Quando Franco Battiato se ne è andato ho pensato ancora una volta, ma come se fosse la prima, alla cura della casa comune, del viaggio, del lasciarsi andare all’oltre anche semplicemente nel passare le stazioni dei treni dove dopo anni, forse secoli, un lampo improvviso ti fa riconoscere da una madre, come a Tozeur. Una casa comune, non solo quella del qui e dell’ora, ma questa della scelta del dire, dello scrivere per e a l’altro, nel suo caso come mutua confessione di amore, che è pur sempre dono degli dei, nel mio come passaggio del tunnel con la compagnia di parole scritte. Non mi abbandonare non è solo l’ordine del cuore, la supplica arcaica dell’"Ombra della luce", ma qualcosa di più prossimo, di più apparentemente scontato, di come quando un tempo nei giardini dei primi giochi si tendeva la mano per aiutare e per chiedere aiuto dopo la caduta, in un gesto che sarebbe rimasto per sempre. Perché Franco non era solo Gurdjieff o la reincarnazione, o Daumal, o i dervisci rotanti. No, era anche la noncuranza della citazione colta e antimoderna, direbbe Compagnon, come quella dello Xavier de Maistre del Viaggio intorno alla mia camera: “Di solito alla mia bestia do l’incarico di prepararmi la colazione; (…) sa fare il caffè a meraviglia, e molto spesso se lo beve pure”{1} che torna nell’"Animale" di Battiato, quell’ “animale che mi porto dentro non mi fa vivere felice mai, si prende tutto, anche il caffè”.
La leggerezza dell’immersione dentro l’oceano della letteratura, soprattutto quella non conformista e non schiava degli ismi, per intrattenere amabilmente il compagno di viaggio verso il daumaliano Monte Analogo. Per questo in un libro che si pone come cura in tempi di chiusura, di sospetto, di paura e di solitudine interiore non poteva mancare il riferimento, anzi, un piccolo capitolo, alla Cura di Franco. Pagine che vi riportiamo qui sotto, a suggello di una compagnia di strada alla ricerca del senso e dell’altro.
{1} Per la citazione di de Maistre da parte di Battiato e uno studio sul suo romanzo, vedi M. Testi, Sentieri nascosti, Edizioni Fili d’Aquilone, 2019.
Il brano che segue è tolto da La cura. Il libro come salvezza dalla solitudine e della paura, di Marco Testi. Edizioni Fuorilinea, 2021, 252 pagine, 16 euro.
LA CURA DELL’ALTRO. E NELL’ALTRO
Quando nel 1996 "La cura" appare sul panorama discografico, alcuni si rendono subito conto di una rivoluzione, un punto di svolta che riguardava non solo il mondo della canzone ma più in generale la cultura. Cultura nel senso di svolta ufficializzato – anche se a dire la verità molti non ne sentivano la necessità – dall’attribuzione del Nobel per la letteratura a Bob Dylan. Quel Nobel poteva infatti rappresentare, per quei molti, il passaggio da una stagione pionieristica in cui non solo Woody Guthrie ma anche Whitman e Emerson, Rimbaud, Corso, Kerouac, ma ancora prima Villon, erano finalmente riusciti a parlare ad una generazione in cui la musica aveva favorito il ritorno alle nozze sacre celebrate nell’antichità tra parola e suono. Con il timore che quel riconoscimento avrebbe potuto trascinare la ribellione, nell’avvicendarsi dei corsi e ricorsi vichiani, nella musealizzazione, nella Cultura maiuscola che quella controcultura aveva sempre attaccato come moglie del consumo borghese e della più abietta conformità ai dettami pseudo-etici delle società del benessere.
Ora "La cura" andava oltre quelle remore. Non rappresentava più l’interlocuzione verso l’amato/a in cui si manifestavano le consuete scelte tra profferta d’amore, lamentazione della non corresponsione, o, al contrario, rifiuto dell’amore o di chi se ne fa latore, addio, o abbandono per sempre delle sirene affettive o erotiche.
Chi aveva orecchie per ascoltare aveva colto un cambio di registro che Battiato-Sgalambro avevano iniziato da molto tempo, e che aveva visto in “Il re del mondo”, fin dal titolo debitrice di Guénon, ma non solo, uno dei punti critici. L’amore inteso nella canzone di consumo e in parte in quella d’autore non ha più un ruolo. E neanche un senso. Subentrano elementi che incrociano in una esperienza nuova i passaggi attraverso la spiritualità cristiana, intesa in senso non confessionale, le visioni induista e buddista, il sufismo, l’esoterismo di Gurdjieff, di Guénon, di Daumal: ma, sia chiaro una volta per tutte, rese operative con una loro identità nuova e diversa da ciascuna delle fonti, qui citate, sebbene solo in parte.
