FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia

Numero 39
luglio/settembre 2015

Svaghi & Feste

 

IL MISTERO DELLA QUOTIDIANITÀ
La poesia di Jozefina Dautbegović

di Sanja Roić e Ginevra Pugliese



Parlare della poesia di Jozefina Dautbegović (1948 - 2008) per le autrici di questo contributo non è facile per diversi motivi. È stata una nostra amica, ed è stata una persona e una personalità straordinaria.
La sua identità plurima s’iscrive in uno spazio geografico e culturale che non c’è più, o apparentemente non esiste più. Per nascita, formazione, scelte di vita la poetessa appartiene alle culture che al presente vogliono ritenersi autonome e che spesso (fortunatamente, non del tutto) negano l’incontro, persino gli incontri avvenuti nel passato. I critici croati sostengono che la poetessa abbia avuto le maggiori conferme della propria affermazione letteraria nel contesto della poesia contemporanea croata dopo l’esperienza tragica dell’esilio dalla Bosnia nel 1992, mentre i critici bosniaci affermano che le sue raccolte appartengono alla migliore poesia bosniaco-erzegovese, nell’ambito della quale lavorava e scriveva fino a quella data. La cesura di quell’anno zero è implicita in molte atmosfere dei suoi componimenti posteriori. Ancora dopo due decenni dalla fine del conflitto molte questioni restano aperte.
Comunque sia, in occasione di un festival di poesia che ha avuto luogo qualche anno fa a Zagabria il poeta americano Jack Hirschman, dopo aver letto una voluminosa antologia di poeti croati in traduzione inglese, ha esclamato indicando una poesia di Jozefina: “look, she is the best!”

Jozefina ha pubblicato otto libri di poesie, quattro prima e quattro dopo l’esilio. L’ultimo in ordine cronologico è stato Različite ljubavi (Amori diversi), uscito nel 2004 a Zagabria. Ha pubblicato anche un volume di racconti, Čovjek koji je kupovao kuću (L’uomo che comprava la casa, Zagabria, 2006). In italiano sono uscite due sue raccolte poetiche: Il tempo degli spaventapasseri (trad. a cura di Neval Berber, Verona, 2008) e La televisione di Dio (trad. a cura di Ginevra Pugliese, Venezia, 2009). Le sue poesie sono state tradotte in italiano, inglese, francese, tedesco, polacco, svedese, macedone e sloveno.

Il linguaggio poetico di Jozefina Dautbegović è nudo, aspro, e il velo di tenerezza che ogni tanto vi traspare si capovolge quasi immediatamente in discorso ironico e autoironico (in ogni caso opposto al discorso del più frequente io poetico al femminile iperbolico o autoreferenziale). Al contrario, la critica ha già messo in evidenza il minimalismo dei suoi mezzi espressivi, la condensazione emozionale e cognitiva e anche la coscienza peculiare della parola poetica, assieme al corpo e alla mente che la sta formulando. È come se i suoi testi poetici avessero una propria forma prima di essere scritti, come se possedessero un loro immanente peso specifico che, a testo concluso, viene offerto per essere misurato a chi ascolta o a chi legge. Versi che operano una diagnosi, che fanno ricordare la precisione della migliore poesia del Novecento, con una punta conclusiva, spesso amara e dolce allo stesso tempo, che si scioglie nell’acutezza non di rado ossimorica. Per il suo nichilismo e assenza di qualsiasi riscatto consolatorio (già la prima raccolta portava il titolo di una terribile pianta velenosa!), per la precisione del suo linguaggio poetico si potrebbe parlare anche di parentele poetiche con il pessimismo. Per questo io poetico è importante conoscere anche quando la conoscenza fa male, esplorare gli spazi della propria infelicità anche quando ciò comporta un’infelicità maggiore.

