José Eduardo Degrazia, poeta e narratore brasiliano, nonché medico oftalmologo, nasce a Porto Alegre nel 1951. È membro dell’Accademia Rio-Grandense di Lettere e ha pubblicato vari volumi di poesia, fra i quali Lavra Permanente (1975), Cidade Submersa (1979), A porta do sol (l982), O Amor essa Palavra (1982), Piano Arcano (1999), Três livros de poesia (antologia, 2002), A urna Guarani (2004), Um animal espera (2010), Corpo do Brasil (2011), A flor fugaz (2011), Nova Iorque – New York (2014). Ha dato alle stampe anche racconti, romanzi e libri per l’infanzia ed è presente in importanti antologie della poesia brasiliana contemporanea. In Italia sono uscite due raccolte, Lavoro Perenne (Trieste, 1996) e Pioggia antica (Franco Puzzo Editore, 2013), entrambe curate da Gaetano Longo. L’autore ha vinto prestigiosi premi in Brasile e all’estero, in Italia ha ricevuto nel 2013 il Premio Internazionale Trieste di Poesia.
In lui, parallela alla genesi poetica, troviamo il certosino lavoro del traduttore di grandi scrittori, molti dei quali di lingua spagnola, come Pablo Neruda. È come se tra un libro e l’altro il poeta avesse bisogno di estraniarsi da se stesso, stabilendo un dialogo vivo con altri autori. Il contatto con poeti di lingua spagnola latinoamericani è probabilmente favorito non solo dalla posizione geografica della regione in cui è nato e cresciuto, al confine con l’Argentina, il Paraguay e l’Uruguay, ma anche dalla sua straordinaria apertura, curiosità e disponibilità ad accogliere l’altro, il che fa sì che rompa le frontiere tradizionali che da sempre separano gli scrittori di lingua portoghese da quelli di lingua spagnola, frontiera che si è proiettata dal Portogallo e dalla Spagna sulle loro colonie sudamericane e che dura fin quasi ai nostri giorni.
È ampio il ventaglio di temi toccati dalla poesia di José Eduardo Degrazia. Alle sue radici riograndensi, legate alla tradizione regionale del sud del Brasile, associa e fonde una vasta conoscenza e la frequentazione dei più grandi lirici di lingua portoghese, come Manuel Bandeira, João Cabral de Melo Neto, Carlos Drummond de Andrade, nonché di autori contemporanei di vari paesi.
Nel libro Lavra permanente, del 1975, uno dei più citati e noti, il tema è l’immigrazione italiana nel sud del Brasile e l’autore tesse l’opera come se, empaticamente, fosse tornato indietro nel tempo e fosse diventato egli stesso il migrante che lascia con dolore la propria terra in cerca di fortuna in un altrove incerto:
Il titolo, Lavra permamente, allude al lavoro ininterrotto del migrante in una terra che deve dissodare con fatica e sudore. Ed è questo lavoro, mosso dalla speranza di un futuro più dignitoso, a rendere Rio Grande do Sul una delle regioni oggi fra le più prospere del Brasile. Eppure non interessa all’autore cantare solo la saga di un popolo tenace e coraggioso, bensì narrare il lavoro minuto di ognuno nella sua lotta quotidiana e nella sua solitudine: “Os retratos/ na arca lembram/ os avós deixados,/ o laço desfeito,/ lágrima derramada” [I ritratti/ nel baule ricordavano/ gli avi lasciati,/ il legame disfatto,/ la lacrima sparsa].{2}
In un’altra raccolta, A urna guarani, del 2004, identico è lo sforzo, identico il dolore, ma questa volta è l’indio il soggetto, l’originario abitante di quelle terre delle quali nei secoli fu espropriato, relegato ai margini, ramingo nella sua stessa patria. Afferma Eduardo dall’Alba, nella prefazione alla raccolta, che essa, come altri libri dell’autore, assume il compromesso di “dar voz aos que não puderam se expressar, dar-lhes ao menos, senão o consolo de uma vida melhor, a dignidade da palavra que reordena o mundo” [dare voce a coloro che non hanno potuto esprimersi, dar loro almeno, se non la consolazione di una vita migliore, la dignità della parola che riordina il mondo.]{3} Qui, come altrove, José Eduardo Degrazia recupera la voce e le parole dimenticate dalla storia e le fa rivivere e risuonare nella nostra memoria collettiva, alquanto distratta e spesso indifferente.
