I Rerum vulgarium fragmenta rappresentano, come è noto, l’autobiografia spirituale del poeta, come le altrettanto famose Confessioni di sant’Agostino, un modello spirituale e religioso operante in vari luoghi letterari petrarcheschi.{1} Tutta la lirica di Petrarca è un sommesso colloquio del poeta con se stesso. La sua poesia ha un carattere psicologico, senza toni realistici (in un’atmosfera quasi onirica) e con una diegesi strutturata attraverso il file rouge che infila i sonetti in una schidionata{2} narrativa. Il tema dominante è il dissidio interiore che il poeta prova tra l’attrazione verso i piaceri terreni e l’amore per Laura e la tensione spirituale verso Dio. Dall’idea di amore-peccato del sonetto proemiale il poeta giunge alla conclusione del Canzoniere con la canzone alla Madonna (Vergine bella che di sol vestita): una palinodia religiosa che chiude l’opera secondo una parabola spirituale ascendente tipicamente medievale. Il Canzoniere si conclude con un testo di ispirazione religiosa, una delle canzoni più complesse dell’intera raccolta sia dal punto di vista metrico sia dal punto di vista semantico e retorico.
{3}La collocazione della poesia non rispecchia l’ordine reale di composizione, ma risponde all’esigenza di concludere in maniera esemplare la vicenda del poeta con il rifiuto delle tentazioni terrene e dell’amore per Laura. Frequenti sono i riferimenti biblici e spesso il verso petrarchesco ricalca passi delle Sacre Scritture come nel sonetto LXXXI (Io son sì stanco) dove ad esempio il verso O voi che travagliate, ecco ‘l camino riprende il Vangelo di Matteo (XI,28) e la terzina finale (Qual grazia, qual amore o qual destino/ mi darà penne in guisa di colomba/ ch’io mi riposi e levimi da terra?) riprende il salmo LIV,7. Petrarca si sente smarrito tra realtà e sogno (Di pensier in pensier, di monte in monte), ora immerso nell’angosciosa solitudine (O cameretta che già fosti un porto), ora alla ricerca di un isolamento dal mondo terreno (Solo et pensoso) e ora sognante una dimensione spirituale che però è difficile da conquistare (Padre del ciel, Movesi il vecchierel).
Egli comprende, già alla fine del primo sonetto, che il frutto del suo seguire le vanità terrene sono la vergogna, il pentimento e il riconoscere che quanto piace al mondo è breve sogno, riecheggiando così il biblico vanitas vanitatum dell’Ecclesiaste, (Qoelet, 2). Certi componimenti hanno il carattere di splendide preghiere, come i sonetti Padre del ciel (LXII), Tennemi Amor (CCCLXVI), Io vo piangendo (CCCLXV) e la canzone alla Vergine (CCCLXVI). La canzone Chiare fresche e dolci acque (CXXVI) mostra uno stato d’animo tra l’angoscia della realtà e la dolce malinconia del sogno. Come in questa canzone e nel sonetto O cameretta che già fosti porto (CCXXXIV), la valle piena dei suoi lamenti e l’aria calda dei suoi sospiri e il dolce sentier (CCCI), il rosignuol (l’usignolo) - (CCCXI), i dolci colli (CCCXX) ed il vago augelletto (CCCLIII) non rappresentano una natura esteriore, bensì creature di un mondo interiorizzato, vagheggiato nell’immaginazione, confidenti delle pene recondite del poeta che spesso si rifugia in un clima di sogno e di immaginazione. Nella seconda parte del Canzoniere vi sono sonetti notevoli (CCLXXIX, CCLXXXII, CCLXXXV, CCCII) e la canzone Quando il soave mio fido conforto in cui Laura, donna di vaga bellezza e trasfigurata spiritualmente, lo consola nelle sue notti dolenti e sospira dolcemente e si adira nel vederlo immerso nelle passioni terrene.
Esistono, come è noto, quattro principali testimoni: il manoscritto Vaticano Latino 3196, il cosiddetto “Codice degli abbozzi” in quanto contenente versioni non definitive e ricche di correzioni, ed il 3195, definitivo, composto tra il 1366 e il 1374 (anno di morte di Petrarca) con alcune poesie mancanti rispetto al 3196. Entrambi i manoscritti possono essere catalogati come idiografi/autografi, in quanto scritti in parte dalla mano di Petrarca, in parte da quella dello scriba suo discepolo Giovanni Malpaghini (cfr. Cod. Vat. Lat. 3195, c.62r in cui sono riscontrabili le due grafie: Malpaghini per C.317 - 318, Petrarca per C.319 - 320). La mano di Malpaghini è fondamentale perché darà vita alla «Redazione Giovanni» (Gv), da considerare come strato evolutivo intermedio, importante per comprendere l’evolversi dell’opera.{4}
Rileggiamo, dunque, il sonetto proemiale di apertura dei Rerum vulgarium fragmenta di Francesco Petrarca, scritto presumibilmente tra la fine del 1349 e l’inizio del 1350.
