La scrittura della poetessa argentina Bárbara Belloc (1968) in Canódromo, pubblicato a Buenos Aires nel 2015, è un sasso gettato in uno specchio d’acqua. Puoi soffermarti a contare i circoli concentrici, la potenza del lancio, la distanza dalla riva raggiunta dal masso, il mescolarsi uditivo del tonfo della pietra e dello sciabordio delle acque, come il sole illumina i cerchi mentre già stanno per scomparire. Così è multistratificata la prosa poetica di quest’opera. Si alimenta di riferimenti colti di grandi pensatori della Grecia antica; usa come lievito la materia viva di Kafka, César Vallejo e tanti altri romanzieri e poeti latinoamericani e non, classici e contemporanei; si sofferma a dialogare con altre tradizioni letterarie e filosofiche, come quella indiana a cui dedica ampio spazio con le vicende di Baka Dalbhya. Canódromo potrebbe definirsi un bacino di riflessioni raccolte lungo un cammino a più fermate e lasciate decantare a lungo.
Il linguaggio della Belloc è prossimo alla materia trattata, miti, storie e leggende tramandate da tradizioni culturalmente diverse e rimasticate nella sua nuova versione. È dunque estremamente duttile, propenso al discorso orale come alla narrativa intima, spesso oracolare, increspato da un tono a tratti gnomico, a tratti lirico, a volte barocco nelle immagini offerte ma sempre al fondo molto lucido ed essenziale. Si tratta del resto di un volumetto intenzionalmente breve, che lavora in marcia contraria alla dispersione e concentra in ogni frammento lirico-narrativo il tassello di un cerchio più grande.
La sua scrittura si ricollega a sue opere precedenti (Ira e Andinista, ad esempio) ed è capace di crescere ancora e maturare nella direzione poetica intrapresa, quella del setaccio del mito e del tempo storico alla ricerca della sintesi attraverso la parola.
La brevità non deve ingannare, perché condensa molteplici storie e proietta il lettore in paesaggi, contesti e situazioni in continuo divenire. Un espediente tipico della prima sezione di Canódromo è quello del paragone e contemporaneo slittamento tra le diverse realtà ed entità presentate. Il cane potrebbe essere considerato la cellula motrice del meccanismo di metamorfosi ad libitum, l’insistere sul “come” in risposta al titolo della prima sezione – Comefarlo? – il movimento ciclico del meccanismo, similitudine ma anche e più profondamente continua riformulazione di una risposta da offrire a una domanda che, a prima vista, risulterebbe criptica.
La serie di concatenazioni vede il cane ora essere il quadrupede deambulante tra le mura domestiche, ora il leggendario cane bianco ed agile che rubò l’offerta predisposta per gli dei da Didimo e che a sua volta è alla base della fondazione di un tempio di Eracle e della scuola di Antistene. Per ricomparire poi nel racconto del monaco Baka Dalbhya il quale, uscito dal monastero con l’intenzione di leggere i Veda in completa solitudine, si scontra con il latrare di un cane bianco che “per magia o fame, sempre per fame, segna il luogo del completo digiuno, del banchetto incompleto e della disobbedienza”. Ma c’è di più, il cane diventa ancora dell’altro. Una serie complessa di animali mitici, entità atmosferiche e anche cavalli immobili o sfreccianti. Dapprima cavallo di Troia, mostruoso e premonitore di catastrofi e in seguito cavallo in folle corsa che, a sua volta, gettandosi nell’acqua, quasi sembra portare a compimento un’altra, ulteriore metamorfosi.
Cos’è in definitiva il Canódromo? Il linguaggio offre degli indizi, quella stessa circolarità del sasso nell’acqua di cui si parlava all’inizio è la ricerca, la sonda della propria potenza e tempra fisica e spirituale, quell’intangibile che tuttavia resiste all’incessante corsa e perturbarsi dell’acqua.
