagliate nell'abisso di ciò che non possiede
né domanda né risposta.
Così, il canino di San Cristoforo
ci avverte che il silenzio
corrode le pareti,
che un uccello che sfreccia per la cupola
è ciò che di noi rimane.


1 La Repubblica di Monte Athos (in greco moderno Ághion Óros) pur appartenendo formalmente al territorio dello stato greco, che vi mantiene una sorta di governatore, è in realtà una entità teocratica indipendente tanto che per entrarvi è necessario uno speciale permesso (il Dhiamonitirion), nonostante la Grecia faccia parte dell'Unione Europea e abbia abolito i controlli doganali.
La penisola di Athos è situata all'estremità orientale delle tre dita della penisola Calcidica a nord dela Grecia. Misura circa quarantacinque chilometri in lunghezza e tra i quattro e i dieci in larghezza. Una catena montuosa la percorre da punta a punta, e alla sua testa si leva il Monte Athos (2300). Questa penisola è la sede della repubblica monastica del Monte Santo (Hagion Oros). Tra i secoli VI e VII d.C. questa desolata regione si trasformò in un rifugio di eremiti, anacoreti e asceti come il famoso Pietro l'Atoníta. L'era di sviluppo delle fondazioni monastiche iniziò nel X secolo. Nell'anno 963, San Atanasio L'Atoníta, con l'appoggio dell'imperatore Nicefero II Focas, fondò il primo e più rinomato dei monasteri, il Gran Lavra (Moni Megístis Lavras), sulla punta sudorientale di Athos. In seguito all'istituzione del monastero di Studium a Costantinopoli, Atanasio scrisse le prime regole monastichedi Athos (il Typicon o "Esemplare"), che furono ufficialmente riconosciute nell'anno 972 dall'imperatore Giovanni I Zimisce come Costituzione della repubblica monastica autonoma. La regola sancì le forme di vita comunitaria e l'utogoverno dei monaci, e impose i voti di astinenza (dallo sposarsi e dal mangiare carne), obbedienza e povertà. Nel 1045 si proibì a qualunque creatura di sesso femminile (compresi gli animali come le galline) di rimanere ad Athos. Tale regola vige angora oggi. Nel 1060 la repubblica monastica, che era cresciuta considerevolmente, fu confermata come indipendente dal Patriarca di Costantinopoli. Nel XII secolo si costruirono altri monasteri sotto l'impulso della dinastia dei Paleologo. Sotto la dominazione turca, dopo la caduta di Costantinopoli nel 1453, e durante la Guerra d'Indipendenza nel 1821, il Monte Santo fu il bastione della Chiesa Ortodossa Greca e del nazionalismo greco. Durante quegli anni si edificarono molti piccoli insediamenti chiamati Sketes (dimore di asceti), Kellia (dimore in forma di celle sulla roccia), Kalyves (capanne) , ecc., che si sostenevano grazie alla presenza dei grandi monasteri. Con l'andare del tempo anche i monasteri dell'est e molti dell'ovest abbandonarono le regole strette del Typikon, le cenobitiche - che enfatizzavano la ferrea disciplina della vita comunitaria e la non proprietà di beni materiali - per adottare una più flessibile forma di disciplina individuale chiamata ideoritmica. La regola ideoritmica non permette soltanto una maggiore libertà e la possibilità di possedere terre e beni, ma anche di mangiare carne, eccetto durante la Settimana santa. Tra il 1920 e il 1926 lo Stato greco riconobbe la Repubblica Teocratica di Athos. La Grecia, tuttavia, mantiene un governatore e una stazione di polizia a Karyes, la capitale. Per il loro governo, i venti monasteri si suddividono in cinque tetradi (gruppi di quattro) sotto il principato dei cinque monasteri maggiori: Lavra, Vatopedi, Ivirón, Chilandar e Dionysiou. Attualmente nella Repubblica di Monte Athos vivono circa 1500 monaci. L'aquila dalla doppia testa, simbolo una volta dell'impero bizantino, lo è tutt'ora del Monte Santo (cfr. F. N. Mehling, Greece, New Jersey, 1985).
2 Kaike: piccola imbarcazione a motore molto usata in tutta la Grecia. Si utilizza principalmente per la pesca, ma serve anche come mezzo di trasporto.
3 Ad Athos non esiste un normale servizio di trasporti, eccetto un autobus che collega Karyes con Daphni, il piccolo porto dove si imbarcano e sbarcano i monaci e i pellegrini. È anche possibile viaggiare da un monastero all'altro su piccole imbarcazioni a motore, Kaike. La camminata fra Karyes e Pantocratoras, uno dei primi monasteri che visitai in compagnia del mio amico Cristof Wertenfelder, durò poco più di tre ore sotto il duro sole dell'estate. Il monastero di Pantocratoras fu fondato dai fratelli Alexis e Ioannis Stratigopulos intorno all'anno 1270.
4 L'aquila dalla doppia testa è il simbolo dell'impero bizantino e del Monte Athos.


