FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia

Numero 43
luglio/settembre 2016

Fughe

 

FUGHETTE PER GATTO E CARILLON

di Guido Caserza



Baba Nam Kevalam
(everlasting gnoni)


*

Re Lear dal ventre vuoto,
vecchio barbogio, alias Mignoni,
stremato e senile ramazzi
la tua ombra.
Stipite capo,
nella tua pienezza felina,
con Ni di Ci Coco Lou,
dopo una vita sul coppino
sei come porcellana sbreccata.
Un cornetto acustico
ti servirebbe nel barbaglio dell’alba
per udire il canto del gallo:
oh vecchio sciantoso dei pleniluni,
macerie di stelle si addensano
nelle tue pupille
e le vele ammainate delle tue palpebre
lanciano obliqui, appassiti fasci di luce.
Così, chiamato al concistoro degli allocchi,
te ne andrai nell’intervallo,
fra un atto e l’altro,
in una scatola di pelo
cosparsa di crepe.


*

Macchie di luna ha Ni sul dorso
musicante come
il vento aprilino
che fa risuonare le erbe dei campi.
Negli occhi da regina etiope
la sua pupilla è una stretta intercapedine
tra il mondo e la sua mente felina:
del mondo nulla
sa Ni ma è nientemeno
che un’idea perfetta
quando sul lucernaio appare
la sua zampina che si apre rosa.


*

Tu sei Ci per volere di rossa,
dagli occhi come i tuoi di nobile opale.
Come lei sei in piedi con le allodole,
voli con le cince,
ti acquatti con occhi studiosi
e ti inebrii del mondo leccarello.
Mio bel Ci,
soffice ombra di cespuglio,
tutto il giorno stai in attesa,
fior di nulla, in attesa
di una quisquilia, di una
luccicante inezia
nel torpore del mio giorno umano.


*

Lou d’argento vivo, mio genio beato
e mia nona vita, come
l’arcobaleno i tuoi occhi galantini
inarcano la luce.
Bimbolou sonagliante
che sventoli la coda sul becco
del passero canterino
e i bei boccoletti in mille spire
costellando Berenice
al vento disperdi,
quando del mondo non hai più genio
tutto il giorno sonnecchi,
come un’astratta sfera di pelo
in una finestrella di luce.


*

La bella Micilda,
salottiera dei tetti argentati,
fa la gatta morta.
E la notte viene spargendo gatti,
scialano miagolii,
in gorgheggianti duetti ai calici stellati;
ritornella il cielo con bianche farfalle:
nevica, e gli aneliti felini
prendono congedo dalla lizza.
Solo gatton gattone, pelo di fustagno,
irriducibile innamorato,
tutta la notte sulla gronda
del tetto sta accovacciato
ad implorare di Micilda le rigide orecchie,
finché l’alba gli incorona le ciglia
di frigidi ghiaccioli.


*

Potessi andarmene come un gatto,
lasciandomi alle spalle
crisantemi e ceri tombali,
tresche e smancerìe d’amore,
far sì che neppure il nome sopravviva
in tanta farsa citrulla,
potessi avanzare
come l’affine scimmietta silvestre
o raggomitolarmi in un cappello
e poi, dài dài, inseguirmi
la coda finché
morte pupattola trottoli a vuoto;
potessi andarmene in un salto
dietro il corallo allegro del tuo riso
e come te avere guance pienotte
di luna chiacchierina.
Oh potessi andarmene come un gatto,
solo,
senza me stesso.


*

Quando avrò due bottoni sugli occhi verrai,
cuor di gattino, presso di me.
Io non ti udirò, perché
le mie orecchie saranno conchiglie di muschio
e nei castoni dei tuoi occhi
tutte le mie ore saranno ingemmate.
Tu verrai: strofinerai come di consueto
la clessidra musetto
sotto il mio mento
e in punta d’artigli
interrogherai le mie mani ammainate.
Mi guarderai con le pupille risolute,
poi te ne andrai,
lasciandomi alle stregherelle
e portando nel tuo pelo
il respiro della mia notte duratura.


*

Entri o esci, noiosetto sull’uscio:
così imbambolato con i tuoi occhi di vetro,
ti stendi come la nebbia
sulla soglia, benigna
univocità di ogni nomecosa;
poi, leggero come uno spillo nella rugiada,
ligio al rituale della tua sovranità,
avanzi regalmente sul pavimento
(prima, certo, ci sono stati
gli stiracchiamenti, gli sbadigli e le grattatine),
ma già non trovi soddisfazione
e te ne esci per il tuo consueto giretto,
inseguendo una fantasticheria di tarda estate,
o puntando là,
dove il pettirosso
serba i suoi tesori.


*

Sfinge nel fiore degli astri,
un astro stretto nei suoi artigli,
gemmate di brina le ciglia,
gemma di ibisco il nasino,
silenzio balaustrato di pelo,
pelo che pigola di pulcini,
poi un miagolìo che si effonde
come una ragnatela
sul mio essere inferiore
e, che dire ancora,
semplicemente va e viene,
come brezza che cammina,
posando petali su petali.


*

Come due gattini
nel cassetto di una scrivania,
madre del cielo,
custodiscici uniti in tale modo:
padroni di un amore infinito
mentre intorno
invecchiano le ore.



La silloge è inedita.



guido.caserza@alice.it