Il linguaggio poetico nel quale si esprimono i suoi versi tetri e sereni allo stesso tempo possiede un’estrema chiarezza. Sorprendentemente, sono privi di interpunzione: vengono chiusi da un solo punto conclusivo, nel testo poetico solo qualche parentesi, puntini di sospensione e date sparse che lo accompagnano. Le ultime due poesie della presente silloge sono il suo testamento poetico, ricche di presentimenti (l’isola come corpo staccato sofferente, immerso nella vastità del mare notturno ed estraneo), sono state scritte durante la sua ultima estate trascorsa a Stari Grad sull’isola di Hvar (Lesina). Il lettore attento osserverà che nell’ultima mancano il titolo e il punto finale, caratteristici per i suoi componimenti. Tornata a Zagabria li portava nella borsetta per ritoccarli ancora, e non è riuscita a finirli.

Jozefina non aveva mai visitato Venezia, e siamo molto grate a Bianca Tarozzi che ha sostenuto il progetto della raccolta veneziana che, purtroppo, l’Autrice non ha potuto vedere. Sul risvolto di copertina de La televisione di Dio Bianca Tarozzi ha scritto: “Jozefina andava appunto al di là: per questo la sua poesia che va al di là di ciò che ci si aspetta dalla poesia, resterà sempre con noi.”

Sanja Roić




POESIE DI JOZEFINA DAUTBEGOVIĆ



Dalla raccolta Pranzo con Ponzio (1994)


JEDAN OD NAČINA

Sviđao ti se samo
način
na koji sam ispunjavala
ljetnu haljinu
dok je vani vjetar
okretao na jugo.

Zagreb, 26. 06. 1994.


UNO DEI MODI

Ti piaceva soltanto
il modo
in cui riempivo
il vestito estivo
mentre fuori il vento
volgeva a scirocco.

Zagabria, 26/06/1994


IZBJEGLIČKA

Konačno privid slobode
Vlasnici stana su otputovali na vikend
da se odmore
Ručat ćemo sami
U frižideru se hladi konzerva
s uputom za spravljanje
na nama nepoznatom jeziku
Konopac je slobodan
možemo objesiti rublje ili…
Konopac je uostalom katkad slobodan
Posjedujemo žute kartone možemo otputovati
u drugi dio grada u Maksimir na primjer
i gledati kako se hrane
životinje
Za večeru imamo loše vijesti iz domovine
i mlijeko u prahu
Možda će biti bolje nego jučer
Jučer nismo nikako jeli
jer je policija provjeravala naš identitet
i strogo nas ukorila
Nije važno što ste Hrvati
vi ste u stranoj zemlji
i ne smijete tako često zvati MUP
zbog domovnica
Imamo rješenje kažemo
misleći na konopac
Oni odlaze
Mlijeko u prahu se zgrudalo od vlage
Nije važno
zdravo je katkad preskočiti večeru.

Zagreb 1993.


POESIA PROFUGA

Finalmente la parvenza della libertà
I proprietari dell’appartamento sono partiti per un fine settimana
di riposo
Pranzeremo da soli
Nel frigorifero si raffredda il cibo in scatola
con le istruzioni di preparazione
in una lingua a noi sconosciuta
La corda è libera
possiamo appenderci il bucato o…
La corda è comunque libera qualche volta
Possediamo le tessere gialle possiamo andare
in un’altra parte della città a Maksimir per esempio
e guardare come si nutrono
gli animali
Per cena abbiamo brutte notizie dalla patria
e latte in polvere
Forse sarà meglio di ieri
Ieri non abbiamo mangiato affatto
perché la polizia era venuta a controllare la nostra identità
e ci aveva severamente rimproverato
Non importa se siete croati
voi siete in un paese straniero
e non potete chiamare in continuazione la Questura
per la cittadinanza
Abbiamo la soluzione diciamo
pensando alla corda
Loro se ne vanno
Il latte in polvere è ammuffito
Non importa
fa bene qualche volta saltare la cena.