Voi ch’ascoltate in rime sparse il suono di quei sospiri ond’io nudriva ‘l core in sul mio primo giovenile errore quand’era in parte altr’uom da quel ch’i’ sono, del vario stile in ch’io piango et ragiono fra le vane speranze e ‘l van dolore, ove sia chi per prova intenda amore, spero trovar pietà, nonché perdono. Ma ben veggio or sì come al popol tutto favola fui gran tempo, onde sovente di me medesmo meco mi vergogno; et del mio vaneggiar vergogna è ‘l frutto, e ‘l pentersi, e ‘l conoscer chiaramente che quanto piace al mondo è breve sogno.
Un’immediata captatio benevolentiae ha lo scopo di mostrare al lettore lo stato emozionale del poeta in giovane età. L’invito al pubblico è dunque di porre attenzione ai sospiri d’amore come nutrimento dell’animo durante la giovinezza, anzi durante il primo giovenile errore, quando il pensiero di Francesco era totalmente assorbito dall’amore per Laura. Nella prima quartina, dunque, il poeta vuole stabilire col lettore un feedback, una retroazione rispetto alla presa di coscienza e al “pentimento” che lo collega, per certi versi, al dialogo con Agostino nel Secretum.
Nella seconda quartina si delinea l’intento programmatico del poeta: mostrare, nel diverso stile presentato nel libro (sonetti, canzoni, sestine, madrigali, ecc.), le sofferenze d’amore e i ragionamenti che hanno tenuto Francesco avvinghiato in questo amore impossibile e devastante (come da tradizione). Si noti la dittologia piango et ragiono, l’iterazione aggettivale vane speranze e ‘l van dolore e la ricerca di pietà e perdono (intentio lectoris). Solo chi ha provato le sofferenze di un amore simile al suo può capire e aprirsi così alla pietà e al perdono, bene prezioso che muove l’intera struttura delle poesie per giungere alla preghiera finale alla Vergine. Il poeta si rende perfettamente conto di essere stato per lungo tempo una favola tra le persone, di essere stato, in qualche modo, deriso per il suo stato di rapimento d’amore terreno ed ora, molto spesso, prova vergogna nel rammentarlo. Per questo si pente e riconosce che i beni terreni e le piacevolezze di questo mondo rappresentano un breve sogno e sono destinati a terminare come la vita terrena. Francesco Petrarca chiede perdono agli uomini, a se stesso e a Dio prima ancora di iniziare a raccontare la storia di questo pentimento-ravvedimento.
Ma possiamo davvero parlare di un pentimento autentico? La risposta la troviamo nell’ultimo verso della prima quartina quand’era in parte altr’uom da quel ch’i’ sono: egli è ora in parte un altro uomo rispetto al Francesco completamente assorbito e coinvolto nell’amore terreno per Laura, ma non completamente diverso (in parte, appunto). Alla fine del Canzoniere egli chiede l’intervento della Madonna affinché accolga il suo spirto ultimo in pace (v. 137), ma non ha mai detto di rinunciare alle cose terrene in modo totale, tanto meno di dimenticare il suo smodato desiderio di gloria letteraria tramandata attraverso i posteri. L’opera base per questo ragionamento è il Secretum.
La stesura dell’opera cominciò nel 1347, rivista nel 1349 e poi definitivamente modificata nel 1353.
Alla fine del proemio l’autore esprime il desiderio che questo suo diario rimanga segreto (da cui appunto il nome all’opera) e lontano da occhi indiscreti. Il libretto, infatti, rimase ignoto a tutti, tranne che agli amici più stretti come Boccaccio. Esso fu divulgato solo fra il 1378 ed il 1379 grazie al monaco fiorentino Tebaldo Della Casa.
Le vicende dell’opera vengono circoscritte ad un periodo che va dal 1342 al 1343: sono anni difficili per il poeta poiché egli deve confrontarsi con la radicale scelta del fratello Gherardo di intraprendere una via monastica, con il suo attaccamento alle passioni terrene e in particolare con il suo amore per Laura e con il suo smodato desiderio di gloria e fama.
