FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia
Numero 4
ottobre/dicembre 2006

Sacro e profano

ANA BLANDIANA
Un tempo gli alberi avevano occhi

di Alessio Brandolini


"La poesia č ciņ che mi ha dato, come un sesto senso, la sensazione della presenza dell'altro nel mondo circostante. L'altro mi guarda dalle pietre, dalle piante, dagli animali, dalle nuvole, un altro che solo nei momenti di grande stanchezza si chiama nessuno".

Č una frase di Ana Blandiana (vero nome Otilia Valeria Coman, e Blandiana č il villaggio da dove provenivano i genitori) che molto ci dice sull'essenza della sua poesia, e che si puņ leggere, assieme ad altre acute riflessioni, nel saggio di chiusura ("La poesia, tra silenzio e peccato") alla folta antologia poetica Un tempo gli alberi avevano occhi (2004, Donzelli) curata in modo eccellente da Biancamaria Frabotta e Bruno Mazzoni. Un libro utile e convincente per far conoscere in modo approfondito la poetessa romena (nata a Timisoara, sul confine ungherese, nel 1942) pił nota al mondo, una delle voce pił limpide della fertile poesia contemporanea della Romania, per decenni impegnata contro Ceausescu e per questo censurata e spiata, fino al crollo del regime avvenuto nel dicembre del 1989.

L'esordio in versi della Blandina risale al 1964, con "Prima persona plurale". Un tempo gli alberi avevano occhi prende avvio con una selezione di testi della seconda raccolta "Il tallone vulnerabile" (1966), per poi proseguire con i lavori pił significativi: "Il terzo sacramento" (1969), "Ottobre, Novembre, Dicembre" (1972), "Il sonno nel sonno" (1977), "L'occhio del grillo" (1981), "Stella da preda" (1985), "L'architettura delle onde (1990) per arrivare, infine, a "L'ultimo sole" (2000).
Ana Blandiana ha pubblicato anche numerosi libri di saggi, alcune raccolte di racconti e di versi per l'infanzia.
Qui non si trovano i famosi testi politici, quelli contro la repressione e la dittatura, probabilmente per non affollare troppo l'antologia e far risaltare in modo netto gli aspetti lirici. Perņ non mancano riferimenti alla situazione politica romena e alla vita dell'autrice, spiata e reclusa in casa, soprattutto nei testi della raccolta "L'architettura delle onde".

Quella della Blandiana č una poesia che si sviluppa nel tempo in modo costante eppure senza fretta, quasi con un certo aristocratico distacco, perché, come scrive l'autrice nel saggio citato, "sono un poeta, non posso permettermi di diventare un autore di versi". Un paradosso che rivela il carattere appartato e tendenzialmente malinconico di questa poesia che sa ascoltare le voci della natura e poi riportarle nei versi con una voce pulita, semplice ed essenziale ("Verso una poesia povera" s'intitola l'intervento della Frabotta, messo in chiusura). Il tempo circolare e un linguaggio scabro e fitto di ripetizioni lessicali danno alla poesia della Blandiana un'aurea di sacralitą, di mistero (v. la presenza degli angeli). Per questo i testi qui raccolti (sono pił di sessanta) entrano lenti e come a piedi nudi, cosģ da evitare rumori molesti, nella testa del lettore per fargli apprezzare il silenzio ("la capacitą di tacere"), e innescare, a fine lettura, la voglia di ricominciare dall'inizio, ovvero di rileggerli ancora, di trarne altro calore (se hai freddo, copriti / con le vesti striminzite di questi versi).

Poesia che non si sforza di stupire o incantare, non c'č l'ansia di mostrare bravura, abilitą tecnica, originalitą nella forma, o un pensiero sconcertante o totalmente nuovo. Qui l'idea di poesia č la percezione del reale (della morte e della vita) che nasce dalla profonda e pacata riflessione, da un chiarore sottile che mette in risalto le ombre, i particolari, le venature della corteccia degli alberi, i colori delle cose, della luce e "gli altri", ovvero di chi ci sta accanto o, per contrasto, la solitudine pił nera (La solitudine č una cittą / dove gli altri sono morti). La poesia fa parte della letteratura, certo, ma allo stesso tempo č (o agisce) come se ne fosse al di fuori, o del tutto estranea, come amava dire anche Umberto Saba. "Mentre la materia prima da cui viene ritagliata la letteratura", scrive la Blandiana, "č la parola, il mistero della poesia č costituito da silenzi che le parole si limitano a circoscrivere e valorizzare". Per questo i grandi poeti, nella sostanza, si assomigliano tutti.

