Erranze e dintorni / Errance et alentours è l’ultima raccolta di Flaviano Pisanelli, poeta, traduttore e docente di letteratura italiana all’Université Paul-Valéry – Montpellier 3. Il libro, bilingue, scritto in italiano e francese, traccia un percorso poetico inquieto e poliedrico di un intellettuale che vive il viaggio non solo come scelta di vita ma come condizione esistenziale di ogni essere. Il testo è corredato dalle traduzioni in francese di Pascal Gabellone e dell’ottima prefazione di laura Toppan.
Le poesie sono state scritte in luoghi diversi, dal 1998 al 2009, con la leggerezza e la densità del viandante che non cerca o non trova o non crede alla solidità e all’immobilità delle forme del mondo perché sa che solo l’esodo, l’erranza, il viaggio definiscono veramente l’umano. Eppure, è vero anche il contrario: solo la presenza concreta, se pur precaria, ci rappresenta e dà testimonianza di noi. La poesia di Flaviano Pisanelli è, così, assenza e presenza allo stesso tempo, perché coglie ciò che in noi è fluido e mutevole, aperto al cambiamento. Non è casuale, nel libro, che proprio l’immagine dell’onda definisca il viandante: “Nella trama dell’aria / tracci il tuo confuso andare: / mistero dell’essere onda”. (p. 90)
La raccolta è divisa in quattro parti – “Spazio-fossile / Espace-fossile”, “Punto di fuga / Point de fuite”, “Verso casa / Vers la maison” e “Prima del ritorno / Avant le retour” – che segnano fasi diverse del percorso dell’io lirico.
La prima parte è formata da versi corti ed ellittici, ridotti quasi all’essenziale della comunicazione. Narrano di un io lirico ancora avvolto in un limbo, pronto, però, come le rondini, a spiccare il volo e a rifare il cammino che lo riporterà per terre viste e vissute, in una sorta di pellegrinaggio atteso e temuto allo stesso tempo. Il primo testo ha, infatti, come titolo “Soglia / Seuil” (pp. 36-37) e l’ultimo “Il viandante / Le chemineau” (pp. 54-55). Quasi come se il poeta si fosse impossessato dell’ottica aerea e panoramica della rondine, il mondo pare visto da sopra, un “quadro-scacchiera” (p. 42) in cui terra e mare si alternano in giustapposizioni geometriche.
Nella seconda parte, “Punto di fuga / Point de fuite”, il poeta è invece alla ricerca di linee convergenti nello spazio e nel tempo che non annullino le frontiere e le identità di chi, volontariamente, lascia la sicurezza del focolare per l’incertezza di tutte le destinazioni nel mondo. Nel fluire e nel mutare di ogni cosa, egli cerca realtà e momenti capaci di armonizzare le forze centrifughe e centripete che lo allontanano da se stesso e, allo stesso tempo, che lo fanno tornare più integro al luogo da cui è partito, al nucleo più vero e profondo della memoria.
La terza parte “Verso casa / Vers la maison” è anche quella più lunga e la più incisiva e intensa perché porta verticalmente all’incontro dell’io lirico con se stesso (lo si vede anche dalla frequenza nel testo della prima persona). E siccome abitare l’io vuole dire anche abitare il mondo, se inizialmente la realtà pareva una successione distaccata di pieni e vuoti, ora l’esperienza concreta dei luoghi segna il momento culminante di una crisi, di un incontro con figure centrali dell’esperienza, come quella della madre, in “Saluto materno” (p. 190), tracciata con grande precisione e forza evocativa. Le poesie si allungano e s’intuiscono, decantate in sottofondo, vicende dolorose di un sud in cui si intrecciano tutti i sud del mondo, viste e vissute con tutta la tenerezza e la ferocia di chi, tramite un linguaggio preciso, scava nella solitudine, nell’incomunicabilità e nell’indifferenza che caratterizza il mondo contemporaneo. Ne sgorgano versi intensi e limpidi:
E tuttavia c’è sempre molto pudore in questa lirica: più è intensa e magmatica la materia poetica, più il poeta la piega, la plasma e la doma in una forma condensata:
Il titolo, “Verso casa”, allude al ritorno al tempo/spazio dei primi anni di vita, all’infanzia e all’adolescenza, vissute in Italia. Per tornare a casa (e per “casa” intendiamo corpo, memoria e coscienza) il poeta, paradossalmente, ha bisogno di un’altra lingua, oltre al suo italiano materno, che permetta una sorta di riappacificazione con se stesso. È proprio qui, in effetti, che il francese, di sottofondo nelle prime due sessioni della raccolta, irrompe e quasi prende il sopravvento sulla lingua italiana. Qui si trova una buona parte delle poesie scritte in francese, quando il ritorno al suo paese indurrebbe a pensare piuttosto a un reincontro con la lingua materna. Occorre che, proprio in questa sessione, la materia poetica si faccia più magmatica e l’io pare aver bisogno di frapporre, fra sé e il vissuto incandescente, una lingua seconda, come una sorta di filtro protettivo. Il francese fornisce ciò che egli definisce “l’altro sguardo”, una prospettiva diversa, un estraniamento necessario per non essere travolto da una lingua che “sanguina”:
Il francese è, inoltre, anche la lingua del lenimento, della sutura, visto che permette il ritorno alla ferita senza farla sanguinare. Si noti come il poeta, in “L’aprodo / L’abord”, passi dall’italiano al francese proprio quando sembra aver raggiunto un nocciolo rimosso irrisolto:
“il fare è immobile il dire una piaga suturata troppo in fretta entre un viole et une larme une occasion sans lumière” (p. 224)
Il francese permette che passioni e sentimenti forti riaffiorino e, in questo senso, le due lingue si completano. È in francese che l’io lirico può dire:
Nella poesia “Dialogo / Dialogue”, che in realtà è un soliloquio fra l’io e se stesso, il poeta ripropone le domande fondamentali che lo hanno spinto all’erranza. E le risposte non possono che portare alla necessità di accettare e di “difendere una ad una / le terre separate.” (p.168), ad accettare, in altre parole, che “dentro la violenza della bellezza” (p. 170) ci sia il presente e il passato, il dolore e la gioia. Non si cancella il dolore rimuovendolo ai margini di noi stessi e del mondo, facendo finta che non esista. Per guarire, bisogna riportarlo al centro, reimparare a convivere con le contraddizioni, con le fragilità. Se ciò è valido per l’io lirico in questa poetica del flusso e del riflusso fra presente e passato, lo è anche per noi e per le nostre città che scacciano verso i margini gli esseri considerati inadatti: vecchi, poveri, malati, esseri precari che abitano le “periferie dell’opulenza” (p. 204).