Recentemente, in un incontro che si è tenuto all’Università degli Studi di Perugia, dovendo proporre un titolo per la serata, ho scelto “A nitidez das coisas” [la nitidezza delle cose]. La nitidezza delle cose è ciò che cerca il poeta, nel passato come nel presente, ed essa si esprime in un verbo chiaro, senza retorica, conciso, denso, melodioso.
La sua è poesia delle cose e del mondo, parola impegnata con l’umano, ma non in senso ideologico o politico. Essa aderisce alla superficie e ai corpi in attesa che dischiudano il loro mistero, l’enigma dell’essere e dello stare qui, ora. È poesia che viaggia nella memoria e nella storia collettiva, ma si sofferma anche sul singolo individuo, sulle sue paure e angosce, sulla fragilità di ogni essere dinanzi al rifiuto e al dolore. In realtà, in ogni momento della storia, è il grande mistero delle piccole cose che cerca il poeta, le piccole epifanie di ogni giorno alle quali non si fa abbastanza attenzione. E la poesia coglie il fragile e breve momento che passa e non si ripete, lo sguardo di qualcuno che si incrocia per strada, il saluto del bambino nell’autobus di passaggio, un cane che lecca la mano del mendicante, la notte silenziosa, la pioggia che cade all’improvviso, il caffè che si beve da soli, i fantasmi che bussano alla memoria. Per tutto ha orecchio e attenzione l’autore, il mondo abita la sua parola, la poesia lo abita:
O MENDIGO E O CÃO
O cachorro e o mendigo comem na calçada. O cão é preto e morde um osso, o dono veste trapos e come um pão. Restos de papelão: sinais da cama onde passaram a noite. A garrafa no cordão da calçada: o homem toma um gole, e ri para os carros que passam. O sol de inverno é fraco, mas esquenta. O mendigo se encosta na parede, parece feliz. O cão pula no seu colo: um olho aberto, o outro fechado Controla o movimento, cão de guarda que é. O mendigo fecha os olhos e dorme. O cão lambe a mão.
[IL MENDICANTE E IL CANE
Il cane e il mendicante mangiano per terra. Il cane è nero e morde un osso, il padrone vestito di stracci mangia del pane. Pezzi di cartone: tracce del letto dove hanno passato la notte. La bottiglia sul bordo del marciapiede: l’uomo beve un sorso, e ride alle macchine che passano. Il sole invernale è debole, ma scalda. Il mendicante s’appoggia al muro, sembra felice. Il cane gli salta in grembo: un occhio aperto, l’altro chiuso, controlla i movimenti, come un bravo cane da guardia. Il mendicante chiude gli occhi e dorme. Il cane gli lecca la mano.]{4}
{1}José Eduardo Degrazia, Lavra permanente: poesia sobre imigração, Porto Alegre, Sagra-DC Luzzatto e Instituto Estadual do Livro, 1996, pp. 38-39. Le traduzioni sono di Gaetano Longo.
{2}Ibidem, pp. 60-61.
{3}Eduardo Dall’Alba, “A urna guarani”, in José Eduardo Degrazia, A urna guarani, Porto Alegre, Movimento, 2004, p. 23. Traduzione mia.
{4}José Eduardo Degrazia, Pioggia Antica: Antologia Poetica, a cura di Gaetano Longo, traduzioni di Iris Faion, Franco Puzzo Editore, Trieste, 2013, pp. 34-35.
Le poesie che seguono sono tratte dalla raccolta Pioggia Antica: Antologia Poetica, a cura di Gaetano Longo, traduzioni di Iris Faion, Franco Puzzo Editore, Trieste, 2013. L’opera ha vinto il Premio Internazionale Trieste Poesia 2013.