Probabilmente la prima parte del libro č meno profonda nella riflessione eppure quella pił intensa, pił suadente: cammino dentro di me / come in una cittą straniera / dove non conosco nessuno. Oppure si veda la poesia "L'occhio chiuso", che qui sotto riporto per intero:

    Nemmeno un istante oso chiudere gli occhi
    per paura
    di stritolarlo tra le palpebre il mondo,
    di sentirlo ridursi in frantumi
    come una nocciola fra i denti.
    Quanto tempo potrņ tenerlo in vita?
    Guardo angosciata
    e soffro come un cane
    per l'universo che non ha riparo
    e morirą nel mio occhio chiuso.

Non č facile tenere assieme i tanti (troppi) pensieri e le riflessioni d'un libro cosģ composito che attraversa oltre trent'anni di poesia e ben otto raccolte poetiche. Nel tempo cambiano i toni, che si fanno pił nostalgici e riflessivi, o dolorosi. Si acumina lo sguardo, la poesia si evolve, diventa pił complessa e si accentua la compostezza (che si fa scioltezza) metrica. Oppure si torna ai temi originali, quelli contenuti nelle prime raccolte, ma con un taglio pił asciutto, pił teso, talvolta oracolare. Ma occorre dire che la poesia della Blandiana č molto fedele a se stessa: nel tempo lo stile non cambia molto, e questo suscita nel lettore un senso di staticitą, anche se nella prima parte l'io č pił spesso maschile che femminile. Staticitą che rientra nella visione poetica della Blandiana che scruta e scava nello stesso paesaggio.

La bellezza di questo mondo poetico, non vasto ma articolato e come disegnato in rilievo, va cercata nei gesti, nel distacco improvviso, e - soprattutto - nello sguardo che coglie e non strappa, nella riflessione raffinata ma non oscura, che va sotto, sonda nel baratro, nella terra in cerca delle radici pił tenaci o segrete, delle ombre delle nuvole che inviano messaggi incomprensibili e mai trascura il filo d'erba ingiallito o calpestato, il cuore d'una noce, e gli occhi degli alberi. Una poesia che sa vedere (e scortecciare) la superficie, il silenzio, ma senza perdersi in astrazioni o smarrirsi nel profondo o che il profondo cerca (e trova) nella superficie, nel visibile.

La traduzione di Biancamaria Frabotta e Bruno Mazzoni č accurata e c'č come una morbidezza nel verso che rallenta la lettura, ferma la fretta di chi legge, lo fa sostare su ogni singola parola e con garbo gli permette di cogliere la bellezza, e la soffice luce affollata d'occhi e di mani, della poesia di Ana Blandiana.


Ana Blandiana, Un tempo gli alberi avevano occhi, Donzelli, Roma 2004, pp. 189, € 12,00




10 POESIE DI ANA BLANDIANA


ŞTIU PURITATEA

Ştiu, puritatea nu rodeşte,
Fecioarele nu nasc copii,
E marea lege-a maculării
Tributul pentru a trăi.

Albaştri fluturi cresce omizi,
Cresc fructe florilor īn jur,
Zăpada-i albă neatinansă,
Pămāintul cald este impur.

Neprinhănit eterul doarme,
Văzduhul viu e de microbi,
Poţi dacă vrei să nu te naşti,
Dar dacă eşti te şi īngropi.

E fericit cuvāntu-n gānd,
Rostit, urechea īl defăimă,
Spre care o să mă aplec
Din Talgere - vis mut sau faimă?

Īntre tăcere şi păcat
Ce-o să aleg - cirezi sau lotuşi?
O, drama de-a muri de alb
Sau moartea de-a īnvinge totuşi...


LO SO LA PUREZZA

Lo so, la purezza non frutta,
dalle vergini non nascono figli,
č la suprema legge dell'impuro
la tassa sulla vita.

