Molti conoscono la Luciana Stegagno Picchio (1920-2008) filologa e somma studiosa e critica delle letterature di lingua portoghese, ma non tutti conoscono la Luciana poeta che, quasi in sordina, pubblicò nel 1993, presso Scheiwiller, un libricino prezioso quanto raro, La terra dei lotofagi.
Lei teneva questo libro, dalla copertina di un verde allegro, in un angolo nascosto del suo studio e lo regalava agli amici più intimi e dietro insistenze, quasi come se si vergognasse di invadere spazi altrui, lei amante amorosa della poesia, capace di frequentare il deserto e il Canaan con la stessa urgenza e la stessa fame dei grandi poeti, capace di sentire verticalmente le cose del mondo e di arrivare, in un momento di estasi, a toccare Dio (sempre che ciò sia permesso a noi umani).
La terra dei lotofagi è un piccolo ma commovente libro che si legge tutto d’un fiato. Il titolo è un riferimento al mitico popolo citato nell’Odissea (IX, 82-97) in cui si narra di come Ulisse, dopo giorni di tempesta, approdasse alla terra dei lotofagi, una popolazione che si cibava soprattutto di un fiore, il loto, che aveva la caratteristica di far perdere la memoria. Ulisse lo evita accuratamente perché vuole tornare nella sua terra, mentre Jorge de Sena, il poeta portoghese con il quale Luciana dialoga per tutta la raccolta, avrebbe voluto mangiare del fiore dell’oblio per poter dimenticare il dolore dell’esule.
La raccolta in parte fu scritta a Santa Barbara, sulle coste californiane, fra il 1981 e il 1982, durante un periodo di insegnamento di Luciana presso quell’Università (periodo che la stessa autrice definisce come di “isolamento”) in ricordo proprio di Jorge de Sena, intellettuale, poeta e scrittore portoghese fra i più grandi, che dovette lasciare il suo paese come esiliato politico nel 1959. Jorge de Sena si rifugiò prima in Brasile poi negli Stati Uniti e non tornò più a vivere in Portogallo, neanche dopo la Rivoluzione dei Garofani del 1974, sebbene vivesse la lontananza dalla sua terra con nostalgia e sofferenza. Nei confronti di quel Portogallo, imbrigliato da un regime dittatoriale tra i più lunghi d’Europa, Jorge de Sena provava amore e odio in egual misura.
Luciana e Sena furono grandi amici. Li legava non solo l’amore per la lingua portoghese e per la poesia, ma anche l’amore per i grandi scrittori di ogni tempo, nonché il fatto che entrambi fossero professori universitari e critici fra i più colti e competenti. Sena morì nel 1978 e fu sepolto nel "Calvari Cemetery" di Santa Barbara. E proprio da quel luogo trae ispirazione l’amica tornata dopo la morte del poeta per riprendere il filo di un discorso interrotto, per ricercarlo nei posti da lui amati, per testimoniare che la poesia vince la morte e che attraverso di essa si poteva scorgere ancora il poeta, con tutta la passione e il dolore provati in vita, a vegliare dall’altra parte del grande Oceano sul suo Portogallo.
La terra di lotofagi è diviso in quattro parti; la prima è una sorta di requiem, scritta nei luoghi concreti in cui Jorge de Sena visse e morì (“Non c’è pace quaggiù per chi ti ha amato”, afferma l’autrice); le altre parti, “Ritorno” e “L’acquario del silenzio”, raccolgono poesie scritte fra il 1980 e il 1992; infine, la quarta sessione, dal titolo “Traduzione”, reca la data 1980-1988.
Ora, che è recente la scomparsa di Luciana Stegagno Picchio, questi versi intensi ci paiono come dei messaggi arrivati da una misteriosa terra dell’oblio, anche se subito ne riconosciamo le parole piene di vita, le parole calde e luminose di chi non vuole dimenticare né la vita né il suo rumore, né il segno umano impresso sulle cose, né il posto lasciato dal corpo nell’ombra che si allunga sulle sabbie e le acque del mondo.
C’è in questa raccolta apparentemente disarticolata, quasi che l’autrice volesse far perdere le sue tracce dietro le parole e le citazioni di grandi poeti (da Omero a Baudelaire, da Rafael Alberti a Murilo Mendes, da Mário de Sá-Carneiro a Fernado Pessoa), una nostalgia dolorosa e diffusa. E c’è la sensazione vera e reale che il tempo sia fermo e che lo stesso spazio sia un “nessun luogo” dove le anime – più che i corpi – si incontrano per davvero, i vivi e i morti; un’intersezione di tempi-spazi che Murilo Mendes, un altro grande poeta di lingua portoghese che fu amico di Luciana, descrive così bene nel suo libro di viaggi Carta Geográfica. Questi momenti magici di sospensione e la sensazione totale di estraniamento, del “lontano da tutto”, così rari nella nostra vita, sono paradossalmente preziosi poiché propizi alla poesia.
