Incontrare l’infanzia (non solo la propria) dentro una stanza di specchi, scoprirne gli aspetti segreti e poi la paura di smarrirsi non in un labirinto ma nella propria vita, confondere una città con un’altra, imboccare la strada sbagliata e, come Pollicino, ingegnarsi per sopravvivere in un mondo ostile, darsi delle regole per affrontare il caos. Tornare indietro, spostando il punto di vista, le stesse cose ma diverse, le stesse poesie ma riscritte, variazioni di altri testi poetici per affrontare la solita tortura, la verità che, come il sangue, “ci permette di vivere / ma non dovrebbe mai venire alla luce”. Mondi distanti, come se la poesia generasse in continuazione ipotesi, ombre sfregiate, zone alternative (alterate) che possono giungere a escludersi a vicenda. Ironia dal “sangue amaro” e autoironia illuminante, irridente e amara alla Gozzano o più scherzosa e giullare come nella poesia del primo Palazzeschi (“È possibile uscire vivi dalla vecchiaia?”). Ironia in questo libro più spontanea che in altri e profonda nel rivelare con tenerezza le discrepanze della vita, le assurdità: grande poesia investigativa del “commissario Magrelli”!
Un dialogo con gli amici poeti: Vittorio Sereni, Valentino Zeichen, Pier Paolo Pasolini, Andrea Zanzotto, Antonio Porta…; con gli spazi della casa, i figli, la moglie, la sorella; o con sé stesso stando rannicchiato nel letto, febbricitante; con gallerie d’arte, esposizioni, con le opere del Borromini, le sue perfette curve di marmo che sono la bellezza assoluta; con gli amici che all’improvviso smettono di esserlo, senza un motivo, un perché ed è triste come un lutto. E poi l’indignazione civica contro il disprezzo per gli altri, il cinismo, contro i ladri, i truffatori che se la ridono: che morbo corrode la città, il paesaggio?
Ci si invecchia ma non si sta mai fuori dalla propria infanzia, lei ci segue (o insegue), non ci abbandona mai, e ci parla. Un viaggio in avanti pur muovendosi a ritroso, con toni spesso scanzonati e sornioni si parla delle lacrime delle cose, quelle cose mortali e semplici (parenti, ragazzi, schiamazzi di strada, cialtroneria, disonestà…) che toccano la mente (così Virgilio nell’Eneide: “Sunt lacrimae rerum et mentem mortalia tangunt”).
Il corpo che cambia, l’ansia che aumenta, la memoria che si indebolisce, così l’udito. Eppure occorre sorridere all’infinita crudeltà della vita, scoprire altri modi di essere al mondo, ascoltare comunque la sua musica, scrutare nelle sue pieghe segrete e a quelle incatenarsi per essere più liberi. La vecchiaia è questione di idraulica, è farsi più liquidi e occorre sempre stare in ascolto di sé: “Adesso sono pieno di scarponi e paura. / E pure tutte queste camicie a quadrettoni, / cosa vogliono dire? / Ma dove devo andare, così country?”. Magari anche più felici (spensierati) e scorrere nella vecchiaia, sebbene con quell’affanno di chi vuole vedere ancora e ancora.
In Exfanzia Magrelli parla molto della vecchia, l’affronta con sarcasmo, come se fosse un continuo smottamento da un punto all’altro dell’esistenza, ma sempre ben radicato nel proprio passato. L’autore crea analogie che spiazzano ma indispensabili per accedere a mondi inspiegabili, per oltrepassare un confine e calpestare un territorio che sembra non appartenere all’uomo. Un lavoro costante e duro di trasformazione delle scorie, per eliminarle, per ridurre il chiasso, le sirene delle auto, i fastidi burocratici ma ora i suoni arrivano anche da dentro, così come i rumori: provengono dal sangue, dal cuore. Testi poetici per lo più brevi che entrano nella materia oscura come un succhiello nel legno per vedere come reagisce l’insondabile, la vita o il vuoto: “senza poter far nulla, se non patire, / e udire, subire, inveire. Ma mi state ascoltando?”
Valerio Magrelli, Exfanzia, Einaudi, 2022, pp. 136, € 11,50.