Azzurre farfalle generano bruchi,
generano frutti i fiori tutt'intorno,
la neve bianca č casata,
la terra calda č infetta.

Incontaminato l'etere dorme,
l'atmosfera brulica di microbi,
puoi non nascere se non vuoi,
ma se esisti ti aspetta la tomba.

Č felice la parola nella mente,
pronunciata, l'orecchio la diffama,
su quale piatto della bilancia
pesare - sogno muto o fama?

Tra silenzio e colpa
cosa scegliere - mandrie o loti?
Oh, il dramma di morire in bianco
o la morte di vincere comunque...

(da Il tallone vulnerabile, 1966)

    ***
AR TREBUI

Ar trebui să ne naştem bătrāni,
Să venim īnţelepţi,
Să fim īn stare de-a hotări soarta noastră īn lume,
Să ştim din răscrucea primară ce drumuri pornesc
Şi iresponsabil să fie doar dorul de-a merge.
Apoi să ne facem mai tineri, mai tineri, mergānd,
Maturi şi puternici s-ajungem la poarta creaţiei,
Să trecem de ea şi-n iubire intrānd adolescenţi,
Să fim copii la naşterea fiilor noştri.
Oricum ei ar fi atunci mai bătrāni decāt noi,
Ne-ar īnvăţa să vorbim, ne-ar legăna să dormim,
Noi am dispărea tot mai mult, devenind tot mai mici,
Cāt bobul de strugure, cāt bobul de mazăre, cāt bobul de grāu...


DOVREMMO

Dovremmo nascere vecchi,
gią dotati d'intelletto,
capaci di scegliere la nostra sorte in terra,
quali sentieri si avviano dal crocevia d'origine
e irresponsabile sia solo il desiderio di andare avanti.
Poi, andando, ringiovanire, ringiovanire sempre pił,
maturi e forti arrivare alla porta della creazione,
varcarla e nell'amore entrando adolescenti,
essere ragazzi alla nascita dei nostri figli.
Sarebbero pił vecchi di noi comunque,
ci insegnerebbero a parlare, per addormentarci ci cullerebbero,
e noi scompariremmo sempre pił, divenendo sempre pił piccoli,
come un chicco d'uva, come un pisello, come un chicco di grano...

(da Il tallone vulnerabile, 1966)

    ***
LEGĂTURI

Totul este eu īnsămi.
Daţi-mi o frunză care să nu-mi semene,
Ajutaţi-mă să găsesc un animal
Care să nu geamă cu glasul meu.
Pe unde calc pămāntul se despică
Şi morţii care poartă chipul meu
Īi văd īmbrăţişaţi şi procreānd alţi morţi
De ce atātea legături cu lumea,
Părinţi atāţia şi urmaşi siliţi
Şi toată-această nebunească-asemănare?
Mă hăituieşte universul cu mii de feţe ale mele
Şi nu pot să mă apăr decāt lovind īn mine.


LEGAMI

Tutto č me stessa.
Datemi una foglia che non mi assomigli,
aiutatemi a trovare un animale
che non gema con la mia voce.
Lą dove la calpesto la terra si spacca
e morti che hanno il mio sembiante
li vedo abbracciati a procreare altri morti.
Perché tanti legami con il mondo,
tanti progenitori e coatta discendenza
e tutto questo insensato somigliarsi?
M'incalza l'universo con i mie mille volti
e non posso difendermi se non contro me infierendo.

(da Il terzo sacramento, 1969)

    ***
BĂTRĀNI, SIHAŞTRII

Īmbătrāniţi sihaştrii īn păduri,
Blana de lup li s-a lipit de trup,
Părul le ţese ochii,
Le astupă urechile
Şi-n bărbile-ncālcite albinele-şi fac stup.
Ei nu-şi aduc aminte de ce-au venit aici
Şi nu mai ştiu de mult cuvāntul
Pe care trebuiau să-l strige lumii.
Din cānd īn cānd, īn chip de vultur,
Li se trimite semn de voia cerească,
Dar bătrānii se joacă īmpletind īn penele păsării flori
Şi Dumnezeu māniat nu īnţelege
Că ei au uitat să urască.


