FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia

Numero 47
luglio/dicembre 2017

Mezzanotte

 

MEZZANOTTE E LABIRINTI

versi di Viviane Ciampi, foto di Lino Cannizzaro





*

Anche in silenzio non c’è il silenzio
lo sai, non esistono corpi muti
hanno capricci blu e nudità.
La notte scalpita
– vantaggi e svantaggi –
la notte alla fine li fa sempre parlare.


*

Se danzi
danzi
non stai bocconi
immobile nella stanza
se dormi
dormi
e non parli alla luna
e non cambi stanza.


*

Tutto muore dell’insistenza a stare immobili.
Tutto muore.
Le parole specialmente,
che hanno soluzioni micidiali.
Tutto scompare in un dialogo mancato,
a corpo morto, nella lava,
come se.


*

Talvolta dici
sono a un punto morto rivolta
a una luna lattiginosa.
Talvolta accendi la lampada
per vegliare gli dèi
anche se la pioggia la spegne.
Da tempo l’esitazione la paura d’incendiare.
Da tempo un silenzio di crudeli fiori
ti rende semplice.


*

A levante s’innalza la collina.
Calda notte di settembre.
Tutta la grazia. Qui.
Punti di luce a quell’altezza.
L’allocco – rigido nei dettami –
lancia le sue premonizioni
in diretta dal pioppo
ma non sai al mattino dove si ritira.
Il tuo orologio. Indietro di un’ora.
Senti le leggere vibrazioni della terra
anche quando il terremoto non c’è
o forse sei tu a vibrare
per qualcosa che si accende nell’aria.
Cambi la cartuccia della penna
– ricordarsi per quale verso –
spalmi inchiostro sulle dita.


*

Il buio si sdraia
sul dorso del gatto rosso.
Rimasta sul tavolo con le briciole, la tovaglia
e ora nessuno per pigrizia pensa a scrollarla.
Non sai chi o che cosa ti terrà sveglia.
Pensi con parsimonia
vi fu un tempo di grasse ortensie nella testa
di rane ascoltate a luglio
nella notte barbara
che non stanno in prigioni libresche.
Quell’imbuto della memoria
non ti fa scrivere.


*

La parola sonno
– anfora, campo salubre, anima di lumaca –
è stata cancellata dal vocabolario.
Non poteva rimanerci
non si trovava a proprio agio nelle sue pagine,
così non si poteva fabbricare neppure una poesia
ma nessuno piangeva per questo.
Inutile guardare alla finestra.


*

Nell’ora di nessuno
i tori sono entrati nella stanza
col manto di velluto
coda frusciante
vorticano attorno al letto
con questo fragore.
Ti hanno detto cara riposa. Buona notte.
Che domani non sia prosa,
bel capo da ghigliottina.


*

Ora al soffitto
si addensano stelle prodigiose.
Orchi, giocolieri, conigli ed elefanti
usciti da una scatola
quasi casa dell’infanzia
t’insegnano il gioco delle trasparenze
delle bambole russe
e una danza tale da farti credere ballerina.


*

Dormi in un letto
ma non hai un letto
è l’asse dell’attesa che sguazza.
Impari l’insonnia a memoria
torturando lombrichi nelle tempie
inseguendo i suoni del corpo notturno
oppure balzando in cucina
a mangiare pane che si gonfia a dismisura
e manovri la meccanica del cuore
la sua carne battente. L’emicrania a grappolo.
Così ogni notte. La chiaroveggenza.
L’eterno spavento.
Del pane ti penti a ogni boccone.


*

Steli estremi in bocca
svegliano giardini.
Se avviene amando
non sei né migliore né peggiore
solo che somigli a un pensiero infantile.
Eros in visita – un lusso di questi tempi –
passa attraverso i buchi del telefono.


*

All’una – vale a dire un’ora più tardi –
cento tipi di oscurità
finestre più anguste del solito
ma tutto sommato rispettabili i pensieri.
Tu per esempio così non puoi fiorire
sorvegli la sveglia tanto esatta
che potresti applaudirla.



*

Devi aver pensato che fortuna
trovare a terra pezzi di qualcosa
particelle di un nonnulla
come fosse un gran tesoro.
Cerchi tasche da tempo cucite
dove avresti potuto infilarlo.


*

Le due. Presentimenti?
Corpo di piuma, un’ombra rifà il letto.
Visibile solo un occhio chiuso.
È niente. No.
Magari il perno della notte
che si perde all’improvviso
che sguscia nel vortice.


*

Vai verso un luogo che ti sfugge
leggendo pagine dimenticate.
Il reale è intraducibile
carico di sete
ti muore davanti
come un fatto naturale.