È importante tener presente che questo tornare non è semplicemente una ricerca narcisistica del sé, fine a se stessa. Tornare è riprendersi ciò che, dell’io, in qualche modo, era rimasto indietro, affinché il viaggio si compia e si trasformi in un dialogo alla pari fra culture e mondi diversi. Non si lascia impunemente la propria casa per un’altra, il vero viaggiatore, come la lumaca, ha con sé anche la casa sulle spalle, o ciò che, di essa, è per lui fondamentale. Se ha abbandonato tutto, non è capace di stabilire una relazione equilibrata con l’altra cultura e l’altra lingua. Nel libro il poeta non annulla la sua identità, italiana, e neppure l’altra, quella francese, anzi, ne acquisisce una terza, che le contiene entrambe. Egli si è arricchito dell’esperienza del dialogo e può partire e tornare senza sentirsi straniero in nessuno dei due paesi.
La quarta e ultima parte del libro, “Prima del ritorno / Avant le retour”, segna un traguardo ed evidenzia un momento di maturità. Accettarsi è anche, per l’io lirico, aprirsi al mondo, occuparsi del mondo, trovare spazi interiori di attenzione e accoglienza. Da ciò deriva la scelta consapevole di abitare la frontiera, di lasciare gli spazi del centro (quando questo centro vuole dire chiusura): “I centri / si chiamano Europa / ove ogni nascita / si spegne nel vagito.” (p. 216). E ancora: “Il centro è zona di fuga (…) / I miei piedi non sono una radice / ma un solo stare incerto fra due passi.” (p. 232) In questo senso, possiamo affermare che la poesia di Flaviano Pisanelli è una testimone critica di questo momento di esacerbata spersonalizzazione di spazi e individui in nome di un’equivoca globalizzazione.
“Il viandante è misura” (p. 72), afferma l’autore, misura non solo di vita ma di una poesia riflessiva e porosa, che aderisce intensamente e con rinnovato stupore alle superfice del mondo, alle terre, alle città, alle persone. La fine del viaggio allora è sempre un ritorno, come ci propone Flaviano, dal quale ripartire di nuovo perché “ogni arrivo è solo una partenza” (p. 207). Solo così possiamo abitare ciò che sfugge, solo così possiamo abitarci.
Flaviano Pisanelli, Erranze e dintorni / Errance et alentours (1998-2009), Oxybia Éditions, Magagnosc (Francia), 2013.
Flaviano Pisanelli è nato a Roma nel 1973 e vive in Francia dal 2000. Insegna Lingua e Letteratura Italiana all’Università Paul Valéry – Montpellier 3. Dedica la sua ricerca all’opera letteraria e cinematografica di Pier Paolo Pasolini, a numerosi poeti italiani del XX e del XXI secolo (Ungaretti, Montale, Bufalino, Merini) e attualmente s’interessa alla poesia italofona della migrazione e alla scrittura poetica di autori del Mediterraneo. I suoi studi sono pubblicati su diverse riviste italiane, francesi, olandesi, tunisine e americane.
Ha pubblicato le raccolte poetiche: A peso d’aria (Gezebo, 2000), Perla e argilla (Gazebo, 2006) e, in edizione bilingue, Erranze e dintorni/ Errance et alentours (Francia 2013). Ha partecipato con una silloge poetica inedita alla Giornata Mondiale della Poesia Viandando qui e altrove. Rapsodia poetica contemporanea di Italiani Migranti e di Migranti in Italia, organizzata sotto l’egida dell’Unesco il 23 marzo 2011 all’Auditorium Parco della Musica di Roma. Ha tradotto testi letterari dal e in francese (Pier Paolo Pasolini, Alda Merini, Hervé Gaymard, Bruno Pinchard).
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