La parte che più emoziona in quest’opera è la terza. E mi viene da pensare al perché Luciana abbia aspettato tanto per dare alle stampe questo libro e al perché non ne abbia pubblicati altri o anche a sospettare che, fra le sue carte e fra i suoi archivi e libri, chissà che tesori di poesia non si possano trovare. Ma è pur vero che ogni poeta deve pubblicare quando si sente pronto per farlo, anche se alcuni, come Fernando Pessoa, non si siano mai decisi a farlo in vita e c’è stato bisogno del lavoro certosino di schiere di filologi e critici per tracciare la mappa sempre provvisoria della loro opera.
Sono tante le poesie antologiche presenti in La terra dei lotofagi, come “Della difficoltà di parlare con i morti”, “Frammento ma forse stornello”, “Natale”, “La cornice”, “Quando tu morivi”, “Cantabile di Galizia”, “Ricetta”, “Secondo principio della termodinamica”, “L’ispirazione endecasillabica”, “Poetica”. Mi rendo conto di avere citato buona parte dei testi, ma la raccolta è fatta di poesie limpide, essenziali e toccanti nella loro sincerità (e immagino come sia stato difficile per l’autrice esporsi così). Il libro è una sorta di diario intimo e riflessivo di chi guarda le cose da dentro e allo stesso tempo da fuori, con amore e ironia. Sono scene quotidiane che fanno da contrappunto alla morte sempre in agguato. C’è malinconia e dolore e un’immagine di noi, precisa e pungente, seguiti dalla morte che, come afferma l’autrice, ci “viene dietro come un cane”.
POESIE DI LUCIANA STEGAGNO PICCHIO
DELLA DIFFICOLTÀ DI PARLARE CON I MORTI
Dicevano che i morti vivono accanto a noi sospesi e si vergognano di essere morti Noi non udiamo le loro voci pallide Si nascondono nelle pieghe della vita e solo chi tace può udire il loro gemito Qui dove il silenzio è di sequoia e le montagne senza nuvole separano oltre il mistero il mondo degli umani li ho sentiti piangere fra le ginestre Mi volgevo di scatto nel tramonto e c’era solo un fiore giallo senza tempo
Montecito
NATALE
ed è subito Natale il tempo non ha più ali di falco e con goffi saltini di picciona impasta i giorni in fiumi di progetti e in rimorsi annotti e inalbi la morte ti vien dietro come un cane
LA CORNICE
Sei vecchio quando t’incornici Sei vecchio quando ti recuperi e antologizzi Sei vecchio quando la tua opera non l’hai più davanti ma dietro le tue spalle Non raccattare il foglio spiegazzato non riproporre il motto riuscito Inventa fin che puoi ogni tuo gesto Sii libero da te più che dagli altri Non s’incornicia il flusso della vita Non si giudica un uomo ancora vivo
QUANDO TU MORIVI
Quando tu morivi mi pareva che morisse il mondo Slabbrati i bordi delle strade al mio incedere chino E polvere di cenere sulle cose di ieri Estraneo ogni volto intrusa col mio corpo ogni presenza nell’acquario del silenzio annegavamo
RICETTA
a Ruggero Jacobbi
Trasgredire sempre Fare sempre l’altra cosa Riempire lo spazio delle ore di vuoto in perdita Perdere il tempo a blocchi E poi Buttare tutto se stesso nell’intervallo tempo interdetto e dubitoso spazio privato minimo cornice notte Col paradigma laggiù di Machiavelli e dei suoi beffardi abiti curiali
L’ISPIRAZIONE ENDECASSILLABICA
Falesie di Monterey
Come un gusto un profumo che evapora tra la gola e le nari sentire pianamente salire poesia Nel silenzio del corpo rifiutato pesare le parole ad una ad una come chi sfregola piano sul palato la madeleine di un’infanzia non sua Perché tutta la vita e l’amore e il dolore e i sentimenti che pensavi eccelsi e i pensieri che credevi arguti non potrebbero da soli riempire la battute di questo endecasillabo
|
Le poesie selezionate sono tratte dalla raccolta La terra dei lotofagi – poesie con note, All’Insegna del Pesce D’Oro, Vanni Scheiwiller, Milano 1993
velucia@tin.it
Vedi anche, su questo numero
Il Brasile di Via Civitavecchia, numero 7 - Roma. Un ricordo di Luciana Stegagno Picchio
di Vera Lúcia de Oliveira