VECCHI, GLI EREMITI

Agli eremiti invecchiati nei boschi,
la pelle di lupo si č appiccicata al corpo,
la chioma cuce gli occhi,
tappa le loro orecchie
e nelle barbe incolte ci fanno l'arnia le api.
Non si ricordano perché sono venuti qui
e da tempo hanno smarrito la parola
che dovevano gridare al mondo.
Di tanto in tanto, in forma d'aquila
ridiscende un segno della volontą celeste,
ma i vecchi giocano a mettere fiori fra le piume dell'uccello
e adirato il Signore non comprende
che hanno dimenticato cos'č l'odio.

(da Il terzo sacramento, 1969)

    ***
DESPRE ŢARA DIN CARE VENIM

Hai să vorbim
Despre ţara din care venim.
Eu vin din vară,
E o patrie fragilă
Pe care orice frunză,
Căzānd, o poate stinge,
Dar cerul e atāt de greu de stele
C-atārnă uneori pān' la pămānt
Şi dacă te apropii-auzi cum iarba
Gādilă stelele rāzānd,
Şi florile-s atāt de multe
Că te dor
Orbitele uscate ca de soare,
Şi sori rotunzi atārnă
Din fiecare pom;
De unde vin eu
Nu lipseşte decāt moartea,
E-atāta fericire
C-aproape că ţi-e somn.


DELLA TERRA DA CUI VENIAMO

Su parliamo
della terra da cui veniamo.
Io vengo dall'estate,
č una patria fragile
che qualunque foglia,
cadendo, puņ annientare,
ma il cielo č cosģ greve di stelle
che talvolta pesa fino a terra
e se ti avvicini senti l'erba
solleticare le stelle ridenti,
e i fiori sono cosģ tanti
che ti dolgono
le orbite bruciate dal sole,
e soli rotondi pendono
da ogni albero;
da dove vengo io
non manca che la morte,
e tanta č la felicitą
che quasi ti addormenti.

(da Ottobre, Novembre, Dicembre, 1972)

    ***
CĀNDEVA ARBORII AVEAU OCHI

Cāndva arborii aveau ochi,
Pot să jur,
Ştiu sigur
Că vedeam cānd eram arbore,
Īmi amintesc că mă mirau
Ciudatele aripi ale păsărilor
Care-mi treceau pe dinainte,
Dar dacă păsările bănuiau
Ochii mei,
Asta nu īmi mai aduc aminte.
Caut zadarnic ochii arborilor acum.
Poate nu-i văd
Pentru că arbore nu mai sunt,
Sau poate-au coborāt pe rădăcini
Īn pămānt,
Sau poate,
Cine ştie,
Mi s-a părut numai mie
Şi arborii sunt orbi dintru-nceput...
Dar atunci de ce
Cānd trec de ei aproape
Simt cum
Mă urmăresc cu privirile,
Īntr-un fel cunoscut,
De ce, cānd foşnesc şi clipesc
Din miile lor de pleoape,
Īmi vine să strig -
Ce-aţi văzut?...


UN TEMPO GLI ALBERI AVEVANO OCCHI

Un tempo gli alberi avevano occhi,
posso giurarlo,
so di certo
che vedevo quando ero albero,
ricordo che mi stupivano
le strane ali degli uccelli
hemi sfrecciavano davanti,
ma se gli uccelli sospettassero
i miei occhi,
questo non lo ricordo pił.
Invano ora cerco gli occhi degli alberi.
Forse non li vedo
perché albero non sono pił,
o forse sono scivolati lungo le radici
nella terra,
o forse,
chissą,
solo a me m'era parso
e gli alberi sono ciechi da sempre...
Ma allora perché
quando mi avvicino
sento che
mi seguono con gli sguardi,
in un modo che conosco,
perché, quando stormiscono e occhieggiano
con le loro mille palpebre,
ho voglia di gridare -
Cosa avete visto?...

(da Ottobre, Novembre, Dicembre, 1972)

    ***
SUNT CA UN OCHI DE CAL

Sunt ca un ochi de cal
Acoperit spre lume.
Să nu mă-ntrebi
Cānd o să-ajung la tine,
Ce arbori şi ce flori
Am īntālnit.
Eu văd numai drumul
Şi din cānd īn cānd
Umbrele norilor,
Transmiţāndu-mi mesaje
Pe care nu le īnţeleg.


