AUTUNNO
Forse l’antico consumare amplessi,
vertigine di foglie ormai ingiallite,
è breve sera di tramonti, un tocco
della memoria che indossa ultime luci.
L’aria ha profumi già rincorsi al tempo
dei ritagli, da salvare per le attese
che il tuo calzare incideva nella sabbia,
colorando le polveri al messaggio
di melodie improvvise.
Ormai si brucia il gesto quotidiano
in un settembre per la solitudine
che avvinghia il mio torpore.
FILI
Ho appreso il canto argentato della sera
con la semplice follia delle mie nostalgie
ricamate con fili d’argento
alle pareti.
Ora che il vento divenuto freddo
ripetono un sussurro fianco a fianco
nel torpore della malinconia,
tra le porte che si affacciano sul nulla
e gli armadi ormai vuoti.
Fra la nuda verità che si attorciglia
su se stessa
e il profilo che esclude confini
riprender fiato è come spaccare il cuore!
LAMIERE
Un sonno che ha lamiere di ferro
è il tempo che avanza rapido oltre la porta.
Bevendo ancora sorsi di nostalgia
senza sosta né fine una fiamma bruna
placa nel suo dire i colori inebrianti,
ed io compongo questo diario
vagando tra invisibili corpuscoli
del veleno urticante della sorte.
Ultima cerimonia un fragile acquerello
che riporta i motivi di un’immagine
tracciata in volute di fumo,
prima che inverno bussi,
ed una bocca che voleva dolcemente
sfuggire al buio che insegue come muta di cani.
ABBRACCI
Il gesto che prelude prodigi
avvampa il tuo viso e travolge
il presagio del taglio che squarcia
ogni misura.
Così figuriamo il cerchio che tormenta
e carpisce quello che rifletti
al di là delle inconsolate scogliere.
Tutto avvolge in binari allucinanti
girotondo di alchimie di un amore
che riverbera nei ricordi del tempo,
trasmutando la carne al tepore
delle alchimie dell’autunno.
Un po’ come consistere in macchia di colori
e stemperare il vortice metallico
di un ultimo abbraccio.
INCANTESIMO
Protegge un incantesimo salmo nuovo
dietro al silenzio , distratto dal fuggire
di fianco al fiato, reclinato a scintille
per immobili segni custoditi da tempo.
Meglio ancora afferrare il suono
che fluttua fra gli occhi come vela.
Onda e vento balzerebbero contro
nella rete tremolante delle note,
a vaneggiare il messaggio che turba
ogni delirio nel settembre inoltrato.
Magia questa ad evocare il demone
sull’attimo che segue
e recide l’ombra sgualcita della tua immagine.
Il filare dell’assenza s’incolla alle dita
ricamando chiusure ed intarsi.
MISTERO
Fugacità delle ore è magica lanterna
se Cristo stravolge la parola
per trasformare il futuro in ascolto
ed allontanare provvisorie smemoratezze.
Egli soprannome di porpora
riversa in un bianco tumulto
contorsioni di braccia.
Noi nei mesi d’autunno abbiamo un tremore,
suono incrinato dalla sfrenata illusione
che riecheggia tra le mie memorie,
complicato mistero che trabocca
nel quotidiano andirivieni di candele.
ARSURA
Simile a farfalla, spina variopinta,
la tua mano insegue gli attimi
del mio abbandono:
richiamo tracciato nella solitudine
come crudele artiglio che nella luce
dissolve, si disperde, impasta il sangue
e ripete più volte il nudo delle cosce.
Rotola l’armonia di un desiderio
in brevissimi tremori,
che una volta assecondavi nell’arsura.
Si brinda alla menzogna per spiegare
l’incompiuto,
e la promessa rimane sospesa
nel rigore fluorescente della mancanza.
AGGUATO
Se blocco tutto qui, senza più tempo,
assaporando la pelle che non si dimentica,
sospendo ancora l’impronta di un abbaglio.
Gomiti a spillo penetrati nella meraviglia
del vento, della nebbia, della brina,
rassegnati al mutare di bagliori
di quella luce pazza che fuggirebbe le tenebre.
Pur sapendo che ogni giorno le stelle
si spengono, goccia a goccia rintraccio
lo scorrere imprevisto di un agguato
intessuto dal cielo
nel segreto del profondo amore.
Incisa al tremito della tua purezza
a cavallo di un oceano che non ha dimensioni
tu assomigli a pietra di abbandono.
MANI
A chi devo mostrare le mie mani
se ogni giorno affiorano pupille
stemperate allo spasimo di un battito.
Sfiorano misure inadeguate al tempo,
lento attrito e capriccio del messaggio
inquieto così come sorpresa
di una sottile trasparenza,
inquieto come sorpresa di richiamo.
Dibatte la ventura dei vecchi al nuovo gioco
come pelle cerata o soffio troppo ardito.
Chiedo sconcertato la sete del deserto
tra brevi tratti nel fondo di ferite.
Infiniti contorni hanno i respiri del mare
ove tuffo attentamente il fremito.
INDUGIO
Nei filari scarlatti nascono ombre
spogliando le tue spalle al desiderio.
Troppo lontano lo spontaneo svelarmi
il sangue più volte inseguito da illusioni.
Ottobre incalza minuscole brina.
Per la mantiglia bianca che ti cinse,
di pizzo merlettata, luccicante,
che ripete il corteo degli alberi fioriti,
ho preso sulle braccia anche il ricordo.
Riconciliato agli attacchi del tempo,
che sfalda ed interrompe,
perdono l’addio!
Così,
trasfigurate e o scomparse le chimere
oscillano per tracce di richiami.
In frantumi la musica del tuo archetto,
come rabbia plasmata sulle labbra,
è il morso proibito per battiti veloci
che fremono smagliando l’inquietudine,
per la stagione in declino con la sua tristezza.
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