FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia

Numero 26
aprile/giugno 2012

Botteghe

 

BRUNO
Il bambino che imparò a volare

di Annarita Verzola



Quando sul web leggevo con piacere un blog dal nome evocativo, Le botteghe color cannella, ignoravo, lo ammetto, chi fossero Bruno Schulz e la blogger che si muoveva con leggerezza dietro quelle parole. Poi la blogger l’ho conosciuta. E lei, Nadia Terranova, adesso mi ha riportata tra i colori tenui di quelle botteghe e a sua volta mi ha fatto conoscere Bruno Schulz attraverso le pagine di questo libro magico, in cui la dolcezza dei disegni di Ofra Amit si sposa perfettamente con la semplice profondità del suo racconto.
Sì, perché non è facile raccontare ai bambini lo sbriciolarsi di una vita, cristalli di zucchero di un sogno che un bambino dalla testa grossa, e dal cuore e dalla mente altrettanto grandi, sogna quotidianamente grazie a Jakob, padre amatissimo il quale custodisce un grande segreto di verità: “La materia pullulava di vita, bisognava solo stanarla e forgiarla. Jakob si mischiava e si impastava con il mondo per guardare tutto con occhi nuovi e diventare ogni volta un po’ meno se stesso.” È con amore che “Bruno spiava le instancabili gesta di suo padre e si chiedeva come fare a imitarlo.”

A imitare un padre così straordinario nella consapevolezza dei propri limiti. Non gli sembra vero che quel padre amato, in apparenza solido commerciante, immerso nelle stoffe colorate della sua bottega dal parquet color cannella in una strada di Drohobycz, possa con tale e tanta facilità lasciarsi distrarre da un dettaglio, da un dubbio, da una domanda improvvisa, e abbandonare la “noia quotidiana.”
E poi un giorno i delicati cristalli di zucchero di quella vita tra sogno e realtà si sbriciolano. Jakob non fa più ritorno e vanamente il piccolo Bruno dalla grossa testa lo cerca con amorevole e testarda insistenza. Il dolore è troppo grande, la malinconia invincibile una ferita troppo profonda, e Bruno deve trovare una via d’uscita. Jakob e il suo mondo di segreta verità rinascono sotto le sue dita grazie a una matita e a una manciata di fogli bianchi. Bruno, diventato grande, sa come parlare ai bambini e ai ragazzi per rendere loro sopportabile il dolore per una perdita o per una mancanza, lui che sente ogni istante la perdita e la mancanza di Jakob, amatissimo padre. “Poiché aveva imparato a vivere con una testa abnorme, Bruno conosceva le parole giuste per trasformare la diversità in opportunità.”

Le sparizioni a Drohobycz aumentano di giorno in giorno, ma non sono le fantastiche sparizioni di Jakob, queste sparizioni sanno di buio e di dolore, di paura e di sospetto. Anche se alla diversità Bruno è abituato, ora la diversità ha un nome: ebreo. E vuol dire desolazione, vergogna, isolamento. Sempre più perplesso, Bruno si domanda che cosa avrebbe inventato Jakob, amatissimo padre, per “combattere il deserto.” Ma non avrà modo di scoprirlo. Perché Jakob non torna. Perché un ufficiale tedesco usa il modo più freddo e più inaccettabile per impedire a Bruno di farlo. NIENTE. NULLA. IL VUOTO. Eppure Bruno non è svanito e, magicamente come era scomparso, ricompare sotto l’intonaco di una stanza, sulle pareti di quella che era stata la camera dei bambini di Felix Landau, ufficiale delle SS che tirava i fili della sua vita di povero burattino tra le mani di un piccolo gerarca nazista.

Si snoda così tra queste pagine dai caldi colori l’infanzia di un uomo geniale, in un racconto che sa parlare al cuore dei lettori di ogni età con la voce lieve della poesia, anche e soprattutto se parla della diversità e dell’orrore di una pagina di storia che dobbiamo ricordare ogni giorno e non solo il 27 gennaio di ogni anno.
In chiusura del libro, dopo l’ovattato percorso della fantasia tra le parole e le immagini, l’autrice traccia per i suoi lettori un sentiero di realtà che conduce all’essenza di Bruno Schulz uomo e artista.



Il riuscito connubio di questo libro è la prova, caso mai ve ne fosse bisogno, che non si può e non si deve nascondere la realtà ai bambini. Impedire loro di affrontarla è tanto ingiusto quanto pericoloso, ben vengano dunque gli strumenti adatti, come questo libro.
Ci vuole un animo bambino per saper parlare ai bambini, offrire loro ciò che un adulto spesso dimentica o tralascia o nasconde, per pigrizia, per paura, per insicurezza. E dobbiamo augurarci che i piccoli lettori incontrino sul loro percorso di crescita tanti adulti dall’orecchio acerbo.


    Un giorno sul diretto Capranica-Viterbo
    vidi salire un uomo con un orecchio acerbo.
    Non era tanto giovane, anzi era maturato,
    tutto, tranne l’orecchio, che acerbo era restato.
    Cambiai subito posto per essergli vicino
    e poter osservare il fenomeno per benino.
    “Signore, – gli dissi – dunque lei ha una certa età:
    di quell’orecchio verde che cosa se ne fa” ?
    Rispose gentilmente: ” Dica pure che son vecchio.
    Di giovane mi è rimasto soltanto quest’orecchio.
    E’ un orecchio bambino, mi serve per capire
    le cose che i grandi non stanno mai a sentire:
    ascolto quel che dicono gli alberi, gli uccelli,
    le nuvole che passano, i sassi, i ruscelli,
    capisco anche i bambini quando dicono cose
    che a un orecchio maturo sembrano misteriose.”
    Così disse il signore con un orecchio acerbo
    quel giorno sul diretto Capranica – Viterbo.
    (Gianni Rodari)


    Maturare verso l’infanzia. Questa soltanto sarebbe l’autentica maturità.
    (Bruno Schulz)


Nadia Terranova (testo) e Ofra Amit (illustrazioni), Bruno. Il bambino che imparò a volare, Orecchio Acerbo, 2012.


L'articolo è tratto dal blog: L'angolo di Annarita (27 gennaio 2012).


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