Tuttavia il Secretum non si presenta come un’opera frammentaria bensì come una struttura organica, ben definita e organizzata: sembrerebbe che l’autore avesse già pensato a una futura pubblicazione. Per cui, probabilmente, lo stesso autore cerca di portarci fuori strada facendoci pensare che esso sia un diario personale: in realtà egli aveva già pianificato tutto, da buon mistificatore della scrittura e della letteratura.{5}
Il Secretum può essere definito dunque come una sorta di “diario segreto”, un diario intimo dove l’autore può esprimere apertamente, senza autodifese, il suo tormento interiore, l’inquietudine che logora la sua coscienza, i conflitti mai sopiti originati dal vizio dell’accidia che consiste nel conoscere il bene, nel sapere qual è la strada maestra ma senza aver la forza, la volontà e il coraggio di intraprenderla.
Petrarca modellò il dialogo platonico alla sua opera di cui aveva notizie non dal testo originale in greco, ma da quello latino di Cicerone: questo nuovo modo di scrivere avrà molta fortuna nel periodo cosiddetto umanistico-rinascimentale. Protagonisti di questo dialogo sono Francesco (Petrarca) e Agostino al cospetto di una donna, la Verità, che per tutto il tempo rimane in silenzio.
Petrarca non avrebbe potuto scegliere un interlocutore se non Agostino che aveva narrato nelle Confessioni il suo impetuoso cammino verso la conversione che presupponeva un distacco totale dalle passioni terrene.
Petrarca conosceva le Confessioni grazie alla copia che un suo caro amico, il monaco agostiniano Dionigi di Borgo San Sepolcro, gli aveva donato nel 1333. Tuttavia questa non è l’unica opera che ispira la stesura del Secretum: De consolatione philosophiae di Severino Boezio e De tranquillitate animi di Seneca giocano un ruolo preponderante in questo senso.
L’opera si divide in tre libri: il primo libro tratta del male in generale e conclude, secondo il pensiero agostiniano, che esso non esiste, ma è causato da un’insufficiente volontà di bene, causata dalle passioni terrene che intorpidiscono lo spirito. Si asserisce, inoltre, che molte sue scelte sono state condizionate dall’ambiente in cui si è trovato a vivere (in particolare la curia avignonese) e afferma la già nota teoria della lettera dei pitagorici, ovvero la Y (il simbolo del cammino che si biforca). Agostino cerca invece di ricondurlo sulla retta via, invitandolo a dedurre, attraverso un processo di autocritica, che le colpe e/o i meriti dell’uomo dipendono soltanto da lui.
Nel secondo libro vengono analizzati i sette peccati capitali e Agostino si sofferma proprio sull’accidia, il male che più tormenta il poeta. Il santo capisce che per eliminare questo male bisognerebbe strapparlo alla base, ma inizialmente non riesce a trovare una soluzione effettiva al problema.
Nel terzo libro si esaminano altre due passioni del poeta, in particolare l’amore per Laura e l’amore per la gloria, considerate le due più gravi indoli di Petrarca: per quanto il poeta dia ragione ad Agostino che gli consiglia di rinunciarvi egli però non sa come poterne fare a meno.
Per quanto riguarda la figura di Agostino è bene fare una precisazione: egli costituisce la controparte critica della mente petrarchesca, scava e indaga dentro la mente del poeta mettendo in luce le sue debolezze e spronandolo a superarle. In questo senso il lavoro di Agostino può essere paragonato all’uso della maieutica di Socrate per il fatto che comunque egli porti alla luce la verità (in questo caso le debolezze dell’animo di Petrarca) attraverso un dialogo. Ed è ciò che anche Socrate faceva: tramite opportune domande, egli spingeva l’interlocutore a raggiungere il concetto richiesto senza che ci girasse intorno o cercasse di sviare in altri argomenti.
L’amore per Laura e l’amore per la gloria letteraria, che poi rappresentano la stessa cosa (attraverso l’identificazione Laura = lauro → poesia → gloria letteraria) in un sottile e narcisistico gioco di specchi, non sono mai disconosciuti, anzi. Il poeta aretino non solo non rinuncia a Laura, ma sublima l’amore terreno verso di lei mediante un percorso di redenzione-pentimento con richiesta di perdono agli uomini e a Dio. E non rinuncia alla tradizione amorosa del senhal trobadorico, pur superando il cliché del nome oscuro, e mistificandolo, di volta in volta, con il lauro, con l’aura, con la poesia, con la gloria letteraria (non ci interessa sapere chi fosse in realtà questa Laura, se sia veramente esistita o se fosse un’invenzione di Petrarca; l’intentio operis rimarrebbe, comunque, invariata).
