Le isole del Re
– Ne vuoi parlare come fossero ostacoli da superare, barriere che intralciano un qualsiasi percorso oppure come forme rocciose che emergono dalle acque e alla bisogna salvano il naufrago dall’annegamento? – e nel dire questo, tutto d’un fiato, il criceto continua a correre sulla ruota con gli occhi puntati nei miei.
Di nuovo lui, apparizione nel dormiveglia mattutino, proiezione del mio cervello che cerca di mettersi in moto in uno stato di semi incoscienza e insegue un’idea per il tema del prossimo numero di Fili d’aquilone: scogli. Perché è in questo stato di precaria presenza con la realtà che mi ricordo di non avere ancora scritto il pezzo per la mia rubrica e annaspo alla ricerca di un’illuminazione. Ecco quindi che il piccolo animale arriva in mio aiuto (si era già palesato nella scorsa puntata quando mi aveva suggerito di parlare di Bruce Springsteen solo per l’assonanza del cognome con la traduzione inglese della parola ‘primavera’) e anche stavolta è giudice dei miei pensieri indicandomi quale sarà la strada giusta.
– So dove vuoi arrivare – mi spiega – gli scogli non sono inciampi ma isole, magari grandi come quelle delle barzellette: pochi metri quadri e una palma al centro. Pensi che i King Crimson ti saranno d’aiuto?
È proprio il Re Cremisi la roccia alla quale voglio aggrapparmi stavolta per non affogare nel mare tempestoso dei temi partoriti dalla perversa fantasia del direttore di questa rivista. Ed è Islands il disco di cui voglio parlare, quarto lavoro del gruppo pubblicato alla fine del 1971.
Una volta in piedi mi preparo un caffè e accendo il computer. Mentre bevo quella che sarà la mia sveglia definitiva inserisco una chiavetta usb nel pc e dalla cartella ‘King Crimson’ copio e incollo l’album che ascolterò in macchina.
Mentre il motore dell’auto si scalda, l’archetto di Miller comincia a stuzzicare le corde del contrabbasso componendo il tema portante di Formentera Lady, primo brano del disco. Alle note gravi si sovrappongono presto il dolce suono del flauto di Collins e brevi arpeggi al piano di Keith Tippett. I tre strumenti sembrano disarticolati fra loro ma la voce di Burrell ne riannoda i fili e il testo, dai richiami omerici e passionali di Peter Sinfield, ci anticipa una parte del contenuto lirico dell’album:
Qui Ulisse incantato perché cadde l’oscura Circe
Ancora il suo profumo persiste, ancora il suo incantesimo
Dell’apporto del poeta paroliere torneremo a parlare più avanti.
Nel secondo brano, Sailor’s Tale, pezzo interamente strumentale, Fripp e la sua chitarra diventano protagonisti contrassegnandone la parte centrale con un lungo assolo in crescendo. Mellotron e base ritmica ne marcano la conclusione richiamando la sensazione di un mare in tempesta fin quando un accordo di chitarra ne decreta la fine.
Mentre con l’auto imbocco la strada provinciale che mi porterà a destinazione, un delicato arpeggio di Fripp apre The Letters e Burrell, con voce suadente ci introduce in un brano apparentemente contraddittorio: l’iniziale dolce suono della chitarra sfocia presto in note distorte, la delicata sottolineatura del sax di Collins si tramuta in un ritmo sfrenato fatto di acuti e note basse accompagnato dalla batteria di Ian Wallace. È free jazz quello che ascoltiamo e il contenuto delle lettere del titolo giustifica le incoerenti trasformazioni di ritmo che rappresentano lo scambio epistolare tra due donne rivali in amore.
The ladies Of The Road è un palese tributo ai Beatles, da Come Together, nel ritmo iniziale, a una qualsiasi altra ballata di Lennon-McCartney nell’inciso, con l’aggiunta di uno splendido assolo di sax nel finale.
Poi arriva il brano che non ti aspetti, quello che ti farà fare i conti con qualsiasi definizione da dare alla musica dei King Crimson, specialmente a quella dei primi dischi e alla svolta realizzata con questo album: Prelude: Song Of The Gulls è un adagio suonato da archi, con un pizzicato iniziale e uno finale che ne certificano la matrice barocca grazie anche all’uso dell’oboe che ne declama il tema per tutta la durata.
Arriviamo finalmente all’ultima composizione, quella che dà il titolo al disco. Islands è il capolavoro dell’album interpretata da Burrell in maniera magistrale. Lo accompagnano Tippett al piano, Miller all’oboe e Collins al flauto. I testi di Sinfield finiscono per estendere qui il tema dell’intero lavoro ricordando a chi ascolta che l’uomo non è un’isola ma frammento di un continente, recuperando così il verso di una poesia di John Donne – poeta inglese vissuto tra il XVI e il XVII secolo – già usata da Hemingway nell’epigrafe del suo romanzo Per chi suona la campana (anche il titolo è un verso del componimento). Il meraviglioso brano si conclude con l’assolo della cornetta di Mark Charig che in un crescendo sorprendente chiude un’altra trasformazione del Re Cremisi.
Io, intanto, ho raggiunto la mia meta.
– Avevi scritto che avresti ripreso il discorso su Peter Sinfield ma non mi pare che tu l’abbia fatto.
Mi aspettavo il pescione rosso dell’altra volta e invece è ancora il criceto corridore a parlare nel mio stato di semi incoscienza.
– È vero ma non è stata una dimenticanza – gli rispondo – l’ho lasciato apposta per queste poche righe finali: al termine della registrazione di Islands Fripp chiese a Sinfield di lasciare il gruppo. A parte le tensioni tra i due durante il concepimento dell’album, al chitarrista risultò chiaro che il paroliere stava usando i King Crimson come mezzo per la sua affermazione personale.
Sinfield, dopo un unico lavoro come solista dal titolo Still, continuò la sua carriera artistica scrivendo per moltissimi artisti, da Roxy Music ed E, L & P. a Brian Eno fino alle più recenti collaborazioni con Cher e Celine Dion a dimostrazione che anche lui era ed è parte di un insieme, che
Nessun uomo è un’isola, completo in se stesso; Ogni uomo è un pezzo del continente, una parte del tutto.
Se anche solo una zolla venisse lavata via dal mare, la Terra ne sarebbe diminuita, come se un Promontorio fosse stato al suo posto, o una magione amica o la tua stessa casa.
Ogni morte d’uomo mi diminuisce, perché io partecipo all’Umanità.
E così non mandare mai a chiedere per chi suona la campana: Essa suona per te.
cardstefano@libero.it
|