POESIE DI VALERIO MAGRELLI da Exfanzia
SOTTO LA PROTEZIONE DI POLLICINO
Mi sento così impaurito e solo al mondo
che perdo gli oggetti, uno a uno.
Per farmi ritrovare da qualcuno?
O alleggerisco il carico
per non andare a fondo?
UN TURISTA DELLA VITA
Ma quante scale avete fatto mai,
zampette mie?, mi chiedo
mentre attacco quest’altra, nuova rampa.
Torri, tante – piramidi,
fortezze, campanili,
e sempre con quell’ansia di chi vuole
vedere ancora e ancora…
Sei contento?, mi ripeto ogni volta
che arrivo in cima.
Fino a che arriverà l’ultima volta,
l’ultima cima.
E qui lo dico quasi con sollievo.
*
Quando sarò risorto, vi prego, sopprimetemi,
mettete fine alla ripetizione
che ha tormentato tutta la mia vita
fino a farmi rinascere.
“Due volte”, è la maledizione:
non c’è nulla che non abbia dovuto ri-fare.
È per questo che aspetto di risorgere
e trascinare tutto un’altra volta.
Sempre una volta in più, questa è la regola
da cui la mia vita viene devastata.
Una di troppo, ed eccomi qua oggi: risorto.
Risorto inutilmente, questo è il punto,
senza nessun vangelo da annunciare
oltre all’orrore dell’eterno ritorno.
GRAFFITI (ANDANDO A VARESE)
Quando vedo i graffiti sui muretti
lungo i binari che corrono via
mi prende una pena infinita.
Non c’è n’è uno che non sia istoriato.
E penso a quei ragazzi, a tutti quei ragazzi
che hanno passato notti lungo la ferrovia
per lasciare una traccia
per scrivere una firma
per insultare un mondo che li ignora.
Rischi, palpitazioni, sfide fino alla morte
soltanto per segnare il proprio nome
e raccontarlo in giro.
Vi amo come figli
e vi vorrei salvare
da questa orrenda età che vi tortura.
*
Svelto, ché sta chiudendosi!
Se devi dire qualcosa, dilla subito,
prima che sia troppo tardi.
Perché una volta saldata,
calcificata come la fontanella
nel cranio dei bambini,
è raro che la poesia possa riaprirsi.
Se hai qualcosa da aggiungere,
fallo finché sei in tempo.
Poi, niente: se ne andrà per conto suo.
E tu ne potrai scrivere qualcun’altra, se vuoi,
ma senza più toccare quella stessa.
ANIMALI
I.
Essere due pitbull
che vanno azzannandosi,
essere il loro nodo,
quello yin-yang di sangue
che esiste solo nell’atto della lotta.
II.
Pensavo di soffrire
come un criceto in gabbia.
Soffro,
invece,
perché sono la gabbia.
EXFANZIA
I numeri ci aiutano: 64.
Era l’autobus che passava sotto casa,
la casa degli amori/degli orrori.
L’autobus che portava alla stazione,
da dove sono scappato
per salvarmi / credendo di salvarmi.
Ma adesso, che di anni ne ho 64,
senza volerlo / volendolo con tutte le mie forze
sono tornato sul luogo del delitto
a trarre in salvo chi è rimasto là
per tutto questo tempo
prigioniero / ostaggio.
Come ho potuto lasciarlo così a lungo
nelle mani del nemico?
Come potrò sostenere
il suo / il mio sguardo?
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Valerio Magrelli è nato a Roma, dove vive, nel 1957. Ha insegnato letteratura francese all’Università di Pisa e di Cassino, ha tradotto grandi autori francesi, tra i quali Stéphane Mallarmé, Paul Valéry, Paul Verlaine.
Ha esordito in poesia a ventitré anni con il libro Ora serrata retinae. Gli ultimi libri di poesia sono Il sangue amaro (2014), Il commissario Magrelli (2018), Le cavie (2018, che raccoglie i suoi versi fino al 2018) e Exfanzia (2022).
Il suo ultimo libro di saggistica è Proust e Céline. La mente e l’odio (Einaudi, 2022). |
alexbrando@libero.it
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