POESIE DI JOSÉ EDUARDO DEGRAZIA Traduzione dal portoghese di Iris Faion
A NITIDEZ DAS COISAS
No silêncio da casa, quando as madeiras estalam, espero o movimento da engrenagem do tempo, a manifestação evidente da máquina do mundo, as pás do moinho moendo a farinha dos dias, os dentes trincando a pele da feroz existência, o rolar dos minutos no relógio náufrago da manhã, o zumbido da mosca contra sua imagem no vidro. No silêncio da casa, quando estremecem os móveis e trepidam os eletrodomésticos nas redomas de vidro, zunindo em uníssono cantochão entre as moedas nítidas do sol e as moendas trituradoras de emoções, a polia que range a palavra contra a indiferença, o destino dos pratos e talheres prisioneiros, lentamente desfazendo-se em barro e mortal ferrugem. As coisas morrem sem pânico enquanto olhamos distraídos o vento que levanta as cortinas da sala. Só as coisas são nítidas e têm alma, e acreditam na vida eterna.
LA NITIDEZZA DELLE COSE
Nel silenzio di casa, quando il legno si spezza, aspetto i movimenti degli ingranaggi del tempo, la manifestazione evidente della macchina del mondo, le pale del mulino che macinano la farina dei giorni, i denti che recidono la pelle della feroce esistenza, lo scorrere dei minuti dell’orologio naufrago dei domani. Il ronzio della mosca contro la sua immagine nel vetro. Nel silenzio di casa, quando tremano i mobili e oscillano gli elettrodomestici nel riflesso del vetro, stridendo in un coro liturgico tra le monete nitide sotto il sole e le pale che tritano emozioni, e la puleggia che bisbiglia parole contro l’indifferenza, il destino delle posate e piatti prigionieri, lentamente si disfano in argilla e ruggine mortale. Le cose muoiono senza panico mentre guardiamo distratti il vento che solleva le tende della stanza. Soltanto le cose sono nitide e hanno un’anima, e credono nella vita eterna.
A FORÇA DO POEMA E/OU SUA SEM-CERIMÔNIA
O poema entrou em mim como se derrubasse a porta de uma casa ou simplesmente enrolasse os pés no tapete e caísse sobre o peito de um homem. Só arestas, seco, ácido de um lado, duro: pedra, afiado: faca, explosivo: obus, não deixou alternativa: detoná-lo no branco da página.
LA FORZA DELLA POESIA E/O LA SUA INFORMALITÀ
La poesia entrò in me come se abbattesse la porta di una casa o semplicemente avvolgesse i piedi in un tappeto e cadesse sul petto di un uomo. Soltanto margini, secca, acida da un lato, dura: pietra, affilata: coltello, esplosiva: obice, non dette alternativa: farla esplodere sul bianco della pagina.
OS BÊBADOS
Sábado à noite os ônibus que vêm dos bairros viajam num mar de álcool. Os bêbados vão entrando, alguns são triste, calados, sentam num canto e ficam. Outros são contadores de histórias, xingam, brigam e embrabecem se ninguém brinca com eles. Há os que choram não sei que mágoas de amor. Aprofundam os túneis da madrugada.
GLI UBRIACHI
Sabato notte gli autobus che passano per i quartieri viaggiano in un mare d’alcol. Gli ubriachi salgono, alcuni sono tristi, silenziosi, siedono in un angolo e lì rimangono. Altri raccontano storie, bestemmiano, bisticciano e s’infervorano se nessuno gioca con loro. Alcuni piangono non so quali pene d’amore. Sprofondano nei tunnel dell’alba.
TOMO CAFÉ
Entre restos da última refeição e xícaras sujas, aqueço o café para a longa espera dentro da noite. Talvez alguém sinta o homem esvair-se e bata alucinadamente à porta, uma chuva caia repentina. Provavelmente alguém estará rezando. Algumas pessoas mostrarão indiferentes mais um dia passado no calendário. Abrirei a porta e a janela para que os fantasmas entrem na sala. O café esfria. Quem me fará companhia?
PRENDO IL CAFFÈ
Tra gli avanzi dell’ultimo pasto e tazze sporche, scaldo il caffè per la lunga attesa della notte. Forse qualcuno ascolta l’uomo svenire e bussa allucinato alla porta, una pioggia cade improvvisa. Magari qualcuno starà pregando. Alcune persone si mostreranno indifferenti un giorno in più è passato sul calendario. Aprirei la porta e la finestra per far entrare i fantasmi nella stanza. Il caffè raffredda. Chi mi farà compagnia?