*

Mentre aspetti l’alba
raccogli la presenza di te stessa.
Nel caseggiato di fronte
s’illumina una finestra:
è quella della casa del suicida per amore.
Una donna – sua madre forse? –
capelli raccolti si alza
in pigiama a bere un bicchier d’acqua
con addosso il dolore senza nome.
C’è questo da dire
che ormai s’intrecciano le vite.
Senza rimedio la sua insonnia
e tenace ti raggiunge.


*

In questo dormiveglia
– bello dire sfido l’abisso –
la nave agita le acque
schizzano alle pareti
è lì è nel cervello che si rintanano.
Spazio e tempo si abbracciano
ma di ciò vi è silenzio.


*

Se notte fonda o meno non importa
non importa il latte caldo
il lampeggiare delle luci di Natale.
Hai altri fratelli dell’insonnia
nella tempesta hanno già iniziato il loro toreare.
Il drappo dei sogni ad occhi aperti
prende forma e si dispiega.


*

Vorresti origliare in ogni casa
ovunque vi sia un breve sonno.
Sei un angolo di strada
sei la pagina bianca accerchiata da poiane
– mano rigida
per quanto hai collezionato i tempi morti? –
sei il naso per aria la porta di vetro
con riverberi di luce.
Cattura – se credi – gli alti profili della notte.


*

È l’alba. Stesso peso.
Eccoti la chiave:
non sei più esca d’attesa
e mantieni una promessa. Quella.
Qualcosa è tornato che t’abbaglia.


*

Già l’alba – dicevamo –
schiena gambe in successione.
Ti stupisce mentre scrivi – ronzio del frigorifero –
e la penna emette il grido
d’un treno in arrivo.
Ma non tormenta il gatto
e nessunissimo vicino.


*

Acufeni che sono fischi suoni cascate
rumori d’officina.
Stai dentro a quel baule pieno di arnesi
che aggiustano i giorni
sai per certo di un virus chiamato non si sa
ma non vuole andarsene
niente di allarmante solo
un minimo fastidio, sì formicolio nelle gambe,
sì crampi ai polpacci, sì non opporre resistenza
tutto questo sì
e vedi, termina la pioggia
– ma non esserne così sicura –
domani ti sdraierai s’un prato di spine
e la vita come sempre
di soppiatto nel pullover.


*

Appare in corridoio il suo volto di seta
s’avvicina smembra l’ordinario con le scintille.
Segue a ruota il mattino sulle labbra
un raggio di sole un altro colpo di colore.
E una poesia che termina col sonno.


*

Fioriture fortunose
che stai annaffiando.
Oh all’improvviso
conosci solo quell’attimo.
Adesso puoi perché
solo ora puoi dirlo:
la bellezza non è una scusa.



*

Esistenza della pioggia
e tu c’eri
in quel prato
– archeologia dell’amore stesso –
così bello allora
far parte della trama
non essere separati dal proprio respiro.


*

Sorvegli i tuoi simili dalle altane
con orecchie di velluto
ascolti le loro trombe. Perfette.
Il sonno che viene dal mondo delle fate
potrebbe oscurare la mente
meglio quindi questa veglia
– le paure s’infilano laggiù –
vuoi che il fuoco ti colpisca
che il sole imminente sfiori le tue labbra
e scorgere la sveglia della libertà
sopra le case in lontananza.


*

Questo esiguo lenzuolo
dove i tabù dell’amore vennero fiaccati
dove il guerriero – arrogante – ti convocò –
sotto il quale fetale ti raggomitoli
e a occhi semichiusi rimani
è forse la placenta
a cui disingannata ritorni?


*

Vi è di notte quel certo modo d’avanzare
così lento che non si spiega.
Tra veglia e sonno
appaiono i volti degli assenti
ma non la loro voce.
Troppo fuoco diciamo
se parliamo a voce alta dormendo.
Di notte incontriamo il collo della morte
ornato di diamanti
non fuggiamo
ma tutto ciò sconvolge
di sicuro tutto ciò sconvolge.


*

Guarda l’ombra dove rovisti
sfida i segnali
guardala bene ora vedi
che non c’è niente?
Solo muri di cartapesta che filtrano le voci
due specchi rotti e minuscole ragnatele.
Il sole è appeso al chiodo
– con tutto l’oro appena scorporato –
già pronto per domani.
Si sta come sbalorditi
nel paese dei sonni tranquilli.


