FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia

Numero 33
gennaio/marzo 2014

Perdóno?

 

(FOTO)SINTESI DI UN AMORE

di Gabriele Santoni



L’aveva notata come si notano le donne con la testa fasciata da una bandana sotto la quale non spunta nemmeno un capello. Rimase a fissarla per diversi minuti, alle sue spalle. Come un vigliacco che non ha il coraggio di compatire una donna guardandola negli occhi. Provò a spiare i suoi acquisti, immaginò decine di scatolette di pillole. Quanto spenderà per vivere qualche giorno in più. La risposta la trovò nel display luminoso: due euro e settanta centesimi. Nel sacchetto di plastica la farmacista aveva inserito un dentifricio sbiancante. Grazie e arrivederci.

La donna si voltò facendo gonfiare nel movimento la gonna leggera a fiori. Lo scontrino le scivolò dalle mani e cadde proprio ai piedi di lui. Con un gesto veloce si abbassò per raccoglierlo, pensando di regalarle una delle ultime galanterie. Anche lei si era abbassata e, per un secondo, si ritrovarono faccia a faccia, con le ginocchia vicino al mento e la mano dell’uno tesa verso quella dell’altra. D’un tratto fu il silenzio. Erano così vicini che i loro occhi non potevano vedere altro che occhi. A lei era invisibile la pancetta di lui, a lui la bandana di lei. Solo occhi. Marrone contro blu. Le posso offrire un caffè, disse il marrone. Perché no, rispose il blu.

Uscirono dalla farmacia senza aggiungere altro, accompagnati dagli sguardi della fila che per un attimo aveva dimenticato raffreddori e reumatismi.

Ci si può innamorare in un attimo? Si chiese l’uomo. Se la vita durasse una vita, no. Ma in casi eccezionali, come quello che stava vivendo in quel momento, vanno considerate tutte le variabili. E accelerare i tempi era accettabile. Lasciare che pulsioni e ormoni impazziti facessero i loro comodi senza freni era un dovere. E fu così che il caffè produsse un aperitivo, l’aperitivo una cena, la cena un cinema. Infine sotto casa in silenzio, a fissarsi le punte delle scarpe. Posso salire da te?

Meglio di no, facciamo domani.

È giusto così, pensò l’uomo con la pancetta, dopo averla salutata.

Il giorno successivo, come d’accordo, arrivò a casa sua.

Sali, fece lei. Quarto piano.

Quarto piano senza ascensore, pensò lui imboccando le scale. Come farà nel suo stato a fare quattro piani tutti i giorni.

Quel giorno aveva cambiato la bandana, era verde smeraldo. La macchinetta del caffè gorgogliò e dopo pochi minuti erano davanti alle tazzine fumanti.

Ti va di parlarne? Chiese lui. Perché un uomo vero non deve avere paura della verità. E poi l’amore gli avrebbe permesso di sopportare tutto.

Non molto, rispose lei sorridendo.

Perché sorridi?

Perché se ti dicessi la verità non vorresti più stare qui con me, e sarei costretta di nuovo a bere da sola i miei caffè.

L’uomo abbassò lo sguardo. Ora sapeva che la situazione era più grave di quello che aveva immaginato. Si guardò intorno cercando le parole giuste per farle capire che se anche le fossero rimaste due ore, sarebbero state le più dense d’amore che la storia avesse conosciuto. La casa, ora che ci prestava attenzione, era un giardino pieno di piante e fiori. Le pareti erano coperte di rampicanti, i vasi colorati spuntavano in ogni angolo.

Ti prego, fece lui. Io sono pronto a tutto. L’unica cosa che m’interessa è passare con te il tempo che ci rimane.

Lei soffocò una risata nella mano, non riuscì a trattenersi. Due lacrime blu le scesero dagli occhi. Lui pensò stesse piangendo.

Ok, ti dirò tutto. Ma tu promettimi che non scapperai.

Promesso, disse lui preparandosi al peggio.

Cosa penseresti se ti dicessi che sulla mia testa non sono mai cresciuti i capelli?

Soffri di alopecia? Chiese lui con tono incerto. Per un attimo il suo cuore si riempì di gioia. Non era un tumore. Avrebbero risolto tutto con un trapianto.

No, non è alopecia, frenò subito lei, smorzando l’entusiasmo dell’uomo.

Sulla mia testa non crescono capelli ma…ecco…insomma…

Dimmi, non aver paura, la incitò lui.

Crescono piante. Al posto dei capelli, di notte spuntano piante. E fiori e germogli. Foglie. Tutto quello che vedo di giorno, di notte mi spunta sulla testa.

Non capì, si stava prendendo gioco di lui, ma perché? Era una prova forse, voleva vedere se era veramente disposto a sopportare qualsiasi cosa.

Hai qualcosa da bere? chiese lui, tentando di spazzare via il silenzio che era sceso in quel momento.

Lei si alzò, aprì la credenza e tirò fuori una bottiglia di cognac e due bicchieri.

Bevvero tutta la sera, dimenticando in fretta la storia dei capelli, la malattia, le piante e tutto il resto. Risero senza sapere il perché fin quando, finito il cognac, la donna tirò fuori mezza bottiglia di rum. Il miscuglio fu una bomba e caddero in un sonno profondo, poggiati l’uno all’altro sul divano.