SONO COME UN OCCHIO DI CAVALLO

Sono come un occhio di cavallo
riparato dal mondo.
Non chiedermi
quando sarņ da te
quali alberi e quali fiori
ho incontrato.
Io vedo soltanto il sentiero
e di tanto in tanto
le ombre delle nuvole
inviarmi messaggi
che non capisco.

(da Ottobre, Novembre, Dicembre, 1972)

    ***
ĪN SATUL ĪN CARE MĂ-NTORC

Īn satul īn care mă-ntorc
Ceasuri cu cuc sfarmă vremea
Şi mari bucăţi de tăcere
Zac sparte īn praful din drum.
Rcele se īnvārt cu hărnicie,
Arătānd mereu ceva de neprivit.
Orele au căzut de mult,
Rcele aleargă fără sfārşit
Şi dezorientat, cānd şi cānd,
Cucul apare şi-anunţă
Sfārşitul lumii, cāntānd.


NEL VILLAGGIO IN CUI RITORNO

Nel villaggio in cui ritorno
orologi a cucł sbriciolano il tempo
e grandi pezzi di silenzio
giacciono sparsi nella polvere del sentiero.
Le lancette si muovono sollecite,
insistendo a indicare qualcosa d'inguardabile.
Le ore sono cadute da tanto,
le lancette s'inseguono senza tregua
e disorientano, di quando in quando,
il cuculo appare e annuncia
la fine del mondo, cantando.

(da Il sonno nel sonno, 1977)

    ***
EPITAF

Aici să dormi,
Īn miros de hārtie
Scrisă cu greu
Şi-abia pe īnţeles,
Prea firav zeu din templul
Numit copilărie -
Jertfe īntregi
Şi sferturi de eres.

Aici să dormi,
Īnmormāntat īn rime
Pe care nu mai poţi
Să le auzi,
Sfānt fără voie
Şi īn īntregime
Printre episcopi laşi
Şi īngeri cruzi.

Aici să dormi,
Īn pace şi visānd
Apoteoza
Nu ştiu cātor Iovi,
Trecut prin īnchisori
Şi flăcări blānd
Spre-un paradis
Din zahăr de cartofi.

Aici să dormi,
Mutat a doua oară,
Fie-ţi ţărāna literei uşoară.


EPITAFFIO

Dormi qui,
nell'odore di carta
scritta con pena
a stento comprensibile,
troppo gracile dio dal tempio
chiamato infanzia -
sacrifici interi
e quarti di peccati.

Dormi qui,
sepolto in rime
che non puoi
pił udire,
santo controvoglia
ma santo per intero
fra vescovi ignavi
e angeli spietati.

Dormi qui,
in pace e sognando
apoteosi
di non so quanti Giobbe,
per prigioni e per fiamme
pazientemente transitato
verso un paradiso
di zucchero di tubero.

Dormi qui,
gią due volte traslato,
lieve ti sia la zolla della parola scritta.

(da L'occhio del grillo, 1981)

    ***
DE-A V-AŢI ASCUNSELEA

Şi iată, bisericile
Pornesc să alunece pe asfalt
Ca nişte corăbii
Īncărcate de spaimă,
Cu turnul catarg
Şi pānze umflate
De vāntul
Bătānd mereu din altă direcţie,
Īncāt,
Dacă mergi neatent pe stradă,
Poţi fi oricānd călcat de o biserică
Īnnebunită,
Grăbită să se ascundă.


A NASCONDINO

Ed ecco, le chiese
si mettono a scivolare sull'asfalto
come bastimenti
carichi di orrore,
il campanile č l'albero maestro
e le vele gonfiate
dal vento
che muta sempre direzione
tanto che,
se vai per strada distratto,
ogni momento puņ metterti sotto una chiesa
impazzita,
impaziente di nascondersi.

(da L'architettura delle onde, 1990)



Le poesie sono tratte da: Ana Blandiana, Un tempo gli alberi avevano occhi, Donzelli, Roma 2004, pp. 189, € 12,00 (Traduzione e cura di Biancamaria Frabotta e Bruno Mazzoni)


alexbrando@libero.it