Zagabria, 1993


DRUGA IZBJEGLIČKA

Bili su to mladi momci čekali su me
više od sata u tuđem stanu
kako bi provjerili nalikuje li zaista
moje lice na lice anđela
sa slika starih majstora
kao što sam pisala u ono vrijeme
kad su anđeli bili zakonom zabranjeni
To je bila sasvim nova policija
u duhu novog vremena
Iz mojih nevažećih isprava su doznali
da sam godište njihovih punica
i da ne znam koliko sam stara
Zaista su bili gospoda nisu imali vremena
Rekli su postoji taksi gospođo
Znam kažem držeći paket humanitarne pomoći
a plave zvijezde poredale u krug
s paketa kruže oko moje glave
približavajući svemir
Sigurno i oni vide aureolu mislim
To je neka pogreška gospodo
nisam ja još rođena
Tek dolaze mudraci da najave
želite li sa mnom dočekati dolazak
Gašpara Melkiora i onog trećeg
kako li se zvaše.

Zagreb, 1993.


SECONDA POESIA PROFUGA

Erano dei giovanotti mi avevano aspettato
per più di un’ora in un appartamento altrui
per vedere se la mia faccia assomigliava davvero
alla faccia dell’angelo
dai quadri di antichi maestri
come avevo scritto allora
quando gli angeli erano vietati dalla legge
Si trattava di una polizia del tutto nuova
nello spirito dei nuovi tempi
Dai miei documenti non validi avevano saputo
che sono dell’anno delle loro suocere
e che non so la mia età
Erano davvero dei signori non avevano tempo
Hanno detto esiste il taxi signora
Lo so dico tenendo il pacchetto degli aiuti umanitari
mentre le stelle azzurre del pacchetto
sistemate in cerchio mi girano attorno alla testa
avvicinando l’universo
Di sicuro anche loro vedono l’aureola penso
Si tratta di uno sbaglio signori
io non sono ancora nata
Stanno appena arrivando i magi ad annunciare
volete aspettare con me l’arrivo
di Gaspare Melchiorre e di quel terzo
com’è che si chiamava.

Zagabria, 1993


DAN KAD JE SAMOSTAN S PLEHANA SELIO NA NEBESA

Dan je bio blag
kažu očevici
kad se bijeli oblak digao prema nebu
Prvo se sav križni put
ne svojom voljom vinuo k nebesima
Na začelju je Isus po običaju
sam nosio svoj križ
Gospa je sa sedam žalosti
pokrila oči
S ljiljanom u zubima sveti Anto je tražio
zaboravljenog
iza teških vrata krstionice mladog Boga
Sveti Marko je odbio iseliti se
On je patron a u svakom događaju moraju postojati svjedoci
radi vjerodostojnosti priče
Mozaik iza glavnog oltara na kom su
milošću autora prikazani utemeljitelji samostana
razgradio se u tisuće raznobojnih kamičaka
Svaki je u ćeliji ponio svijest o tome
čak i ako autor preživi nikad se neće naći
za istim stolom
na slici
Kad je samostan s Plehana selio na nebesa
ostavio je klecalo za one
koji se na vrijeme pokaju
u što je i mali Isus na leđima svetog Ante
duboko sumnjao
Svi su se manji sveci distancirali od zemlje
To je donekle bilo razumljivo
jer su imali rezervnu domovinu
Na kestenu ispred samostana
ostala su oba zvona
obješena
Zadnje što je klečeći vidio
zaštitnik samostana sveti Marko
bilo je sunce kroz dim
bijelo i tanko
kao hostija.

Zagreb, 1993.