(I testi sono tratti da: Armando Romero, Hagion Oros, a cura di Alessandro Mistrorigo, Sinopia, Venezia 2006, pp. 140, s.i.p.).



Da L'ILLUSIONE DEL CENTRO
Divagazione di Claudio Cinti e Armando Romero

(...)

C.C.  Allora l' "essere dentro" diventa il "tutto", anche se labirintico, plurale, e può accogliere la domanda che conclude una poesia come "Incredulo": "Cosa possiamo dire / che siamo altri monaci fra i monaci!"... Deve esserci anche un'altra tristezza...", e perfino la certezza derivante dall'ammirazione dei "Pallidi monaci superbi" che "a due mani fermano il tempo" e "Svelano un altro volto alla disfatta" (in "Pallidi monaci"). O mi sbaglio?

A.R.  No, non ti sbagli affatto, ma è necessario ricapitolare quanto abbiamo detto. Dalle tue parole risulta chiaro il fatto che nella geografia dell'immaginazione, dove tempo e spazio si coniugano a loro piacimento, la via che conduce da un luogo all'altro. Caribe verso Mediterraneo - corrisponde in termini spaziali alla relazione temporale che si instaura tra i nostri giorni e il Medioevo. Perché in me l'incontro con il Monte Athos, l'essere laggiù, non è stato un arrivare, ma un tornare. Tu lo vedi chiaramente, il Centro è speculare, ellittico. In questo processo vitale, letterario vi è allora il (ri)conoscimento di una realtà statica, ma in costante movimento. Mi spiego: non vi è niente di più statico di questo mondo del Monte Athos, in cui la missione dei monaci è fermare il tempo con la preghiera, dato che il monte Athos non è nato per il divenire. Di contro, quel mio mondo dell'America Latina - e così lo hanno visto i nostri filosofi - è qualcosa in ebollizione, che si muove celermente nel tempo dell'attesa e confidando nell'illusione dell'avvenire.

C.C.  Eppure, questo statico mondo del Monte Athos accoglie anche l'archetipo del movimento: "Lettere che inseguono lettere che scrivono lettere, / Immagini che sono immagine di ciò che è immagine...". Intendo dire che non vi è nulla di statico nella tua visione dei "Manoscritti di Xeropotamou". In questa meravigliosa poesia, credo di riconoscere qualcosa di quella "natura duale dell'espressione americana" che occupa il tuo saggio sulla "Visione del doppio" in Gente de pluma. Mi sa che, prima di mollarlo, dovremo provare ad acchiappare in qualche modo quello scivoloso pesciolino che ci sfugge dalle mani... Anche solo per un istante. E che ci conficchi pura una spina. Che cos'è, allora, nel tuo sentimento estetico, il mondo dell'America Latina? Non bisogna dimenticare che un'altra, essenziale figura connessa con il Centro è il Labirinto.

