i. L’importuno
L’amata siluette che nudo il piede
alla festa la scarpìna allacciata
tenera distende e flette, lieve,
alta la nuca espone bianca, alata,
e indugia nella curva elegante
del corpo intero che la disegna,
elargendo un suo sorriso distante
all’amico che s’avvicina, e segna.
D’impeto colto alla bella s’affianca
l’uomo felice, prorompendo un fiume
di parole argute. Che presto mute
le costringe però la Musa stanca
ch’un attimo illude di buona sorte
ma sola una cauta forma sopporta:
di beltà sommessa la sala effonde,
silente risplende e tutti confonde.
L’agile volo di vita e del fianco
lascia l’amico, leggiadra lei siede,
velluto di perla al rosso congiunge:
è un restar di sasso, quasi un ammanco,
il giro di gonna a chi se n’avvede,
nudo lo stacco brucia i sensi, e punge.
ii. La fuga
Allorquando la festa popolare
s’appronta e ferace il mondo si stringe
concordemente degno a celebrare
la giostra gaia ch’ai volti amor dipinge,
come una coltre severa, e cupa
intorno il tuo cuore s’addensa e muta
la dolce curva della desiata rima
in rinserrate labbra. E ben prima
ch’umana mente colga via di fuga,
la tua anima già la persegue scabra
in ricerca vaga di solitùdine
e lontananza: la ferrea incùdine
dove si batte il chiodo alla trama
d’insofferenze e del dolor che ruga.
iii. L’ultima festa
Amor che più non amo, io ti prego
lasciami libero il cuor d’inseguire
il sogno del vago e acuto sentire,
ormai l’indugio è un vano ripiego
che onore non fa a chi non sa mentire;
come la sabbia la schiuma del mare
le giornate trascorse, gaie ed amare,
il nulla le accolse sino a svanire.
A nulla ti vale il pianto o la rabbia,
strépere e dire e ribattere ancora
e ancora accusare o pur dubitare:
sia questa la festa che apre la gabbia,
si sciolgan le nostre vite sin d’ora,
il mondo ne accetti il nuovo tentare!
Sì vada a terminare
quel tempo d’inganni che il disamore
tesse e trama d’affanni e di rancore.
Genova, luglio 2015
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