IL GIORNO IN CUI IL MONASTERO DA PLEHAN (*) SALÌ IN CIELO

Il giorno era placido
dicono i testimoni
quando la bianca nuvola si alzò verso il cielo
Per prima tutta la via crucis
senza volerlo si sollevò verso il cielo
In coda c’era Gesù che come di consueto
portava da solo la propria croce
La Madonna con i sette dolori
si coprì gli occhi
Con il giglio fra i denti Sant’Antonio cercava
dietro le pesanti porte del battistero il giovane Dio
dimenticato
San Marco si rifiutò di partire
Lui è il patrono e in ogni evento devono esserci testimoni
per la credibilità del racconto
Il mosaico dietro l’altare principale su cui
per grazia dell’autore sono raffigurati i fondatori del monastero
si scompose in migliaia di pietruzze colorate
Ogni tassello era consapevole che
anche se l’autore fosse sopravvissuto non si sarebbe mai trovato
dietro lo stesso tavolo
sull’immagine
Quando il monastero da Plehan salì in cielo
lasciò l’inginocchiatoio per quelli
che si pentono in tempo
di ciò anche Gesù bambino portato sulle spalle da Sant’Antonio
dubitava fortemente
Tutti i santi minori si allontanarono dalla terra
Ed era in un certo senso comprensibile
perché avevano una patria di riserva
Sul castagno davanti al monastero
rimasero entrambe le campane
appese
L’ultima cosa che in ginocchio vide
San Marco il protettore del monastero
fu il sole attraverso il fumo
bianco e sottile
come un’ostia.

Zagabria, 1993

(*)Plehan, colle nella Bosnia occidentale sul quale
si trovava il monastero francescano di S. Marco.


GOVORIMO RAZLIČITIM JEZIKOM

Tvoj jezik dotiče membranu
u mome uhu
Dok ispod haljine tražiš neravnine
tri se zavjetna uzla
na mome nevidljivog pasu
umnožavaju
skraćujući mogućnost
Govorimo različitim jezikom
razlikujemo se u bitnim stvarima
Način na koji izgovaraš moje ime
Jezik koji ti kod glasa Z
postaje sabljast
Učinivši znak križa pokušavam izreći
Apage in nomine
U ruci držim pas sa zavjetnim čvorovima
Siromaštvo... siromaštvo
Čistoća...
Za što li sam treći zavezala?

Zagreb, 1993.


PARLIAMO LINGUE DIVERSE

La tua lingua tocca la membrana
nel mio orecchio
Mentre sotto il vestito cerchi le sporgenze
tre nodi votivi
sulla mia cintura invisibile
si moltiplicano
Parliamo lingue diverse
ci differenziamo in cose importanti
Il modo in cui pronunci il mio nome
La tua lingua nel suono Z
diventa a sciabola
Facendomi il segno della croce cerco di recitare
Apage in nomine
In mano tengo la cintola con i nodi invisibili
Povertà… Povertà…
Castità…
Per quale cosa ho fatto il terzo?

Zagabria, 1993


OTVORI PROZOR

Jedna za drugom vani padaju iluzije
Otvori prozor
Vani mokar od suza stoji
moj posrnuli anđeo
i moli
za tvoje iskupljenje
Vani pada čista rosa
i ruši se mrak na krovove
Otvori prozor
Iza grma čije smo pupanje zajedno gledali
stoji ubog i bos
i hladno mu je
Zovi ga
Na sve se blage riječi odzivlje
Vani se zgrušnjava noć
i zvijezde padaju na prljav asfalt
Po uličnim kutovima kamo ne dopire svjetlost
stanuju beskućnici u cipelama
Moj anđeo je izgubio više
od doma i milosrđa
Ako se odazove
imamo još jednu mogućnost.

Zagreb, 13. III. 1993.


APRI LA FINESTRA

Una dopo l’altra fuori cadono le illusioni
Apri la finestra
Fuori bagnato di lacrime se ne sta
il mio angelo caduto
e prega
per la tua redenzione
Fuori cade pura rugiada
e crolla il buio sui tetti
Apri la finestra
Dietro al cespuglio le cui gemme guardavamo insieme
se ne sta misero e scalzo
e ha freddo
Chiamalo
A tutte le parole tenere risponde
Fuori si addensa la notte
e le stelle cadono sull’asfalto sporco
Negli angoli delle strade dove la luce non arriva
abitano i senzatetto con le scarpe
Il mio angelo ha perso più
della casa e della misericordia
Se risponde
abbiamo ancora una possibilità.