A.R.  Per me, l'idea del Labirinto è associata con il sacro, e il sacro con l'idea del Centro, e il Centro con l'idea del gioco, poiché per poter "giocare" con esso - ammesso che sia possibile date le nostre limitazioni - bisogna intraprendere un cammino che si muove lungo direttrici doppie, che si biforcano costantemente. Nel suo essere barocco, Borges fu molto vicino a tutto ciò. E quel che io immagino circa l'America Latina come realtà si colloca in questa disgiuntiva, immerso nelle molteplici risposte alla domanda che ricerca una definizione. Da lì potremmo tracciare la linea che tocca le frontiere del Monte Athos. L'idea della perversità, nel senso della trasgressione, che plasma la vita di quei monaci fuori dal tempo, si sposa con il non-razionale che ferve alle fonti che alimentano l'essenza latinoamericana.

C.C.  "Essere fuori da tutto come modo di essere in qualcosa" (in "Fuori da tutto"). Questa mi pare davvero una suggestiva immagine del "destino" latinoamericano, benché si riferisca a un monaco della sua Montagna. E quest'altra: "Deve esserci stato un giorno in cui al cadere in acqua / si scoprì assetato fra le rocce"...

A.R.  Forse, dovremmo ricorrere a quella scienza delle eccezioni di cui ci parla Jarry: per poter comprendere senza analizzare, o meglio, per sentire con il pensiero. Questo gioco di paradossi è anch'esso immagine del fatto stesso della poesia; della poesia che vede, nel suo essere, l'istante trattenuto da un torrente di parole in movimento.

C.C.  Questo mi pare un punto nodale.

A.R.  È che le due realtà si compongono in un mare di contraddizioni, in cui però la contraddizione non è il negativo che paralizza, ma la combustione che stimola.

C.C.  Puoi precisare questa nozione del "sentire con il pensiero"?

A.R.  Tra le molte, interessanti riflessioni contenute in un delizioso e inquietante libro di Paul Valery, L'idée fixe, ve ne sono due che mi sembrano essenziali, e cioè che nessuna idea può essere fissa e che il dolore può essere produttivo di pensiero. Io divergo in parte da questo modo di pensare razionale e lucido di Valery, perché l'idea del sacro è al di là della ragione, e ci può condurre a quel quietismo splendente e liberatore che è la risata di Buddha di fronte a un fiore, così come al fanatismo pericoloso dei fondamentalisti. Allora, non si tratta di ciò che il pensiero ci porta a sentire, ma di come possiamo fare del pensiero un altro senso, un modo sensibile per captare la realtà che non implichi analisi e deduzione, bensì un salto metaforico, talché la meraviglia e l'umorismo siano le corde che ci permettono di passare all'altro lato. E questa approssimazione alla realtà attraverso la sensibilità del pensiero impedisce che, nel visitare il Centro, restiamo stritolati dalle spire dell'idea fissa, dove si trova l'altra faccia del sacro, la faccia oscura.

(...)


(da: Armando Romero, Hagion Oros, a cura di Alessandro Mistrorigo, Sinopia, Venezia 2006, pp. 140, s.i.p.).




Opere di Armando Romero

Romanzi:
La Rueda de Chicago (2004)
La piel por la piel (1995)
Un día entre las cruces (1993)

Raccolte di racconti:
La raíz de las bestias (2002) - traduzione italiana: La radice delle bestie, Sinopia, 2004)
Lenguas de juego (1998)
La equina del movimiento (1992)
La casa de los vespertilios (1983)
El demonio y su mano (1975)

Saggi:
Gente de Pluma (1989)
El nadaísmo o la búsqueda de una vanguardia perdida (1988)
Las palabras están en situación (1985)

Raccolte di poesia:
Hagion Horos-El Monte Santo (2001) - traduzione italiana: Hagion Oros (Il Monte Santo), Sinopia, 2006
Cuatro líneas (2000)
A rinda suelta (1991)
Las combinaciones debidas (1989)
El poeta de vidrio (1984)
Los móviles del sueño (1976)

 

alexbrando@libero.it