A livello filosofico sono ricorrenti figure come quella dell’ouroboros, il mitico serpente che si morde la coda che sta ad indicare la ciclicità, il ritorno dell’uguale o del simile sotto diverse sembianze. Rappresenta l’energia del legnetto sfregato per avere fuoco, la leggiadria della gonna del derviscio come però anche l’inazione o, ancor peggio, il vanificare le proprie energie quando il cane insegue stupidamente la sua stessa coda. Il Canódromo è pertanto una cornice, il percorso lo compie il lettore e chi si sofferma a pensare.
Nel ritratto dell’intenso ultimo stralcio qui riportato nella selezione poetica, cogliamo il discepolo nel preciso momento in cui sta transitando dalla proairesi (l’esercizio della ragione) alla diairesi (la scelta operata della ragione e che precede l’applicazione nella vita), concetti della filosofia greca che permeano l’opera della Belloc. Da tempo il discepolo non fa altro che elucubrare, reimpastare pensieri, cercare risposte. Non a caso con le sue vicende si interrompe la prima lunghissima sezione, Comefarlo? L’assenza dello spazio tra Come e farlo nell’interrogativa è spia di una certa premura nell’ottenere la risposta o, altra ipotesi, premura di percorrere tutte le regioni del pensiero così da sedimentare il senso da assegnare all’agire.
La scrittura è il mezzo che permette al discepolo di percorrere tutto il Canódromo fino alla bocca dell’uscita. Redigendo la “lista solare” giunge a comprendere il valore del ribaltamento di alcune affermazioni tratte dal Manuale di Epitteto, lungamente citate dal suo maestro. Pare volersi soffermare sulla stessa domanda che Kafka si pone in un racconto qui citato dalla Belloc: "che cosa ci sottrae dal circolo del nostro popolo?"{1}
Che cosa fa sì che esista l’altro e il simile? Cosa fare per rompere questa barriera? Comefarlo?
L’epilogo dell’opera della scrittrice argentina è segnato da uno slittamento, l’ennesimo, verso l’otredad (l’alterità), l’uscita dall’anello del simile che caratterizza la seconda e ultima sezione intitolata Altri. Non una fuga bensì un distanziamento e un nuovo riconoscimento basato sulla rottura degli argini e delle appartenenze. “L’amore verso il simile” è una frontiera e, in seguito alla carrellata sulla povertà umana cementificata sull’odio verso l’altro purtroppo non riconosciuto come simile, d’improvviso il lettore si ritrova catapultato in uno scenario privo di esseri umani, dominato dal cielo e dalle stelle. Come se fosse possibile provare a includere l’alterità partendo da una più ampia, per poi tornare ad una più adiacente (l’umana) e viverla in modo rinnovato.
Leggendo Canódromo, ogni lettore intraprende una proairesi, il dispiegamento dell’opera ne è il circuito, mentre ad ognuno – lento pede o con lena – spetta un diverso approdo alla diairesi.
{1}Franz Kafka, Le indagini di un cane, 1922
POESIE DI BÁRBARA BELLOC
da Canódromo (Zindo & Gafuri Ediciones, Buenos Aires, 2015)
1
Como el perro que persigue su cola antes de echarse, lamiéndose, rascándose el lomo con los dientes mientras gira, girando como la falda de un derviche. Como el perro que persigue su cola y sin voluntad repite la figura del ouroboros mítico, ignorante de la leyenda del retorno de Ra y del significado de lo que hace porque la pureza es un mito.(*)
Como todos los perros que hemos visto y conocido.
(*) Hélio Oiticica, Penetrable PN2 (1967).
Come il cane che insegue la sua stessa coda prima di sdraiarsi, leccarsi, grattarsi il dorso con i denti mentre volteggia, volteggiando come la gonna di un derviscio. Come il cane che insegue la sua stessa coda e senza volerlo ripete la figura dell’ouroboros mitico, ignorando la leggenda del ritorno di Ra e il significato di ciò che fa perché la purezza è un mito.(*)
Come tutti i cani che abbiamo visto e conosciuto.
