FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia

Numero 26
aprile/giugno 2012

Botteghe

 

LE BOTTEGHE COLOR CANNELLA DI BRUNO SCHULZ

di Nadia Terranova



A quell’ora tarda restano talvolta ancora aperte alcune di quelle botteghe singolari e tanto attraenti di cui ci si dimentica nei giorni comuni. Io le chiamerei botteghe di cannella, dal colore delle brune boiseries che le rivestono. Quei negozi così nobili, ancora aperti a notte inoltrata, erano sempre stati oggetti di fervidi sogni. Fiocamente illuminati, scuri e solenni, i loro interni odoravano intensamente di vernici, lacca, incenso, aromi di terre lontane e merci rare.

Bruno Schulz, Le botteghe color cannella
traduzione di Anna Vivanti Salmon
Einaudi, 2001


Sono passati quasi dieci anni da quel giorno in cui, entrando nella libreria Fahrenheit a Campo de’ Fiori mi imbattei nelle Botteghe color cannella di Bruno Schulz. Non sapevo che quella libreria sarebbe diventata poi, nel tempo, una delle mie botteghe, né che quel libro era una merce rara dall’aroma di terre lontane e fervidi sogni. Se penso al mio incontro con il libro di Schulz, quell’incontro, nella metamorfosi del mio ricordo, è un’altra pagina del suo libro.
Che poi non di un libro si tratta ma di un vero e proprio scrigno, uno di quelli delle fiabe con tanto di lucchetto, chiave e sorprese lucenti.

Parole, immagini, racconti, la superba narrazione di un’infanzia mitologica e divina in cui tutto è accaduto: ecco cosa ci regala Schulz, amato e omaggiato da scrittori e artisti di tutto il mondo, da David Grossman a Cynthia Ozyck, da Francesco Cataluccio a Jonathan Safran Foer, dal regista Benjamin Geissler che nel decennio scorso portò alla luce gli affreschi di Schulz alla polacca Bruno Schulz Band i cui video rock sono ispirati al suo voluttuoso immaginario, un po’ chagalliano e un po’ kafkiano ma in realtà completamente e incatalogabilmente originale.
A poco a poco, dopo la sua morte, si è creato un piccolo culto immortale attorno a quest’uomo dall’aspetto buffo e la penna straordinaria sia nel disegno che nel materico impasto di parole. Ma chi era Schulz? Un genio scomparso nel 1942, a cinquant’anni - anche se io preferisco usare la parola sparizione: il suo corpo non fu mai ritrovato, come una beffarda rivincita sulla fine cui il nazismo lo costrinse.

Scrittore, giornalista, saggista, trascorse l’infanzia in una casa del quartiere ebraico della sua cittadina galiziana, una casa dominata da una madre che era la regina muta di un isolamento prima di tutto linguistico (Henrietta, che parlava solo ebraico), da una governante svelta e tirannica (Adela, zelante con la sua scopa sempre in mano) e soprattutto da un padre bizzarro, l’incontenibile Jakob bottegaio di tessuti a cui è dedicata la letteratura schulziana. Jakob lavorava nel cuore commerciale della cittadina di Drohobycz, quella manciata di botteghe esotiche che stimolarono la fantasia del piccolo Bruno tanto da essere poi ritratte nei suoi racconti fino a prestarsi come sineddoche per la sua intera opera.

Quasi dieci anni, dunque, sono passati dal mio incontro con le Botteghe. Ero, all’epoca, una neolaureata in filosofia, una semplice lettrice (militante, è vero, ma pur sempre una qualunque) appena sbarcata dalla Sicilia per seguire un corso di editoria. Quel libro è rimasto sempre sul mio comodino, accompagnandomi per quattro traslochi e una quantità inenarrabile di lavori cambiati. Oggi, che sono sempre qualunque ma oltre a leggere “scrivo e basta”, ho ritenuto doveroso omaggiarlo. A gennaio 2012 in occasione della Giornata della Memoria è uscito per Orecchio Acerbo un libro che ho scritto e che Ofra Amit, disegnatrice di Tel Aviv, ha splendidamente illustrato: si chiama Bruno il bambino che imparò a volare. Da allora ho incontrato decine di scuole, centinaia di ragazzi, dalle elementari al liceo, raccontando a tutti la storia di questo bambino dalla testa grossa e la corporatura esile che per sfuggire alla morte giocò uno scherzo sardonico all’ufficiale delle SS che gli puntava una pistola addosso.

Perché ho scritto questo libro? Per molti motivi, che vanno dall’omaggio al gioco, dalla bellezza della storia da narrare al “grazie Bruno” che era rimasto lì da qualche parte – ma soprattutto perché fra qualche anno un ex bambino mi contatti per dirmi che grazie al mio libro, una volta diventato grande, ha avuto voglia di leggere Bruno Schulz.




Bruno Schulz
nasce a Drohobycz, nella Galizia orientale, il 12 luglio 1892, da una famiglia di commercianti ebrei. Abbandonati gli studi di architettura, si dedica al disegno e alla lettura di opere letterarie. Tra il 1920 e il 1922 realizza una cartella di incisioni che intitola Il libro idolatrico. Nel 1933 (ma con la data del 1934) pubblica la prima raccolta di racconti: Le botteghe color cannella, che lo fa conoscere come uno dei più interessanti scrittori polacchi. Inizia a collaborare a varie riviste letterarie e continua la sua attività di pittore. Nel 1937 pubblica, con sue illustrazioni, una seconda raccolta di racconti: Il sanatorio all’insegna della Clessidra. Nel 1938 pubblica il racconto La cometa e lavora a un romanzo che andrà perduto. Con lo scoppio della guerra, Drohobycz viene occupata dai tedeschi. Il 19 novembre del 1942, quando era riuscito a procurarsi i documenti falsi per espatriare, Bruno Schulz viene ammazzato da un funzionario della Gestapo.
Il suo corpo non verrà mai ritrovato.
Einaudi ha pubblicato Le botteghe color cannella. Tutti i racconti, i saggi, e i disegni (a cura di Francesco M. Cataluccio, 2001 e 2008) e la raccolta di racconti L’epoca geniale e altri racconti (2009).


nadiaterra@alice.it