Zagabria, 13/03/1993


Dalla raccolta Scene da un mosaico pavimentale (1997)


POZNAT PRIZOR

Otputovala sam konačno iz toga grada
otišla sam dovoljno daleko
nikad se neću vratiti
ponavljam mehanički kao što se uči
tablica množenja uloga u kazalištu
ili popis stvari za kupovinu
Ali kućni me duh
kao vjeran pas
liže od dragosti
kad god pomislim
na povratak.

Zagreb, 5. XII. 1995.


SCENA FAMILIARE

Me ne sono andata alla fine da quella città
mi sono allontanata abbastanza
non ci tornerò mai
ripeto meccanicamente come quando si imparano
le tabelline la parte per uno spettacolo teatrale
o la lista della spesa
Ma lo spirito della casa
come un cane fedele
mi lecca di gioia
ogni volta che penso
al ritorno.

Zagabria, 5/12/1995


NEPRILAGOĐEN PRIZOR

Ponašam se kao sat koji i dalje
tvrdoglavo odbrojava vrijeme
unatoč činjenici da su kuću
odavno svi napustili
A što ću reći ako mi se
jednoga dana pojave na vratima
istovremeno
svi prosjaci pokraj kojih sam
bez samilosti prolazila
Ili još gore
Ponašam se kao drvo od kojeg je
davno napravljen prozorski okvir
a ono nesvjesno nove uloge
još uvijek luči onu istu smolu
koja se svaki put ponovno skameni
na dnu pukotine
A što ću odgovoriti ako mi se ti
jednoga dana pojaviš na vratima
s pitanjem
u što sam potrošila radost
koju si mi donosio.

Zagreb, 12. VI. 1996.


SCENA INADEGUATA

Mi comporto come un orologio che continua
cocciutamente a scandire il tempo
nonostante la casa
da molti anni ormai sia stata abbandonata da tutti
Ma cosa dirò se
un giorno compariranno alla mia porta
contemporaneamente
tutti i mendicanti accanto ai quali
ero passata senza compassione
O ancora peggio
Mi comporto come un albero dal quale
ormai da molto è stata fatta la cornice di una finestra
ma esso inconsapevole del nuovo ruolo
continua a secernere la stessa resina
che ogni volta si pietrifica nuovamente
nel fondo della fessura
Ma cosa risponderò se
un giorno mi comparirai alla porta
domandandomi
in cosa ho sciupato la gioia
che mi portavi.

Zagabria, 12/06/1996


PRIZOR ISPOD KREVETA

Tu u pravilu stanuje prašina i paučina
do subote ujutro kad dolazi red na njega
Duboko u mraku boravi kutija od cipela
unutra nekoliko pisama papirići koji su izgubili na važnosti
jedan suh cvijet i fotografije
Sve je čvrsto zavezano špagom
na mrtvi čvor
Duša onog s fotografije katkad osjeti na poklopcu
Sipanje prašine u većim količinama
Reagira različito prema raspoloženju
Trebalo bi razbiti nos tom kretenu iznad
Uostalom bilo je davno

Još uvijek čuvaš te gluposti
drugi put idu ravno u kontejner i stopicom usisavača
gura u najcrnji kut glupu kutiju

Kad ona briše prašinu obično čučeći
prilično usporenim kretnjama
kutiju od cipela drži u krilu

Ako se iz sobe čuje glasan smijeh
to djeca pokazuju jedno drugome uši onoga na fotografiji
ona dotle u kuhinji pori ribu a riblje je oči
gledaju s nevjericom.

Zagreb, 4. X. 1995.