Quando le luci del mattino rischiararono la stanza l’uomo aprì gli occhi e faticò a capire dove si trovasse. Organizzò i pensieri, vide le bottiglie vuote sul tavolo e in un attimo gli fu tutto chiaro. Era solo, ma sentiva la donna armeggiare in bagno.

Si alzò stiracchiandosi.

Sei sveglio? Fece lei da lontano.

Sì, ma cos’è successo? Abbiamo bevuto e poi… non hai idea del sogno che ho fatto.

La raggiunse in bagno, la porta era aperta e fece capolino. Non poté credere ai suoi occhi. La donna, con le forbici in mano, davanti allo specchio, stava tagliando ramoscelli di edera verdissima che le scendevano dalla base del cranio. Più in alto, sopra la calotta, quattro o cinque margherite e un paio di rose formavano un cappello. Proprio sopra l’orecchio un ciuffo di gramigna!

Rimase a bocca aperta, mentre lei lo guardava attraverso lo specchio.

Ho quasi finito, amore, come fosse la cosa più normale del mondo potare le piante sulla propria testa come in un giardino d’estate.

Dopo pochi giorni si trasferì da lei con tutte le sue cose e in men che non si dica apprese le migliori tecniche di potatura. La donna vedeva le piante di giorno, per strada, sui giornali, e di notte le produceva.

Un giorno l’uomo comprò in edicola una rivista di piante esotiche, e ne mostrò alcune pagine alla sua amata. Il mattino seguente la camera da letto era un giardino caraibico, pieno di colori e fiori. Erano gli ibisco però a invadere la maggior parte dello spazio. Con la loro forma a imbuto, i petali colorati di bianco e di rosso, al centro la colonna staminale con gli organi maschili e i pistilli. Le foglie grandissime, di colore verde scuro, avevano la forma d’uovo e i contorni seghettati. Dalla testa della donna, ancora addormentata, partivano rami carichi di foglie lucenti e strinate che scendevano fino ai piedi del letto a formare un tappeto verde e compatto. Una cosa da non crederci. Prepararono dei vasi con dentro il raccolto e li portarono al mercato rionale. Dopo mezz’ora era un viavai di gente. Il giorno seguente erano di nuovo lì di buon’ora con il doppio dei vasi.

Arrivavano da tutta la città a comprare i fiori dall’uomo con la pancetta e la donna con la bandana. A fine estate avevano fatto tanti di quei soldi da comprarsi una villetta in periferia, con un giardino enorme dove coltivare piante rarissime. Destinarono la parte del vivaio visibile dalla strada ai fiori colorati. I loto blu si schiudevano nelle prime ore del mattino emanando un profumo delicato e soave con sfumature fresche ed erbacee. E poi macchie di zenzero bianco, piegate sullo stelo dal loro stesso peso, leggiadre come farfalle che, a ragione, in epoca coloniale le donne utilizzavano come collane o gioielli fra i capelli. Le piante verdi e quelle rampicanti le avevano sistemate nella parte posteriore della casa, al riparo dal vento e dalle rare grandinate invernali.

Però, col passare del tempo la passione di quel giorno, in farmacia, si affievolì. L’uomo con la pancetta divenne presto l’uomo col pancione, mentre la donna con la bandana sfiorì a dispetto della flora che le era cresciuta in testa tutti quegli anni. Ormai non le dedicava più attenzioni come i primi tempi, solo la mattina per la potatura, poi le faceva indossare la bandana e la costringeva e confezionare piante e fiori da mandare ai rivenditori. Non più sguardi leggeri, non una carezza, una parola d’amore. L’uomo trascorreva la giornata cercando su internet foto di esemplari da produrre. Fin quando, un giorno, non s'imbatté nell’immagine di un albero cresciuto in un crepaccio dell’Amazzonia dove vento, sole e umidità uniche al mondo avevano creato un habitat irriproducibile per quella specie. Il tronco aveva cercato una via di sopravvivenza tra le rocce, divaricando il terrapieno come una ferita. Si era poi inerpicato seguendo una traiettoria sinuosa verso la luce, in alto, laddove pochi raggi di sole al mattino tagliavano orizzontalmente l’aria. La chioma rigogliosa di foglie verdi e rosse, i rami protesi verso l’alto come centinaia di braccia sollevate al cielo. Ai suoi piedi, lento e silenzioso, il fiume Tapajós.

Appena lo vide non ci pensò due volte. Stampò la foto e, a cena, la mostrò alla compagna.

Lei capì che il loro amore era finito.

L’indomani, l’uomo si svegliò in un lago di sangue, il cranio di lei frantumato sotto il peso dell’arbusto, il corpo esanime sul letto. La cima dell’albero aveva sfondato il tetto e ora continuava a crescere. Un raggio di sole filtrò attraverso una crepa del tetto, ma per poco. La chioma dell’albero si allargò a dismisura e in un attimo fu buio. Le radici parevano lombrichi giganti che affondavano nel pavimento. I rami stracciarono le pareti come un vestito troppo stretto, facendole crollare una alla volta. L’uomo provò a fuggire, ma troppo tardi.


gabrielesantoni@yahoo.it