Chiudiamo questa riflessione lasciando la parola a Marco Santagata: «Nel Canzoniere convivono sia la componente amorosa, sia quella psicologico-morale: esso è infatti, e nello stesso tempo, il racconto ordinato dei passati disordini amorosi e il documento del ritrovato equilibrio etico e psicologico. Le rime sparse sono stilisticamente varie, come lo sono le epistole latine: perché varia, instabile è la condizione psicologica del loro autore. Le rime nascono fra speranze e dolore, le familiares registrano gli ondeggiamenti di un animo raramente lieto, per lo più mesto (Fam. I 1, 19), le Epystole cantano i vari sentimenti dell’animo (Epyst. I 1, 40). Le speranze e il dolore che determinano l’altalena stilistica delle poesie volgari sono vani: il ricordarli provoca nel saggio raccoglitore vergogna e pentimento. Analogamente il poeta delle Epystole prova vergogna dei suoi ardori (I, 1,65), e la sua mente, ormai tranquilla, prova orrore degli antichi affanni. Petrarca chiede nella lettera a Socrate{6} e nell’epistola a Barbato{7} venia e perdono per quanto sta loro offrendo: pietà e perdono sono ciò che l’amante pentito chiede a chi ha fatto la sua stessa esperienza. Fra le altre cose l’innamorato deve anche vergognarsi del fatto che la sua storia amorosa, diffusa attraverso le rime, gli avesse procurato una ambigua popolarità: veniva riconosciuto, indicato a dito, era favola, oggetto di chiacchiere. È lo stesso Petrarca, nella lettera a Socrate, ad ammettere che le rime volgari erano destinate a dilettare le orecchie del volgo;{8} un intento pienamente conseguito se, nell’epistola a Barbato, lamenta con dolore che i suoi versi sono ormai sulla bocca di tutti e che la sua Musa non sa più dove rifugiarsi (...) se le rime giovanili potevano dare luogo a chiacchiere e a discorsi, il libro che le riordina lungo una salda prospettiva morale induce il lettore alla meditazione, a riconoscere l’illusorietà di quanto ci attira e diletta in questa vita. L’autore da soggetto di scandalo si è fatto moralista»,{9} ma senza rinunciare completamente all’amore per Laura (anche se ora amata in un altro modo) e alla gloria letteraria che il poeta ricerca fortemente e ai quali non vuole rinunciare.
{1}Oltre al Canzoniere (il riferimento per questo scritto è all’edizione critica curata da Giuseppe Savoca, Francesco Petrarca, Rerum vulgarium fragmenta, Firenze, Olschki, 2008) si pensi al De secreto conflictu curarum mearum composto tra il 1347 e il 1553.
{2}La "schidionata" è un procedimento narrativo che consiste nel legare i vari temi del racconto attraverso uno o più personaggi. In questo caso la parola è stata usata per spiegare il legame tra vari sonetti che, uniti, raccontano una storia.
{3}La riflessione che segue è già stata diversamente trattata in Wikipedia.
{4}Ad essi vanno collegati i testimoni più autorevoli della tradizione, che attestano, prima della conclusione del lavoro nella versione definitiva affidata al Vaticano latino 3195, il passaggio attraverso forme, raccolte, e alcune "edizioni" principali consegnate ai seguenti manoscritti: il codice Chigi L V 176, il Laurenziano XLI 17, il Queriniano D II 21, ma soprattutto per stabilire la forma pre-definitiva al Laurenziano XLI 10 e al Parigino italiano 551. La vastità delle testimonianze manoscritte del Canzoniere ha comportato un’oggettiva difficoltà nella definizione del testo critico. L’originale del Canzoniere (Vat. lat. 3195) è stato riprodotto diplomaticamente da Ettore Modigliani. Di esso ha procurato il testo critico Giuseppe Savoca, al quale facciamo riferimento in questo articolo.
{5}Ottimo lo studio realizzato da Rino Caputo qualche anno fa, Cogitans fingo. Petrarca tra «Secretum» e «Canzoniere», Roma Bulzoni, 1987,
{6}Socrate è il soprannome con cui Francesco Petrarca chiama il musico fiammingo Ludwig van Kempen.
{7}Barbato da Sulmona, un gentiluomo della corte di Napoli, dove Francesco Petrarca lo conobbe nel 1341.
{8}Veteres tranquilla tumultus/mens horret (Epyst. I, 1, 64-65).
{9}M. SANTAGATA, I frammenti dell’anima. Storia e racconto nel Canzoniere di Petrarca, Bologna, Il Mulino, 1993, p. 108.
malomastro1@alice.it
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