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Che quando apri la porta compari nuda come in un quadro di Balthus, Chagall, Klimt, Klee, signora K o scomposta in tenuta blu, un seno due labbra, anche quando mi dici ma che favola sei la fiammiferaia di Andersen e invece no, dico io, semmai il pifferaio di Hamelin anche se non saprei giustificare una scelta simile neppure se ti rifilo quell’altra favola, mentre ti osservo chinata a rifare il letto, delle sirene che non ti resisto ne parlò per primo perfino l’autore del Margite o chi per lui, chiunque fosse.
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Hai adibito il mio amore al reparto rottamazioni cartellino con su scritto in maiuscolo GIACENZA (una baby-sitter che non crede nella sua missione mangia patatine guardando la televisione) il mio amore è da mesi che gira solo, smarrito, su un nastro trasportatore come un bagaglio non recuperato volo AO9RFI aereo arrivato a destinazione.
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Scrivere un romanzo dal titolo La responsabilità degli oggetti così da potersi liberare in anticipo da eventuali assortimenti di colpe. Dare la tinta alle tue iridi color terra dei gerani lasciati in un vaso ad agosto su una terrazza all’ultimo piano. Masticare il tuo nome esercizi di pronuncia del poliglotta provetto. Rendere nota al pubblico la tua assenza e la mia ricerca come quando da piccoli ci si perde in una festa di paese la Signorina K. è attesa impazientemente dal figlio.
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La teina compie il suo decorso il resto, l’ultimo sorso, utile per annaffiare le piante secche sulla terrazza dove trascorrerò l’ennesimo luglio a scrivere delle gemme che ti fioriscono addosso. In tua assenza parlerò di oroscopi cinesi di una sceneggiatura mai scritta e mi difenderò da una cagna vegetariana. Una saga familiare per combattere l’afa primo piano secondo piano terzo piano o anche sul letto, a sfogliare e trasformare il discorso indiretto in diretto. Prima delle passeggiate ad Ognina compilerò telegrammi telegrafici da spedire a persone che neppure sospettano il mio uso avventato di parole. È ben accetto l’imprevisto. Purché sufficientemente prevedibile.
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Per caso hai appresso con te quel mucchio di note miste a parole romantiche, che s’incastrano al glicine che cade dai viali, e che dice ancora c’è tempo, la tengo in testa da giorni, e non vedo l’ora che scappi come un canarino dalla gabbia. Invece tu fabbrichi silenzio, ed eviti accuratamente le ali mozze delle mie ciglia inselvatichite dai viaggi, e mi hai parlato di lui, dei suoi sogni erotici, e io di quell’altra ma non posso dire di più, non posso scrivere di croci ebraiche, di sant’andrea, di san giacomo non sarebbe corretto dicono. Dicono così. Correggimi le labbra allora, oramai ho scartavetrato i ricordi di quella casa e posso venire ogni volta che voglio per osservare in silenzio dalla terrazza il dinosauro che avete nascosto in cortile. Eppure era giugno. Come di questi tempi.
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Improvvisando sul momento canovacci ho distratto la vita mi fai ma solo per qualche minuto mentre io immaginavo vite igroscopiche ed edificavo impalcature soppalchi mansarde di personaggi ricchi di tendini con i risultati che puoi immaginare ho praticato mestieri senza lode mi confidi leggendo il bagatto, l’appeso, l’imperatore e urlando fingere amplessi al telefono o sussurrare parole dolci e zuccherine quando io piuttosto dormo anche negli intervalli, inganno dell’accorciare le ore utili, vecchio trucco da dilettanti amatoriali.
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Al supermarket avremmo comprato dell’uva fuori stagione, incartata nell’ultima pagina della Gazzetta di ieri l’altro, e avremmo avuto evidenti difficoltà a graffiarla con le unghie, l’avresti così nascosta sotto i tendaggi del tuo corpo assai poco prosastico c’è da crederci anche perché Agostino tu m’insegni, dissertò sull’esatta misura dell’amore lo hai detto oggi al telefono mentre cercavo notizie attendibili da sprecare su Diogene di Sinope che quella volta ieri l’altro, ci fece dire in cucina mentre t’entravo in camera C'è un sogno che ci sta sognando e non solo nel dirlo, ma anche nel pensarlo ti baciavo il collo, riempivo di te le mani.
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Una pioggia di soffioni, in diagonale polline che graffia i vetri delle mie perpendicolari parallele, e metrò in deposito per protesta contro queste giornate di sole, e sugli scalini di una chiesa senza santi ad attendere che la notte arrivi. Pensarti e scriverti è la declinazione massima che sei un anguilla dei mari del nord e lo penso mentre m’appunto sulla pelle di disfarsi ancora una volta, ripromettersi, di spogliarsi di qualsiasi mittente, che di te non ho più notizie mi sembra da anni. L’insonnia è difficile da curare nei treni in movimento e sai, ho pianto meno di due volte al mese dormendo disteso su allevamenti di scritture impersonali e mi hanno riferito e confermato che parlo ancora nel sonno perfino rido. E tenuto occhi incantati, all’incanto nel ritrovarti in sogno mentre t’abbandoni in una poesia dove racconti della signora Carla e di una dattilografa, o era un’infermiera che scambia ciglia sul lavandino per spermatozoi.
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Sembra che tu sia venuto soltanto per tamburellare le tue dita sulla superficie trasparente dei miei vetri a coltivare tutte le frasi non dette tutte le parole da non dire mentre fingi di far prendere appunti alle tue pupille di cosa parlerai, delle mensole laccate delle riproduzioni di Gauguin esotico quanto basta per le mie pareti magari ti rilassi ascoltando questo disco che musica ascolti mi dicono chi te la fornisce come fosse crack o droga da annusare credo che dovresti dirmelo, estirpati i silenzi dimmelo che non sei venuto per altro che non fosse una visita di routine sullo stato dei miei seni o magari per sentire le mie labbra che sapore hanno oggi? Menta?
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Ero su un’isola sperduta del pacifico oceano Atlantico (volevo che ci fosse il mare) e ora ti chiamo dall’Appia, amo questo posto sarà il primo che vedrai. (Ero in fuga da un amore terminale disperata ho tolto l’alimentazione). La mia voce è ancora macchiata del vino dei colli ho bevuto nell’attesa di parlarti. Inoltre vorrei dirti che il letto su cui mi rigiro è a una piazza e mezza francese in due ci si sta comodi.
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Anni fa ho cercato lavoro a San Juan, Portorico ma alla fine tutto si tradusse in un bivacco una domenica come oggi eravamo in mare aperto, in barca lì c’è del plancton fosforescente se smuovi le acque ad esempio tu prova vai in Portorico se smuovi le acque e immergi le caviglie nel mare ti si vedono i piedi luccicanti, come si dice, luccichio? (E mentre parli sgretoli il passato sulla sabbia) Se dico gabbiani tu che rispondi? Se mi dici gabbiani io rispondo discarica.
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