FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia

Numero 34
aprile/giugno 2014

Lavoro

 

LAVORARE IL VERSO

di Viviane Ciampi



Vi è un poeta, saggista e scrittore per cui l’opera non è il compimento di un’idea strabiliante o il frutto improvviso e un po’ stantio della cosiddetta “ispirazione”, bensì il lungo, complesso viaggio verso l’Assoluto.
Egli era un Maestro, nella storia della letteratura francese e aspirava a essere il genio della creazione poetica: detestava l’infatuazione artistica e seducente del primo momento e credeva (come Mallarmé di cui era considerato il figlio spirituale) alla assiduità quotidiana del mettersi al lavoro, indipendentemente dal desiderio di scrivere. Rifiutava la dissipazione dell’io nel sé. Questo poeta-pensatore era Paul Valéry (1871-1945) – nativo della cittadina portuale di Sète, nel Sud della Francia, ma genovese per parte di madre –.

Proprio nella città ligure, gli si scatenò una quasi inspiegabile crisi conosciuta come “La nuit de Gênes” (la notte di Genova) in cui fece tabula rasa di tutte le sue precedenti conoscenze e letture. Accadde una sera di violento temporale nella casa degli zii Cabella, complice anche un amore infelice e forse non consumato con una certa Madame de Rovira dalla quale volle sfuggire rifugiandosi per una vacanza nella casa dove aveva trascorso, da piccolo, le più belle estati.
Quella notte insonne lo fece decidere ad abbandonare ogni fonte di dissipazione e persino la poesia per andare nella direzione di un sapere più allargato (che in realtà quando riprese a scrivere versi – vent’anni dopo – lo portò alla cristallizzazione del verso). D’altronde, secondo Valéry, al poeta non basta certo il talento: deve mettersi in ascolto del mondo attraverso tutti i sensi.

Il poeta concede solo un punto infinitesimale a quella che per comodità chiameremo “l’ispirazione” e in questo consiste il suo “lavoro”: costruire una sapiente architettura di echi e resistenze, di simmetrie e opposizioni che somigliano in un certo qual modo agli ornamenti, ai graffiti, agli arabeschi, tutti elementi che dovrebbero costituire la preziosa stoffa della poesia. Il caos può allora trasformarsi in ordine attraverso la grazia del primo verso, quello talvolta regalato ai poeti dagli dei benevoli e compassionevoli.
Per illustrare il fatto che Valéry pensasse alla poesia (e all’arte in generale) come a un vero e proprio lavoro, ecco come descrive l’arte di dipingere di Degas da cui era rimasto affascinato:

    Ogni opera di Degas è roba seria: anche se appaiono piacevoli talvolta, il pastello, la matita, il pennello, essi non si abbandonano mai a se stessi.
    Quel che domina è la volontà.
    Il suo tratto non è mai abbastanza vicino a quel che desidera. Non attinge né all’eloquenza, né alla poesia della pittura. Non cerca null’altro che la verità. La sua arte è comparabile a quella dei moralisti. Siamo dinnanzi a una prosa molto netta che rinchiude o articola con forza una osservazione tra le più nuove e verificabili. Anche quando si accosta alle ballerine, le cattura. E più che conquistarle, le definisce. Come uno scrittore che volesse arrivare all’ultima precisione della sua forma, moltiplica le brutte copie, le cancellature, avanza con tentennamenti, e non ammette mai d’aver raggiunto lo stato postumo del suo ‘pezzo’.
    Così è Degas: riprende il suo disegno incessantemente, lo approfondisce, lo stringe, lo avviluppa, di foglio in foglio, di ricalco in ricalco, torna talvolta su quella sorta di bozza, vi ci stende colori aggiunge pastello al carboncino, le gonne sono gialle sull’una, viola sull’altra, ma la linea, gli atti, la prosa, sono là sotto. Essenziali e separabili, utilizzabili in altre combinazioni. Degas fa parte della famiglia degli artisti astratti che distinguono la forma dal colore o dalla materia. Credo che temesse di avventurarsi sulla tela, e di abbandonarsi alle delizie dell’esecuzione. È un eccellente cavaliere che non si fida dei cavalli.
    Tutto il resto è lavoro, puro lavoro.

Dalla sua anonima tomba sul cocuzzolo del Cimitero Marino di Sète, Paul Valéry vede passare il giro di Francia, contempla marinai che sgobbano, che entrano e escono dal porto d’un mare dalla lunga piega semovente e cospirano rivoluzioni più dure del granito all’ora delle bocce e del Pastis.



viviane.c@alice.it