*

E tu che ti perdi per le strade
dove vuoi andare
ovunque ti siedi nel posto sbagliato
non vedi questa febbre
sul volto della gente
che ti dice mentendo
con aria di cospirazione:
sto bene
sto benone sono appena tornato da un lungo viaggio.


*

Tieni la mano sul cuscino
che avidamente l’inghiottisce.
Quanto fa bene tenerla riposata.
Lenta slitta dietro lo specchio
poi si libra in aria
per disegnare musica
fa cambiare il passo del vento
dà corpo all’incorporeo
con un gesto più preciso
più accattivante.


*

Lì sul comodino
le caramelle proibite da mangiucchiare
dopo un bagno troppo caldo
pori aperti e dopo per mezz’ora ancora
continui a sudare ch’è un piacere
in quel serbatoio di spazio
coi libri accatastati
e farà freddo e già conosci l’alito
fetente dei mostri dell’alba.


*

Abiti una stanza chiusa dal di fuori
con pareti che trattengono pensieri remoti.
Ma qui irrompe un respiro
un tiepido soffio
che lambisce le caviglie
come danza fulgida di un istante.
Nessuno è entrato uscito.
L’anatra di cristallo a tratti
dà come un addio
sembra che dal mobile
voglia affrancarsi per un breve volo.
Ti chiedi se a quest’ora
non dovrebbe dormire.
Nessuno è entrato uscito.
Dunque chi trema al tuo fianco
chi bisbiglia dentro i timpani?
Nessuno è entrato uscito.


*

La stanza è chiusa nessun inganno.
Da dentro la percorri tutta.
Chi ha parlato? chi?
La pianta sulla mensola,
non offre pericoli, non morde,
ha foglie modeste e modeste pretese:
non chiede gesti eroici di giardiniere
dell’aria e dell’acqua s’accontenta
della prova del dito nella terra
e di poche tue parole per vincere l’insidie.
Nessuno può entrare uscire eppure qualcosa sta fuori
qualcosa sì ma cosa?
Dalla persiana il ringhio del mare
e fasci di luce come dipinti.
Poi una voce di singolare fattura.


*

L’ascolto ti taglia il petto
con cupa pesantezza di materia.
Rovesci la scopa
bruci incenso
dici qui non c’è posto per due
ma la voce avanza. Avanza. Lievita.
Mette radici. Scava un tunnel.


*

La notte continua a distribuire
stelle ai tuoi occhi bendati.
Restano così a lungo nel profondo
che saltellano sotto la cute
arricciandoti i capelli.


*

Custodisci una ballerina muta
tra stomaco e cuore
sfamandola nelle ore quiete
comincia a muovere braccia gambe
e piruetta e arabesca
e si allunga in spaccate prodigiose
nelle stanze non riscaldate.


*

Ha rotte le corde la tua chitarra
– erano d’altronde anoressiche –
e hai perso la voce che risuonava d’estate
sotto l’arco della stazione.
Pare non si faccia più viva.
Se non c’è rimedio
cerca il rimedio.


*

La tenda si solleva
non c’è nessuno dietro
neppure l’ombra che un tempo temevi.
Il copriletto
– la rosa ricamata del copriletto
le iniziali –
tutt’altra cosa
non impaura
è un piccolo oceano
– ah il temporale nel frattempo –
fruscia come carta stagnola
gli lasci la tua pelle.


*

Il medico che ha controllato
la tua testa foderata di tessere
la tua testa cavatappo
la tua testa di derviscio rotante
la tua testa che si scombina
ha dichiarato allucinazioni
e tu hai cambiato la formula in
forti convinzioni.


*

A volte il pensiero scivola
diventa schiere di pensieri
più scivolose ancora
di una medicina
s’un cucchiaio di miele.
Non più arido esercizio di pazienza
e non c’è verso di fermarlo
e non c’è verso.


*

C’è un lontano più lontano
che ti afferra
da dietro la tenda.
Guerra dei nervi e zona livida.
Quella tenacia.
Che farne.
Il cuore dell’inverno
fa capolino.


*

E ti ritrovi distante da te
in cambio il vizio del silenzio.
Un pianoforte si è spento
coi tasti pieni di cadaveri.


*

E queste
sul tetto d’ogni monte
che non erano folgorazioni
ma cieli stracolmi di luce.


*

La presenza. La fatica della presa.
Si arriva col tempo alla maturazione
immuni dal contagio dell’apparire
– troppi i pericoli –
far quaresima più volte all’anno
questo è ancora possibile
come possibile è lavorare a tavolino
ogni notte in silenzio
nella salutare insonnia
essere i lebbrosi della traduzione
nascosti nella grotta.