(*) Hélio Oiticica, Penetrable PN2 (1967).
Como una nube con dientes que se come el cielo visible desde aquí, desde cualquier punto. Como un punto gris que es el símbolo del caos como no-concepto.
Como el ojo de la tormenta cuando se abre y permanece momentáneamente en su esplendor, que es tal vez el de la devastación próxima o remota.
Como el palo que se frota en círculos, rápido, para provocar el fuego y cuya huella será ceniza en la ceniza, un anillo dentro de otro anillo y así sucesivamente. Como un recuerdo fundido en la materia de un objeto.
Como un objeto perdido en la memoria.
Come una nuvola munita di denti che divora il cielo visibile da qui, da qualsiasi punto. Come un punto grigio che è il simbolo del caos in quanto non-concetto.
Come l’occhio della tormenta quando si apre e momentaneamente perdura nel suo splendore, che è forse quello della distruzione a venire o remota.
Come il legnetto che si sfrega in senso circolare, con forza, per produrre il fuoco e la cui traccia sarà cenere nella cenere, un anello dentro a un altro anello e così a seguire. Come un ricordo fuso nella materia di un oggetto.
Come un oggetto perso nella memoria.
Como el perro de Klee, el de Diógenes, el de Diana, el niñofiera de la tribu acorazada en The Outback y el perro-topo de Hefesto. Con miedo y sin mirar atrás.
Come il cane di Klee, quello di Diogene, di Diana, il bambinobestia della tribù corazzata in The Outback e il cane-talpa di Efesto. Con paura e senza guardarsi alle spalle.
Como un cachorro huérfano, extraviado, cuando no tiene qué hacer ni buscar, está cansado y cierra el ciclo cumpliendo como un autómata el ritual (la mímica de preparar el nido), y antes de entregar el cuerpo y la conciencia husmea su propio olor, da vueltas en el lugar, lo impregna, se deja caer, cierra los ojos y los dedos, estira y separa los dedos de las patas, respira, resopla, se ausenta. Rodeado de seres humanos. Como nosotros.
Ahora lo vemos.
Ahora ya no lo vemos.
Come un cucciolo orfano, smarrito, quando non ha nulla da fare o cercare, è stanco e chiude il ciclo compiendo come un automa il rituale (la mimica di preparare il nido), e prima di consegnare il corpo e la coscienza annusa il suo stesso odore, fa delle giravolte sul posto, lo impregna, si lascia cadere, chiude gli occhi e le dita, distende e separa le dita delle zampe, respira, sbuffa, si assenta. Circondato da esseri umani. Come noi.
Adesso lo vediamo.
Adesso non lo vediamo più.
Como un artificio natural. Un caballo de Troya. Un caballo monstruoso y de aspecto real, plantado como un tornado en un paisaje de postal (palmeras que dibujan un oasis en el pentagrama de arenas), que con ladridos en vez de relinchos dijera: no hay que perder de vista que a pesar de mi extrañeza, traslúcida como la luz, sigo perteneciendo a mi especie.(*) (¿A quién se lo dice? ¿A qué le ladra?)
(*) Franz Kafka, Investigaciones de un perro (1922).
Come un artificio naturale. Un cavallo di Troia. Un cavallo mostruoso e dall’aspetto reale, inserito come un tornado in un paesaggio da cartolina (palme a disegnare un’oasi nel pentagramma della sabbia), che con latrati invece che nitriti dicesse: non bisogna perdere di vista che nonostante la mia stranezza, traslucido come la luce, continuo ad appartenere alla mia specie.(*) (A chi lo dice? A chi abbaia?).
(*) Franz Kafka, Indagini di un cane (1922).
6
Caballos.
Caballos con manchas.
El planeta Marte.