SCENA SOTTO IL LETTO

Qui di regola abitano la polvere e le ragnatele
fino al sabato mattina quando arriva il suo turno
Nel buio profondo dimora una scatola di scarpe
dentro alcune lettere bigliettini senza più importanza
un fiore secco e fotografie
Tutto è legato stretto con lo spago
su un nodo morto
L’anima di quello della fotografia a volte sente sul coperchio
la polvere che vi si appoggia sopra in gran quantità
Reagisce diversamente a seconda dell’umore
Bisognerebbe rompere il naso a quel cretino di sopra
Ma è successo tanto tempo fa

Ancora conservi queste stupidaggini
la prossima volta finiscono dritte nella spazzatura e con il piede dell’aspirapolvere
spinge nell’angolo più buio la stupida scatola

Quando lei spolvera di solito accucciandosi
con movimenti lenti
la scatola delle scarpe la tiene in grembo

Se dalla stanza si sente una fragorosa risata
vuol dire che i bambini stanno indicando le orecchie di quello della foto
Lei intanto in cucina sta pulendo il pesce i cui occhi
la guardano increduli.

Zagabria, 4/10/1995


PRIZOR IZ ČEKAONICE

Mladić s nogom u gipsu stoji
oslonjen na dovratak ordinacije
Dijete uplašeno gleda u mladićevu nogu
i gura glavu majci pod pazuho

Stisnuti u kutu čekaonice
umirovljenici vrlo diskretno
razmjenjuju liječničke nalaze
kao ljubavne poruke.

Zagreb, 25. IX. 1995.


SCENA DALLA SALA D’ASPETTO

Il ragazzo con la gamba ingessata sta
appoggiato allo stipite della porta dell’ambulatorio
Un bimbo guarda impaurito la gamba del ragazzo
e spinge la testa sotto l’ascella della madre

Stretti in un angolo della sala d’aspetto
i pensionati molto discretamente
si scambiano i referti medici
come messaggi d’amore.

Zagabria, 25/9/1995


O POVRATKU

Istina dođu neki
ali tako izmijenjeni
kao da su poslali prijatelja
koji poznaje detalje
iz razgovora
Sve o povratku je izmišljotina
Istina dođu neki
i uporno traže stabla
što su rasla u njihovu sjećanju
na vrlo čudnim mjestima
Istina dođu neki i tvrde
kako je baš na tom mjestu
bila kuća kroz čije su prozore
godišnja doba ulazila
istovremeno
Prisutni sažaljivo vrte glavama
Istina dođu neki
i računaju kako su se vratili
a stignu samo malo prije
svog sprovoda.

Zagreb, 21. II. 1995.


SUL RITORNO

È vero alcuni tornano
ma così cambiati
come se avessero mandato un amico
che conosce i dettagli
dai discorsi
Tutto sul ritorno è un’invenzione
È vero alcuni tornano
e assiduamente cercano gli alberi
che crescevano nella loro memoria
in posti molto strani
È vero alcuni tornano e sostengono
che proprio in quel punto
c’era una casa dalle cui finestre
entravano le stagioni
contemporaneamente
I presenti con commiserazione scuotono la testa  
È vero alcuni tornano
e sono convinti di essere tornati
ma arrivano solo poco prima
del proprio funerale.

Zagabria, 21/02/1995


ULTIME POESIE


TUGA OTOKA

Sâm sam
Noću ne znam plovim li ili stojim
Dođu ribe do moje obale, dotaknu me
i šute
Dođe vjetar uznemiri me i ode
Ptice također
Tako je malo radosti u mojim otegnutim pjesmama
još je manje svjetiljaka noću
Svjetionik na mojoj litici
svijetli onima koji me zaobilaze.
Zatvorim se u kamen i šutim
Plačem smolom četinara
bijelim sokom dozrelih smokava
Sve mi se pri dnu stvrdnjava
Ujesen kad svi odu krvarim narom
More se danju pretvara da me bezazleno zapljuskuje
a noću me podmuklo podriva i glođe
Zvijezde razvodnjene mjesec lelujav i hladan
Nemam uporišta mogu vrištati samo uvis
Sav sam slan i peče me
Čujem kako govore o ljepoti drugog otoka
Nikad neću saznati koliko je morskih milja od mene
i koliko je duboko njegovo beznađe.