*

La tastiera è un ferro rovente
lo schermo una zona incerta.
Dentro la pentola con la camomilla
bolle la pienezza e il suo contrario
la pozione della sterilità e dell’effimero.
Mai così acutamente
inferno e paradiso!
Cerchi le costellazioni.
oh abitante d’una zona superiore
perché collassi sulla poltrona?


*

Quel monastero da sempre agognato
boschi tutt’attorno
ogni albero che fa ombra
è un’anima che sale e tu sbirci
il mondo traverso fessure
e pensi perché tutto questo
invece del niente.
Nessun ricamo sulle lenzuola
mensola discreta cuscino basso.
Profumi d’incenso e decotti
fin sopra gli altari.
Ma la forza penetrante del silenzio.


*

Coraggio
cresce la certezza di quel gesto:
alza la mano
abbi il coraggio di strappare
l’occhio di vetro che ti guarda
da un buco della tenda.
Tremi ti fece tremare
di continuo
di continuo ti staccavi da te.
Ora è scesa la febbre
agguanti la quiete interamente
nel cavo della mano
abbatti il corridoio. Lo vedi,
gli insetti in un lampo si sono allontanati.
Vai là. Non fermarti. No.
Vai oltre la parete.


*

Tu resti così nuova
appari come il sole nel suo colore
in questo stare nel libro del mondo
salda in questa luna
– e ne saprai gioire –
aperta come sempre
a ogni luogo attorno.


*

Almeno fosse vera
la storia del messaggero
che guarda le vicende altrui
che arriva dal buio
quando la giornata ancora brucia.
Parleresti con lui a lungo e a fondo
lo torchieresti con domande
minime e ossequiose
sapendo che una vita
non è sufficiente.


*

Guardare il ramo teso.
Il bianco dell’esserci
gira gira sotto la tua trottola
e quella fila di lumache
innalza il peso delle cose.
Chi la percorre?
Stai dalla parte della deglutizione:
coscienza di chi va per troppe strade?


*

L’attesa di un segno.
Ci fossero almeno le orme
passarci accanto e non fiatare.
Catturare l’intervallo
tra palmo e palpebra
il gioiello eventuale
sotto la gonna della pioggia.


*

Arriva il tempo
del non sapere più marcato
è accaduto come questa neve
sopra i campi anche d’estate.


*

Al tempo
– nulla a che vedere con le previsioni –
vai incontro col sorriso
con istanti da eroe
con le piume che stringi umilmente tra le dita.
Inventi quel modo di tenerti leggera.
Lo trovi ovunque nella risonanza dei traslochi
nell’andatura.
Non ti resta che aggrapparti all’astro protettivo.
Poi non fai altro. Null’altro che cantare
con la gola che si libera.


*

Tu, ferma, nell’immagine
in un’attesa ammirevole
che nomini pazienza.
I polpastrelli nella neve
fanno male da morire
ed essa noncurante
ammanta i boschi
le parole del poema
il pianto e la retorica.


*

L’inverno sarebbe questo
fatto di paesaggi scevri di colore
ma non solo:
un fotogramma di guerra in bianco e nero
la gente che si crede pura
ed è solo nuda
ragazze in fila sotto i portici
la luce provvidenziale del fiammifero.


*

O tuoi amanti immaginari
che ieri sognasti
Li volevi tutti insieme
nella casa del desiderio
ora bambola appassita
tornata per la dritta via
scordàti i loro nomi
scordàte le carezze
scordàti i lunghi pianti di cipolle
addio l’ingombro
l’affanno d’amare e mentire
di subire gl’imbrogli
torni perfetta occhi asciutti cuore calmo
nulla ti distoglie da questa pagina
ala macchinosa che poco ti fa festa.


*

Nel cuore della notte
attraversi le stagioni
come Giona nella balena.
Costruisci metafore
con la chiocciola che hai accanto
con i varchi dei muri.
Hypnos con testa alata ascolta
ti racconta la leggenda della Regina dell’Insonnia.
Un libro si chiude con lieve schianto.


*

Il dio degli insonni
si rimette al lavoro
ti porta sulle spalle
sapendo che puoi perderti
riesuma parole celate di giorno
non ti lascia in mani estranee.
Insieme attraversate il bosco di cristalli
poi grandi pannelli indicano:
qui il porto degli errori
qui il palazzo dell’oblio
qui l’ufficio della delusione.
In fondo al corridoio, la lunga strada gialla.
Ora senza parlare
hai tolto la maschera.


*

Questo è il mattino
– la bocca di vapore –
ignora se entrerai
ma ti apre le porte.




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