La cura rappresenta il manifesto più esplicito di quello che andiamo sostenendo in questo libro, e che cioè al di là del contatto personale e fisico si possa stabilire un rapporto di ascesi, aiuto, salvezza in absentia. Ma chi sono i contraenti? Chi desidera la salvezza dell’altro? E in che cosa consiste questa salvezza? Come il lettore avrà intuito nel corso di un libro che con la canzone di Battiato ha in comune il titolo – e non solo –, la cura è anche e soprattutto l’accettazione della distanza. In questi cupi giorni in cui l’assenza dell’altro, quella radicale della scomparsa e quella dettata dalla tècne sanitaria, rappresenta uno dei mali, questa distanza rischia di diventare esiziale per chi vive solo, per gli anziani, per tutti. È allora necessario riscoprire la dimensione terapeutica di contatti diversi dalla fisicità immanente. Questa dimensione è tecnicamente e letteralmente oggi a portata di mano grazie ai dispositivi meccanici, analogici o digitali presenti nelle nostre case. Ed è fatta di film, musica, libri che è possibile ascoltare, non solo leggere, in streaming.
Battiato affronta, in questa dimensione di ascolto, oltre che di lettura, un’altra faccia dell’amore, oltre quelle di cui abbiamo detto poco prima. Ed è una dimensione che si avvicina all’insondabile e che quindi non può e non deve essere codificata con l’ermeneutica testuale e lo studio delle fonti. Anche perché la creazione artistica non sarà mai la matematica somma degli elementi progettuali: va oltre le aspettative stese a tavolino, si concretizza in modi diversi da quelli di appena qualche minuto prima: rappresenta il nuovo mondo, che reagisce con l’esistente in modo improgrammabile.
Non possiamo e non dobbiamo chiederci se è una canzone d’amore di un essere terreno o, come sostengono alcuni, di un Creatore verso l’essere creato. La sua polisemanticità la pone, al di là dei progetti originari, come una dichiarazione d’amore, non solo di aiuto, per chi è in difficoltà. I “turbamenti che da oggi incontrerai per la tua via”, “i dolori”, la guarigione “da tutte le malattie”, la dichiarazione di non abbandono attraverso il cammino insieme verso l’essenza, il riconoscimento della verità anche nell’individualità, nell’impermanente, è insieme affetto umano e spinta verso il superamento nell’oltre.
Una linea che è presente in Battiato fin da “L’ombra della luce” e da “Lode all’Inviolato” e in altre composizioni precedenti. Raramente nel panorama della fusione poesia-canzone d’occidente si era assistito a questa dilatazione delle potenzialità dello strumento comunicativo. Vi si erano certamente avvicinati, per la capacità evocativa oltre il qui e l’ora, il Dylan di “Chimes of Freedom” o il Cohen di “Suzanne” o di “Johan of arc”, e, ma pochi lo hanno messo in rilievo per la solita mania esterofila, una canzone di Venditti presente nell’album "Quando verrà Natale", del 1974: “Ora che sono pioggia”. La laica benedizione per chi rimane, sia essa di un dio, di un uomo che è passato al di là del limen, di un’amante, raggiunge qui possibilità espressive – e comunicative – nuove, tali da portare la dimensione che noi continuiamo a chiamare della canzone verso un futuro fatto anche di passato: di quando testo e musica – probabilmente lo stesso Cantico di frate sole – erano una sola dimensione in cui vivevano, non solo venivano cantati, l’amore di Dio (la poesia religiosa), degli altri (quella trobadorica che secondo de Rougemont veniva dalla visione catara) e del cammino nomade (parte degli stessi trovatori, i giullari, i clerici vaganti).
"La cura" cela in se l’abisso stesso dell’amore, con le sue implicazioni religiose e mistiche. Leggere quelle parole, ascoltarla, guardarne il video originario significa lo stesso atto di entrare nella condivisione di qualcosa che è fuori dalla pura fisicità e dal desiderio di ricongiunzione. Il dare sé agli altri senza compenso apparente se non in quell’atto stesso è forse la cifra storica (ancora una volta la ricompensa dell’amore nell’amare e non nell’essere amato che arriverà fino al Dante della Vita Nova) più evidente di una poesia che non è soggetta alla gravità dei trend e delle mode del tempo.
testimarco14@gmail.com
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