L’immagine della ragazza sullo schermo del telefonino lo stava invitando a puntare i cinque euro di bonus di ogni inizio partita. “In fondo”, pensò Fausto, “anche se perdo sono soldi che non ho mai avuto. Se vinco, invece, potrò incassare qualcosa senza rischiare niente”. A questo pensiero buttò lo smartphone sulla scrivania lanciandolo come se bruciasse. In tre mesi di astinenza era stato tentato troppe volte dal ricominciare a giocare per non sapere che erano proprio quelli gli argomenti da evitare, quando la bestia, per convincerti a cedere, minimizza il gesto. Sapeva invece che era importante – ai fini della riuscita della terapia – non che perdesse o vincesse ma che quel tasto virtuale del touch screen non venisse schiacciato.
Prese la torcia e si alzò per l’ultimo giro d’ispezione. Il potente fascio di luce metteva in evidenza le curve sinuose di quel miracolo fatto di travi e bulloni, cristallo e cemento, cavi e tiranti. In una notte senza luna, all’interno del parallelepipedo che la conteneva, Fausto, ora lontano dalla tentazione del gioco, guardava ammirato l’immensa struttura sospesa come per magia. Era il risultato di chissà quanti anni di progettazioni e computi.
Era stato attratto da quella costruzione sin da quando ne aveva sentito parlare per la prima volta. La meraviglia verso quel capolavoro cresceva ancor di più al ricordo degli anni delle superiori quando – con immensa difficoltà – aveva studiato le travature reticolari, ovvero due o più travi collegate alle loro estremità in un nodo sul quale grava tutto il peso della costruzione. A dire il vero, quello che ricordava meglio di quell’argomento, era il senso di impotenza che ogni volta provava di fronte a calcoli che, fatti e rifatti, non producevano mai lo stesso risultato. Grande era quindi la stima per l’architetto e i suoi collaboratori, artefici di quella enorme nuvola sospesa da terra che avrebbe ospitato manifestazioni e congressi nella capitale. Gran bel progetto, davvero. Peccato che tutto fosse fermo da tempo perché erano terminati i fondi. Il preventivo originale era cresciuto mano a mano che i lavori avanzavano e quanto era stato costruito fino ad allora rischiava di restare l’ennesima opera incompiuta, l’ultima di cui chissà quale nipote avrebbe visto la realizzazione finita. Al momento perciò, quando la gente parlava di quella nuvola, era solo per significare spreco e ruberie.
Fausto però era contento che quel progetto esistesse e non soltanto per la meraviglia che produceva in lui ma perché quell’opera, a cinquant’anni d’età, gli permetteva di tornare a lavorare.
Da due settimane infatti quello era il suo nuovo impiego: custode notturno di quel cantiere ancora in piedi. C’era talmente tanto materiale pregiato in quella costruzione da fare davvero gola ai tanti ladri di metalli, a quelli che rischiano di rimanere attaccati a una centralina elettrica pur di rubare qualche chilo di rame. E col ferro era quasi la stessa cosa.
Fausto abbassò il fascio di luce verso il cammino che lo avrebbe riportato al container dove c’era la sua postazione. Aveva concluso il giro e tra un paio d’ore Angelo gli avrebbe dato il cambio.
Seduto davanti a sei monitor, su ognuno dei quali venivano trasmesse le immagini di quattro telecamere – ventiquattro occhi disposti fuori e dentro la nuvola –, Fausto aveva ripreso in mano il suo smartphone. Aveva davvero voglia di una scommessa a poker o alle slot ma cedendo avrebbe vanificato tre mesi di sacrifici. Rodolfo lo aveva avvertito: “Mai più giochi online dove ci sono di mezzo i soldi. Quando vuoi ci facciamo una sana partita a briscola o a scopa. Ci guardiamo in faccia e chi vince prende per il culo l’altro, ma per uscire dalla dipendenza, devi smetterla di cercare di battere un avversario invisibile che ha già vinto in partenza. E se mi accorgo che hai infranto il patto ti mollo subito. Non voglio perdere tempo con chi non ha la forza per reagire!”.
Rodolfo c’era già passato e se ne era tirato fuori, conosceva il problema e aveva imparato ad affrontarlo. Anche lui aveva goduto dell’ubriacatura da adrenalina che ti pervade durante il rush finale di una corsa di cavalli o nel premere il bottone della slot machine elettronica. Conosceva il piacere che si prova nel grattare via lo strato di porporina da quei cartoncini maledetti, benedetti invece dallo Stato. E ne era uscito, all’inizio con l’aiuto di un terapeuta fino a farcela da solo. Ma sia all’inizio che alla fine era stata la sua grande forza di volontà a soccorrerlo e a tirarlo fuori dalle sabbie mobili in cui si era cacciato.
Per Fausto invece la difficoltà a trovare l’energia per contrastare gli ostacoli più grandi era sempre stato il suo lato debole. E dire che di motivi per cercare di venirne fuori ne aveva avuti abbastanza. Nel corso degli anni, oltre a perdere il lavoro, aveva dilapidato la piccola eredità che gli avevano lasciato i genitori, un appartamento a due passi dall’università che speravano un giorno sarebbe servito a Matteo, l’unico figlio di Fausto. E per colpa del gioco aveva perso anche la sua famiglia: Simona, comprensiva all’inizio, quando aveva scoperto la debolezza del marito, aveva cercato di aiutarlo finché, preso atto dell’inutilità dei suoi sforzi, lo aveva lasciato portando con sé Matteo.
Fausto aveva passato anni difficili, allo sbando, lontano dall’amore di suo figlio, oramai grande abbastanza da decidere da solo, e da Simona. E tutto questo sempre convivendo con quel vizio che, come alibi, lui mascherava da speranza che la fortuna gli sorridesse dallo schermo del videopoker regalandogli la Scala Reale attraverso la quale avrebbe risalito la china.
In quel periodo era vissuto di espedienti con amici e conoscenti, superstite grazie a piccoli prestiti mai restituiti. Intorno a sé aveva bruciato rapporti e affetti restando da solo in uno squallido residence dal quale alla fine era stato cacciato per morosità.
Per fortuna aveva conosciuto Rodolfo col quale stava provando a combattere la malattia. All’inizio gli aveva trovato piccoli lavori temporanei ma alla fine lo aveva fatto assumere come guardiano notturno di quel cantiere.
“Ecco”, pensava Fausto “riuscire a guarire è il mio progetto, senza calcoli difficili come quelli delle travature. È la costruzione della mia rinascita”. Se avesse fallito non si sarebbe trovato davanti un’opera incompiuta come la nuvola che controllava di notte, avrebbe perso di nuovo tutto: in un attimo la sua, di nuvola, sarebbe stata spazzata via come in un giorno di tramontana e con lei tutta la poca forza che lentamente, con sacrificio aveva riacquisito.
Adesso sì che era soddisfatto, Il disegno era chiaro e non poteva sbagliare. Una volta completata la missione forse Matteo lo avrebbe riabbracciato guardandolo negli occhi e chissà che anche Simona… ma non voleva correre troppo con la fantasia, però, quello sì, poteva aggiungere ancora un pizzico di stima per sé stesso.
Allora prese il telefonino e scorse tra le varie applicazioni fino a trovare quella che aveva chiuso poco prima. Adesso che era consapevole che il gioco non lo avrebbe più schiavizzato poteva permettersi una partita e forse vincere anche qualche euro.
Fausto premette il pulsante GIOCA! dimenticando la prima regola che Rodolfo gli aveva insegnato: il momento di maggior debolezza è proprio quando credi di avercela fatta.
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