La vida después de la vida,
la ideología después de la ideología,
la religión, en su sentido lato o no,
y el pescador chino tallado en marfil
fijo en su pose, sobre el estante:
“Dale un pescado a un hombre y lo alimentarás un día;
enséñale a pescar y lo alimentarás para siempre”.
Escamas.
Del color.
Escamas del color del arcoiris.
El efecto de. La falta de.
Caballos.
Caballos con manchas
de los que corrieron una, cinco, diez batallas
como una prolongación natural de las políticas
de las instituciones,
del comercio,
del ocio, que desconocen.
Los que sobrevivieron son libres.
Si hay sequía y los pastos están amarillos
van al río, se meten
y comen peces. Como osos.
6
Cavalli.
Cavalli con macchie.
Il pianeta Marte.
La vita dopo la vita,
l’ideologia dopo l’ideologia,
la religione, nel suo senso lato o no,
e il pescatore cinese scolpito nell’avorio
fisso nella sua posa, sullo scaffale:
“Dai un pesce ad un uomo e lo alimenterai un giorno;
insegnagli a pescare e lo alimenterai per sempre.”
Squame.
Del colore.
Squame del colore dell’arcobaleno.
L’effetto di. La mancanza di.
Cavalli.
Cavalli con macchie
di quelli che hanno corso in una, cinque, dieci battaglie
come un prolungamento naturale delle politiche
delle istituzioni,
del commercio,
dell’ozio, che misconoscono.
Quelli sopravvissuti sono liberi.
Se c’è siccità e la pastura è giallastra
vanno verso il fiume, s’immergono
e mangiano pesci. Come orsi.
7
La primera comunidad cristiana organizada, en el siglo I, fue la de Egipto, y la iglesia de Alejandría aventajó a la de Roma, extendiendo la influencia de la nueva fe entre los bárbaros y los celosos clanes del cercano oriente hasta la distante Antioquía, ciudad portuaria cuyo trazado replicaba el plano original de Alejandría, cuna del perro continuo y rival de Atenas, cuna del cinismo que Antístenes impartía en un gimnasio conocido como Cynosarges, nombre que significa “perro blanco” o “perro veloz”, en un círculo de vacío perfecto perfectamente completo; como en una cacería.
Era una carrera desenfrenada.
7
La prima comunità cristiana organizzata, nel I secolo, fu quella dell’Egitto e la Chiesa di Alessandria avvantaggiò quella di Roma, estendendo l’influenza della nuova fede tra i barbari e i clan gelosi del Vicino Oriente fino alla lontana Antiochia, città portuaria il cui tracciato replica il disegno originario di Alessandria, culla del cane tenace e rivale di Atene, culla del cinismo che Antistene impartiva in un ginnasio conosciuto come Cinosarge, nome che significa “cane bianco” o “cane veloce”, in un cerchio di vuoto perfetto perfettamente completo; come in una battuta di caccia.
Era una corsa sfrenata.
8
Dice una noticia en internet (The Georgia Inquire, 10 de mayo de 2015): “Michael Hammons es un sobreviviente de Desert Storm que días atrás hizo justicia por mano propia. / En el agobiante calor primaveral de Georgia, que supera los 82° F, los compradores de un supermercado de productos de descuento vieron que en el estacionamiento había un cachorro encerrado en un auto. / Eran las 2 PM. / De manera que, sin esperar el rescate por parte de las autoridades, y en vistas del riesgo para la salud del can, Hammons retiró una parte de la silla de ruedas de su esposa y rompió la ventana del Mustang para liberar al animal. / Cuando el cronista le preguntó por qué lo había hecho, Hammons respondió: ‘Ya vi demasiada muerte y destrucción’, refiriéndose sin duda a su experiencia en combate”.
