FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia

Numero 23
luglio/settembre 2011

Vulcani

 

RAFAEL FELIPE OTERIÑO
Tutte le mattine

di Alessio Brandolini



Pubblicato in Argentina nel 2010 Tutte le mattine (Todas la mañanas) è l’ultimo libro di poesia di Rafael Felipe Oteriño, poeta nato a La Plata nel 1945. L’esordio risale al 1966, con Altas lluvias, seguito, a dieci anni di distanza, da Campo visual. Negli anni ottanta pubblica Rara materia (1980), El principe de la fiesta (1983) e El invierno lúcido (1987). Negli anni novanta escono La colina (1992) e Lengua madre (1995). Più recenti sono El orden de las olas (2000), Cármenes (2003), Ágora (2005) e ora questo Todas la mañanas, undicesima raccolta di Oteriño, per le Ediciones del Copista nella collana Fénix diretta da Pablo Anadón. Nel 2009 è stata pubblicata un’antologia della sua opera poetica (En la mesa desnuda).
Oteriño ha ricevuto diversi premi di poesia, fa parte della “Academia Argentina de Letras” ed è professore presso l’Università del Mar del Plata, dove vive.

Tutte le mattine è suddiviso in cinque sezioni, una partitura che si dipana lungo un percorso di ricerca esistenziale. Poesia concentrata sulla riflessione e l’ascolto dove la natura, il dolore, il tempo tracciano linee circolari e misteriosi labirinti in un linguaggio essenziale e asciutto. Alla fine ci si ritrova dentro un percorso di specchi che riflettono la realtà, moltiplicandola: quale sarà quella vera, o quella giusta? “Che gli specchi riflettano / il nostro vero volto deformato”. Ogni giorno, “tutte le mattine”, una scoperta nuova, oppure antica, provoca l’espansione dei sensi e della conoscenza. I confini si spostano in continuazione, oscillano tra mondi diversi e apparentemente distanti: sogno e realtà, luci ed ombre, finzione e parodia, letteratura (poesia) e lenta (intensa) vita quotidiana.




DIECI POESIE DI RAFAEL FELIPE OTERIÑO
da Todas la mañanas / Tutte le mattine


          Nuestro deber es imaginar
          que hay un laberinto y un hilo

                     Jorge Louis Borges


EL CISNE

Hace quince años, quizás más,
hallé un cisne en este rincón del acantilado.
La tormenta lo había arrojado contra las rocas
y el mar lamía sus alas pesadas, untuosas.

Hijo del sol,
esperaba que el sol secara sus plumas
para continuar el viaje.

Pasó la mañana,
y los perros hambrientos dieron con él:
los eludió una, dos veces,
amenazándolos, con un pico inepto para el combate.

Hasta que el cuello cortado
cayó sobre la arena, junto a resaca de corales,
algas verdes y un rumor sordo
de carne martirizada y viento.

Había, en todo eso, ferocidad y belleza,
porque sobre las rocas, como una heráldica
del universo,
también yacía la blanca
disección de una ala: tan blanca,
que hubiera sido justo
que levantara vuelo, aun sin rumbo.

Ahora vuelvo a esta playa
y sólo mi memoria es más nítida, más poderosa:
entre el retumbar del viento
y el ímpetu de las olas,
guarda del cisne su violentada espera.


IL CIGNO

Quindici anni fa, forse più,
incontrai un cigno in quest’angolo della scogliera.
La tormenta lo aveva sbattuto contro le rocce
ed il mare leccava le sue ali pesanti, untuose.

Figlio del sole,
aspettava che il sole asciugasse le sue piume
per continuare il viaggio.

Passò la mattina,
e cani affamati s’imbatterono in lui:
li evitò una, due volte,
minacciandoli con un becco inadatto al combattimento.

Finché il collo tagliato
cadde sulla sabbia, assieme a riflussi di corallo,
alghe verdi e un rumore sordo
di carne martirizzata e vento.

C’era, in tutto questo, ferocità e bellezza,
perché sulle rocce, come un’araldica
dell’universo,
giaceva anche la bianca
dissezione di un’ala: così bianca,
che sarebbe stato giusto
che s’innalzasse in volo, sebbene senza rotta.

