Se dico scoglio
scoglio s’incarna.
E ora. Dico. E ripeto: disprezzatemi pure
in fondo è giusto così.
Resterò come il gatto rosso
incarognito
con la coda a piumino
e le sue turbe
che esita dieci volte
prima di andare dritto per la sua strada
pisciando con garbo
sulle aziende del freddo.
Ma crescono una alla volta
lucertole ferme
ad aspettare lo smog.
Appartengono a mondi riemersi
sporgono da ventri di mondi in diverticolosi
non sanno parlare del sole al sole
conoscono
solo il lamento dei pozzi.
Da millenni sto avanzando
‒ trascino le interiora nell’erba sciupata ‒
nell’attesa di qualcosa di qualcuno
che mi venga incontro.
Avanzare fa parte di me.
Non solo.
Avanzo.
Non solo.
Contando le fratture
le brutture
le rotture
le censure.
Avanzo tra lusso
e fascia di miseria
tra sentieri sfibrati
ferocia e disincanto.
Unica a scorgere la stella polare
neppure le marmotte la guardano
come un tempo
per evocare strane alleanze.
Avanzare mi rende libera,
e così… apro territori dove dio non dorme
dove dio raccoglie pagine
di una storia che conosce.
Avanzo.
Mentre avanzo ascolto gli alberi
l’intreccio delle radici.
Respirano. Pff…
Avanzo e mi radico da secoli.
Avanzo
percorro
erro
solco
circolo
progredisco
con i piedi uno davanti all’altro.
Sto immobilmente
meditando
nell’appiglio vitale.
Grande pulizia
dell’occhio con
secchiate d’ acqua
che richiamano la quiete.
L’enigma è un sacco
dove le ansie riprendono vigore.
Emerge un opaco timore
che il viaggio
si concluda tutto nella notte
in una sola rapsodia del suo stesso crollo.
Ad ogni tentativo di svuotamento
il cranio perde materia
ogni osso lascia sfuggire
il midollo.
Trovatemi voi
la soluzione.
Sto
configurando
in buona fede
una nuova umanità non perfetta
ma perfettibile.
Avanzo col rosso sulle guance.
Il passato indifferente
sulle spalle pare appoggiarsi
‒ mica per niente ‒
per non lasciare inverni a metà.
Intanto piano ma avanzo
‒ sistemate le ombre ‒
le scarpe strisciano sul marmo fuori dall’anima.
Un passo, due passi.
Un passo, due passi.
Qualche passo falso. Anche.