8
Recita una notizia in internet (The Georgia Inquire, 10 maggio 2015): “Michael Hammons è un sopravvissuto della Desert Storm che qualche giorno fa si è fatto giustizia da solo. / Nello spossante calore primaverile della Georgia, che supera gli 82° F, gli avventori di un supermercato di prodotti scontati hanno notato che nel parcheggio c’era un cucciolo chiuso in un’auto. / Erano le due del pomeriggio. / Sicché, senza aspettare il salvataggio da parte delle autorità, e in vista del pericolo per la salute del cane, Hammons ha levato via una parte della sedia a rotelle di sua moglie e ha rotto il finestrino della Mustang per liberare l’animale. / Quando il cronista gli ha chiesto il motivo per cui l’aveva fatto, Hammons ha risposto. ‘Ho già visto troppa morte e distruzione’, riferendosi senza dubbio alla sua esperienza nel conflitto”.
12
Ese mismo día, el discípulo escribió lo que le había dicho el maestro: el discípulo puede ser superior al maestro como el perro puede ser mejor que el cazador, el ciervo mejor que el perro que lo persigue, el caballo que el jinete, el instrumento que el músico, los súbditos que el rey.(*)
(*) Epícteto, Enchridion (enseñanzas del estoico anotadas por Flavio Arriano, c. 120).
Quello stesso giorno, il discepolo scrisse ciò che gli aveva detto il maestro: il discepolo può essere superiore al maestro come il cane può essere migliore del cacciatore, il cervo migliore del cane che lo insegue, il cavallo del fantino, lo strumento del musicista, i sudditi del re.(*)
(*) Epitteto, Enchridion (insegnamenti dello stoico annotati da Flavio Arriano, c. 120).
Y a continuación fue anotando este listado de personajes: “Pordioseros, nómades llegados del desierto, desplazados por las guerras, hombres que trabajan de zapatero debajo de una sombrilla raída en cualquier calle, en el hueco de cualquier escalinata de Bab El Oued, zurciendo las suelas de los que tienen un solo par de zapatos y esperan descalzos, mujeres con hiyab que revuelven las parvas de desechos, verdura y fruta podrida, en los alrededores del mercado que ocupa una manzana y tiene cuatro puertas, cuatro bocas o anos, mancos y ciegos cantores, niños sin piernas que hacen teatro con las manos por monedas, hijos e hijas mendigos, padres y madres mendigos, abuelos mendigos con sus nietos, vendedores de revistas ajadas en francés (Paris Match, Vogue), de enchufes usados, suelas de goma, plantillas, cordones y botones, cualquiera de los que en un buen día comen arroz seco embutido en un pan, y entre ellos ningún ladrón, porque robar es pecado”.
Di seguito venne annotando questa lista di personaggi: “Questuanti, nomadi giunti dal deserto, sfollati a causa della guerra, uomini che lavorano come calzolai sotto un logoro parasole di una qualsiasi strada, in uno spazietto di una qualsiasi scalinata di Bab El Oued, riparando le suole di chi ha un solo paio di scarpe e attende scalzo, donne con hiyab che rimestano le pile di robaccia, verdura e frutta marcia, nei dintorni del mercato che occupa un isolato e ha quattro ingressi, quattro bocche o ani, monchi o ciechi cantori, bambini senza gambe che fanno teatro con le mani per qualche moneta, figli e figlie mendicanti, padri e madri mendicanti, nonni mendicanti con i nipoti, venditori di sgualcite riviste in francese (Paris Match, Vogue), di prese usate, suole di gomma, solette, lacci e bottoni, uno qualsiasi di quelli che nella migliore delle giornate mangiano riso asciutto insaccato nel pane; e tra di essi nessun ladro, perché rubare è peccato”.
Cuando levantó la vista, el discípulo vio que se había hecho de noche mientras redactaba, pausada y memorísticamente, lo que después tituló “la lista solar”, porque eran todos hijos del sol infalible, que día a día los baña, los ama y les tiñe la piel hasta dejarla oscura como la almendra, la canela, la seda de la piel de la almendra cocida con vapor de agua y canela al sol.