Ora torno a questa spiaggia,
e solo la mia memoria è più nitida, più poderosa:
tra il rimbombare del vento
e l’impeto delle onde,
conserva del cigno la sua violentata attesa.


TEMPRANO

Me levanto temprano.
El mercurio una vez alto, otra vez bajo.
veo crecer el día, y con el día, el sol.

El sol se levantó antes y me aventaja por varias horas.

Primero, en la ventana;
luego, nel cielorraso y las paredes;
antes pasó por la superficie lisa del mar.

De su mano me encuentro con la mañana.

La mañana es mi promesa.
Ignora, como yo, los atajos, los puentes escondidos.
Aunque podría adivinarlos, si quisiera.

Confía y espera,
mientras acaricia todas las cosas: buena, apasionada.

Confía y espera, igual que yo,
poder ver cada cosa.
Cada cosa dentro de su instante.


PRESTO

Mi alzo presto.
Il mercurio una volta alto, un’altra volta basso.
Vedo crescere il giorno, e con il giorno, il sole.

Il sole s’alzò prima e mi precede di varie ore.

In primo luogo, nella finestra:
dopo, sul soffitto e le pareti;
prima passò sulla superficie liscia del mare.

Presso la sua mano m’incontro con il mattino.

Il mattino è la mia promessa.
Ignora, come me, le scorciatoie, i ponti nascosti.
Anche se potrebbe indovinarli, se volesse.

Confida e spera,
mentre accarezza tutte le cose: buona, appassionata.

Confida e spera, come me,
di poter vedere tutte le cose.
Ogni cosa dentro il suo istante.


LA CAVERNA

Tiene la sustancia del mundo: la oscuridad.
Una boca por entero abierta,
silencios de gigante que no se entienden.
El viento ha arrojado allí unas pocas palabras y las repite,
pero no son más que palabras, pues no regresan.

Yo permanezco a su lado: del lado del fuego.
Custodio la entrada y me observo
recortado en la sombra (no soy más que sombra.
Tengo la sustancia de los hombres:
curiosidad y entrega, orgullo y obstinación.


LA CAVERNA

Ha lo sostanza del mondo: la oscurità.
Una bocca del tutto aperta.
Silenzi di gigante che non s’intendono.
Il vento ha lanciato lì qualche parola e la ripete,
ma non sono che parole, perché non ritornano.

Io resto al suo fianco: dalla parte del fuoco.
Custodisco l’entrata e mi osservo
ritagliato nell’ombra (non sono altro che ombra).
Ho la sostanza degli uomini:
curiosità e consegna, orgoglio e ostinazione.


PARÁBOLA

Aparece de pronto en el horizonte, con grandes bocanadas de humo blanco. Deja a nuestro lado su estrépito de hierros calientes y va directamente al corazón del más joven.

Pero una ventanilla, que dura apenas un segundo en la retina, nos dice que hay más en la entrañas, hacia donde ella va. Más de lo inmenso que gira entre sus ruedas; más de lo finito que se consuma en los rieles.

El joven la tiene ahora en sus manos y comienza una tracción que dura años: tomarle la fiebre, acunarla despacio, enderezar el ojo bizco. Mientras el maquinista ajusta los relojes, para que el universo prosiga su viaje.

Gratitud y palabras quemadas en lo que queda de la vida.


PARABOLA

All’improvviso appare all’orizzonte, con grandi boccate di fumo bianco. Lascia al nostro fianco il suo strepito di ferri roventi e va direttamente al cuore del più giovane.

Ma un finestrino, che dura appena un secondo nella retina, ci dice che c’è qualcosa di più nelle viscere, verso dove si dirige. Più della cosa immensa che gira tra le sue ruote; più della cosa finita che si consuma sui binari.

Il giovane ora la tiene in mano e inizia una trazione che dura anni: misurarle la febbre, cullarla lentamente, indirizzarne l’occhio strabico. Mentre il macchinista aggiusta gli orologi, affinché l’universo prosegua il suo viaggio.