SILÊNCIO
Não penses que este silêncio é simples ausência de vozes, há o espanto da flor nascendo abismo de pássaro noturno riscando o espelho furtivo da memória. (O silêncio é semente de algo mais antigo.) No silêncio a vivência adelgaça uma realidade de fruto. Não penses que este silêncio é simples ausência de vozes.
SILENZIO
Non pensare che questo silenzio sia semplice assenza di voci, c’è lo stupore del fiore che sboccia abisso del passero notturno che gratta furtivo lo specchio della memoria. (Il silenzio è il seme di qualcosa di più antico.) Nel silenzio l’esistenza attenua una realtà di frutto. Non pensare che questo silenzio sia semplice assenza di voci.
A MESA DA FAMÍLIA
Madeira crestada de tempo. Resina impregnada de tempo. Assim a mesa e a família reunida, e os riscos de faca no cerne da madeira, e o vinho derramado, a mancha, o sal, a lágrima, sol na madeira. A mão que alisou o sulco, o veio, a mão gretada de tempo: madeira. Árvore noturna caída, pelo machado abatida, árvore do tempo plantada. À volta da mesa sentados, o pai, a mãe, os filhos: álbum de retratos. A mesa permanece no meio da sala: o mais: sombras.
IL TAVOLO DELLA FAMIGLIA
Legno invecchiato dal tempo. Resina impregnata di tempo. Cosi il tavolo e la famiglia riunita, e i rischi del coltello nella carne del legno, e il vino versato, la macchia, il sale, la lacrima, sole sul legno. La mano che levigò il solco, la vena, la mano graffiata dal tempo: legno. Albero notturno caduto, abbattuto dall’ascia, albero piantato dal tempo. Seduti attorno al tavolo, il padre, la madre, i figli: album di ritratti. Il tavolo rimane in mezzo alla stanza: o di più: ombre.
MOTIVO DE FORÇA MAIOR
Às vezes uma canção de origem obscura me invade, uma ventania da pampa, uma nudez marinha de caracóis, um sono de nuvem bojuda de chuva. A fala da mulher de seios morenos no meio da noite com besouros zumbindo, cor azul de céu ou verde céspede, floresta de campânulas, campainhas sonoras, e gritos intensos de paixão na noite da mata, ritos de gatos de amores violentos em cima dos telhados, vozes veludosas de violeiros nos bares de subúrbio, gemido de menino doente tossindo na madrugada, jogadores no pano verde jogando suas vidas no carteado, bêbados improvisando cantos para a lua, operários esperando o ônibus na madrugada. E eu, atônito e desperto, escrevo a ordem peremptória das musas, psicografo a mensagem noturna, de uma força maior que me incendeia.
CAUSA DI FORZA MAGGIORE
A volte una canzone di origine misteriosa mi invade, una tempesta della pampa, una nudità marina di conchiglia, un sonno di nuvole gonfie di pioggia. Le chiacchiere di una donna dai seni scuri nel cuore della notte mentre insetti ronzano, azzurre come il cielo o verdi come zolle, foreste di campanule, campanelle sonore, e urla intense di passione nella notte della boscaglia, riti di gatti in calore in cima ai tetti, voci vellutate di violinisti in bar di periferia, gemiti di bimbo dolente per la tosse all’alba, giocatori d’azzardo che si giocano a carte la vita, ubriachi che improvvisano serenate alla luna, operaio che aspetta il bus all’alba. E io, attonito e sveglio, scrivo sotto ordine delle muse, psicografo di messaggi notturni, di una forza maggiore che mi incendia.
AOS POETAS MENORES
Pequenos poemas perdidos por poetas menores, poetas sem sorte, sem porte de arma, sem coldre, sem calma. Eu os apanho, são rebanho, estão à mercê, à porfia, poemas de avós e de tias, que rimam em ão e anho. Eis que sã poetas a brilhar em versos brancos da província, poetas menores, sem polícia, e que sabem de amor rimar.
I POETI MINORI
Piccole poesie perdute di poeti minori, poeti senza fortuna, senza porto d’armi, senza fondina, senza calma. Io li raccolgo, sono gregge, sono sopraffatti, di nicchia, poesie di nonni e di zie, che fanno rima in ore e one. Quelli che brillano nei loro versi bianchi di provincia, poeti minori, senza polizia, e che sanno le rime d’amore.
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veralucia.deoliveira.m@gmail.com
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