Quando alzò la vista, il discepolo vide che si era fatta notte mentre era stato a redigere, in modo pausato e mnemonico, ciò che dopo intitolò “la lista solare”, perché erano tutti figli dell’infallibile sole, che giorno dopo giorno li bagna, li ama e li tinge la pelle fino a dorarla come la mandorla, la cannella, la seta della buccia della mandorla cotta al vapore di acqua e cannella al sole.
La lista era toda suya; no del maestro. Podía modificarla, falsearla, hacerle tachaduras, incluso contar una historia.
Inventada por él. Encontrada por él, no el maestro.
La lista era tutta sua; non del maestro. Poteva modificarla, falsificarla, apporle cancellature, anche raccontare una storia.
Inventata da lui. Trovata da lui, non dal maestro.
Y apurado por el hambre, como quien pone la pesca del día sobre la piedra caliente sin ver lo que está haciendo, el discípulo escribió lo que había estado pensando sin pensarlo: “Odio. El odio al otro. / El amor al semejante”.
E incalzato dalla fame, come chi mette il pescato del giorno sulla pietra che scotta senza rendersi conto di ciò che sta facendo, il discepolo scrisse quello a cui aveva pensato senza pensarci: “Odio. L’odio verso l’altro. / L’amore verso il simile”.
|
Traduzione dallo spagnolo di Lucia Cupertino
Bárbara Belloc (Buenos Aires, Argentina, 1968) è poetessa, traduttrice ed editrice. Ha pubblicato i libri di poesia Bla (1992), Sentimental journey (1995), Ambición de las flores (1997), Ira (1999), Orang-utans (2000, in collaborazione con la poetessa Teresa Arijón e nella traduzione inglese di Hilary Gardner), Espantasuegras (2005), Andinista (2009) e Canódromo (2015); la ricerca giornalistica Tribus porteñas (1998); il libro-oggetto Obrero artificial (assieme all’artista plastica Mónica Girón, 2000); la traduzione dal greco del corpus integraler della poesia di Saffo in Poema y fragmentos completos (2006); la traduzione dall’inglese di poesie di Gary Snyder in Todas las palabras para decir roca (2008); numerose traduzioni dal portoghese di poeti brasiliani, tra i quali Waly Salomâo, Angela Melim, Ana Cristina Cesar, Angélica Freitas, Antonio Carlos de Brito e Mario Faustino. Ha tradotto, sempre dal greco, la poesia di Erinna, Praxilla di Sicione, Merò di Bisanzio, Sulpicia e Alceo, dal sanscrito il Prthvisukta (o Inno alla Terra), e dall’inglese poesie di Kim Stafford, Olga Broumas e El mar de coral, di Patti Smith, usciti in antologie e riviste. Ha inoltre tradotto dal portoghese numerosi prosatori brasiliani, come Clarice Lispector, Rubem Fonseca, Hilda Hilst, Andréa del Fuego e Adriana Lisbos, tra gli altri.
Attualmente codirige assiema a Teresa Arijón la collana “Nomadismos”, consacrata ai saggi di artisti brasiliani, della casa editrice Manatial di Buenos Aires, (Argentina), presso la quale ha già editato, tradotto e pubblicato cinque volumi, e la collana “Nomadismos”, di saggi di artisti argentini, con la casa editrice Azougue/Circuito di Río de Janeiro (Brasile), con la quale ha già selezionato e pubblicato otto volumi; è anche coeditrice, con T. Arijón e Manuel Hermelo, del marchio indipendente pato-en-la-cara.
Suoi testi sono stati tradotti in diverse lingue e inclusi in numerose riviste argentine, messicane, spagnole, brasiliane, canadesi e statunitensi.
Blog: glossemata.wordpress.com
Pato-en-la-cara: sites.google.com/site/editorialpatoenlacara
Nomadismos (Argentina): emanantial.com.ar/editorial/libros/listado.aspx?col=11
Nomadismos (Brasile): editoracircuito.com.br/website/colecao-nomadismos
luciacupertino@email.it
|