Gratitudine e parole bruciate in ciò che resta della vita.


ESA VEZ, PLATÓN

Esa vez, Platón se equivocó: los poetas
no devuelven imágenes repetidas,
no conspiran contra la fidelidad de los espejos.
Hacen que el árbol de la razón
parezca enano. Que los espejos devuelvan
nuestro verdadero rostro deformado.
Tal cual es: con ojos hundidos
y una luz brevísima que irrumpe y desaparece.
Los poetas rescatan la moneda
que se perdió en el fondo del lago,
la gota que sin cesar perfora la piedra,
y eso también concierne a la República.


QUELLA VOLTA, PLATONE

Quella volta, Platone si sbagliò: i poeti
non restituiscono immagini consuete,
non cospirano contro la fedeltà degli specchi.
Fanno in modo che l’albero della ragione
sembri nano. Che gli specchi riflettano
il nostro vero volto deformato.
Così com’è: con occhi infossati
e una rapida luce che irrompe e scompare.
I poeti riscattano la moneta
smarrita nel fondo del lago,
la goccia su goccia che perfora la pietra
e anche questo riguarda la Repubblica.


JE NE SAIS PAS

Je ne sais pas, Monsieur, respondía Beckett
cuando le preguntaban por sus obras.
Ahí están ellas: han salido de mi boca
y de mis manos, pero no me pertenecen;
dicen lo que tampoco yo comprendo
¡me son tan extrañas como a usted!
sólo que yo, por cercanía, las escuché antes.

No me explican; pero tampoco mis piernas
me explican, ni mis pies son solícitos
cuando marcho: sobreviven en un mundo
que ayudan a construir andando;
toman el atajo que no lleva a ninguna parte,
mientras repiten de la nada un eco:
je ne sais pas, Monsieur, igual que el viento.


JE NE SAIS PAS

Je ne sais pas, Monsieur, rispondeva Beckett
quando gli chiedevano delle sue opere.
Loro stanno lì: sono uscite dalla mia bocca
e dalle mie mani, ma non mi appartengono;
dicono quello che nemmeno io comprendo:
a me sono estranee quanto a lei!
solo che io, per vicinanza, le ascoltai prima.

Non mi spiegano; ma nemmeno le mie gambe
mi spiegano, né i miei piedi sono scattanti
quando vado: sopravvivono in un mondo
che aiutano a costruire camminando;
prendono la scorciatoia che non porta da nessuna parte,
mentre ripetono dal nulla una eco:
je ne sais pas, Monsieur, così come il vento.


LOSAS INCLINADAS

        a Joaquín Giannuzzi,
        quien me pidió que visitara la tumba de Kafka
Las lápidas de los cementerios a veces se inclinan, cansadas de conversar sólo con los muertos. En un cementerio de provincia vi una que había perdido a tal extremo su vertical que era imposible leer la leyenda.

En el cementerio judío de Praga las tumbas se superponen unas a otras y lo que se inclina es la losa entera que guarda los restos. Sobre ellas los deudos acumulan pequeñas piedras encimadas, hasta formar una suma que luego se desnivela y cae.

Una prueba de que también la muerte pierde la cuenta de los muertos y opta por su libertad.

(Es lo que, tardíamente, puedo contarte, ahora que sucesivas piedras se acumulan en tu frente, allá en el Norte lejano).


LAPIDI INCLINATE

        a Joaquín Giannuzzi,
        che mi chiese di visitare la tomba di Kafka
Talvolta le lapidi dei cimiteri s’inclinano, stanche di conversare soltanto coi morti. In un cimitero di provincia ne vidi una che aveva perso a tal punto la sua verticalità che era impossibile leggere l’epitaffio.

Nel cimitero ebraico di Praga le tombe si sovrappongono una all’altra e quello che s’inclina è la lapide intera che custodisce i resti. Su di esse i parenti accumulano piccole pietre una sull’altra, fino a formare un ammasso che poi si sbilancia e cade.

Una prova che anche la morte perde il conto dei morti e opta per la loro libertà.

(È quello che posso, tardivamente, raccontarti, ora che successive pietre si accumulano sulla tua fronte, lì nel Nord lontano).