Zagreb, 29.9.2008.


LA TRISTEZZA DELL’ISOLA

Sono sola
Di notte non so se navigo o se sto ferma
Arrivano i pesci fino alla mia sponda, mi toccano
e tacciono
Arriva il vento mi agita e se ne va
Gli uccelli anche
C’è così poca gioia nei miei canti strascicati
Ci sono sempre meno lampioni di notte
Il faro sul mio scoglio
Manda luce a quelli che mi scansano.
Mi chiudo nella pietra e taccio
Piango con la resina delle conifere
con il bianco succo dei fichi maturi
Tutto verso il fondo mi si solidifica
In autunno quando tutti se ne vanno sanguino dal melograno
Il mare di giorno finge ingenuo di schizzarmi
ma di notte subdolo mi scalfisce e mi erode
Le stelle annacquate la luna fluttuante e fredda
Non ho un appiglio posso gridare solo in alto
Sono tutta salata e mi brucia
Sento che parlano della bellezza di un’altra isola
Non saprò mai a quante miglia marine dista da me
e quanto è profonda la sua disperazione.

Zagabria, 29/09/2008


*

Stojiš mi na vrh pera
svako napisano slovo ima
tvoju tužnu sjenu
a ja trebam biti odgovorna za sadržaj
Nikad nisam bila mrtvija
S onog ti svijeta pišem nasumične riječi
sklopi ih u smisao i slobodno se potpiši
kanjon srna ljubav dah stara prašina strah jablan
iluzija daljina most zaborav
Koja te od njih boli
bez mene
Strahujem
izdat će me rijeka
san na koji se naslanjam
glas zauzeto u telefonskoj slušalici
Izdat će me raspored kućnih predmeta
moja nesanica znojan dlan
pogled prema poznatom pejsažu koji nije isti
ali podsjeća

DOVRŠITI
28.9.2008.


*

Mi stai sulla punta della penna
ogni lettera scritta ha
la tua triste ombra
e io devo essere responsabile del contenuto
Non sono mai stata più morta
Dall’altro mondo ti scrivo parole a casaccio
dà loro un senso e mettici pure la firma
vallata capriolo amore respiro vecchia polvere paura pioppo
illusione lontananza ponte oblio
Quale di loro ti duole
senza di me
Ho paura
mi tradirà il fiume
il sogno su cui mi appoggio
il suono occupato nella cornetta del telefono
Mi tradirà la disposizione degli oggetti casalinghi
la mia insonnia il palmo sudato
lo sguardo su un paesaggio conosciuto che non è lo stesso
ma lo ricorda

DA FINIRE
28/09/2008


Traduzione dal croato di Ginevra Pugliese




Jozefina Dautbegović
è nata nel 1948 nella Bosnia settentrionale. Laureata in filologia e storia a Slavonski Brod, fino allo scoppio della guerra nella ex-Jugoslavia è vissuta a Doboj, città della Bosnia centrale, situata sul fiume Bosna, dove ha lavorato come docente e bibliotecaria. La sua prima raccolta di poesie Čemerike (Veratri) esce nel 1979.
Nel 1992 ha dovuto lasciare la propria casa, libri e manoscritti e rifugiarsi con il marito in Croazia. Jozefina possedeva un’identità plurima per nascita, formazione, scelte di vita: incontro di culture vicine e complementari nell’espressione di una lingua che è comune a un’area geografica più vasta dei confini nazionali. A Zagabria lavorava nel Centro di documentazione dei Musei e curava la rivista Informatica Museologica.
È scomparsa improvvisamente il 27 novembre 2008.


ginevra.pugliese@gmail.com
roic@zamir.net