ESA CIUDAD

Esa ciudad se apaga cuando me duermo:
los ventanales no reflejan el sol,
los semáforos dejan libre el paso de los autos,
las sombras vacilan unos segundos,
atraviesan una puerta y desaparecen;
sobre el mantel, el crucigrama está resuelto
y una mano dobla las páginas del diario.

Nada de lo habitual permanece en pie:
los tranvías giran veloces,
se enturbia el agua de los jardines,
un velo de ceniza se extiende sobre las plazas,
cubriendo el lago, los botes y los remos,
los verdes del bosque desaparecen.

Arrebatados por una nube,
quedan más solos los animales del zoológicos;
se ausentan, de pie, las estatuas,
mientras un viento repentino dispersa los colores
y borra, ya sin luz, los cables del teléfono
y el borde cansado de las cosas.

Pero, ay, todavía queda algo que no he dicho:
esa ciudad continúa dentro del sueño.


QUELLA CITTÀ

Quella città si spegne quando mi addormento:
le grandi finestre non riflettono il sole,
i semafori lasciano libero il passo alle auto,
le ombre vacillano alcuni secondi,
attraversano una porta e scompaiono;
sulla tovaglia, il cruciverba terminato
e una mano volta le pagine del diario.

Nulla di ciò che è consueto resta in piedi:
i tram girano veloci,
s’intorbidisce l’acqua dei giardini,
un velo di cenere si estende sulle piazze,
copre il lago, le imbarcazioni e i remi,
i verdi del bosco svaniscono.

Strappati da una nube,
rimangono più soli gli animali dello zoo;
si assentano, restando in piedi, le statue,
mentre un vento improvviso disperde i colori
e cancella, già senza luce, i cavi telefonici
e il bordo stanco delle cose.

Eppure rimane qualcosa che non ho detto:
quella città continua dentro il sogno.


ARTES

Primero, el arte de ser derrotado;
luego, el arte de conversar a solas;
más tarde, la serena indiferencia;
por último, el arte de no ver nada
aun viéndolo todo.

Cuánto tuvo que aprender esta cabeza
para ser calva, enteramente calva
–por dentro y por fuera–,
en el camino de una nube
que se aproxima despacio.


ARTI

Prima di tutto, l’arte d’essere sconfitto;
poi, l’arte di conversare da soli;
più tardi la serena indifferenza;
infine, l’arte di non vedere nulla
pur tutto vedendo.

Quanto ha dovuto apprendere questa testa
per essere calva, totalmente calva
– sia dentro che fuori –,
durante il tragitto di una nuvola
che lentamente si avvicina.


NO HAY ORILLA

No he estado donde el agua se quema y el fuego
         baja a beber
ni he visto a la primavera entrar a la caja de música.
No he hallado las señales que me hubieran devuelto
a la antigua morada donde se enciende el sol.
Nunca estuve lejos de la selva ácida de los nombres
y de la servidumbre de los hechos reales.
No llevo bajo la axila las llaves herbosas de la orilla,
porque no hay orilla: sólo peces de un solo ojo
que nadan contra la corriente, sólo aves lampiñas
que muerden una estrella de sal. Sólo
         la palabra felicidad
oscilando frente a los ojos, y una luna creciente
para que la luz de lo más leve brille.


NON C’È SPONDA

Non sono stato dove l’acqua si brucia e il fuoco
         scende a bere
né ho visto la primavera entrare nel carillon.
Non ho trovato i segni che mi avrebbero restituito
all’antica dimora dove si accende il sole.
Non sono mai stato lontano dalla selva acida dei nomi
e della sottomissione ai fatti reali.
Non porto sotto l’ascella le chiavi erbose della sponda,
perché non c’è sponda: solo pesci con un solo occhio
che nuotano controcorrente, solo uccelli imberbi
che mordono una stella di sale. Soltanto
         la parola felicità
che oscilla dinanzi agli occhi, e una luna crescente
affinché brilli la luce della cosa più lieve.



Traduzione dallo spagnolo di Alessio Brandolini


alexbrando@libero.it