FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia
Numero 12
ottobre/dicembre 2008

Suoni di versi

LA POESIA DI CHANTAL MAILLARD

a cura di Pablo Luque Pinilla



Il Mistero è una parola che dice la nostra ignoranza1

CHANTAL MAILLARD

Chantal Maillard nasce nel 1951 a Bruxelles da genitori belgi; fino all’età di 13 anni rimane a vivere nella patria d’origine per poi trasferirsi in Spagna dove, a 17 anni, ottiene la nazionalità spagnola. Da allora risiede in Spagna, anche se tra il 1987 e il 1988 è stata a Benarés, presso la cui università si è specializzata in Filosofia e Religione dell’India. Ha conseguito il Dottorato di Ricerca in Filosofia Pura, è stata docente di Estetica e Teoria delle Arti presso il Dipartimento di filosofia dell’Università di Malaga.
La sua opera poetica comprende i seguenti volumi: Azul en re menor (1982), La otra orilla (1990), Hainuwele (1990), Poemas a mi muerte (1993, rieditato nel 2005 come integrazione a La otra orilla), Semillas para un cuerpo (1987), Conjuros (2001), Lógica borrosa (2002), Matar a Platón (2004) e Hilos (2007).

In parallelo alla produzione poetica, ha scritto anche saggi e diari, non sempre facilmente inquadrabili e spesso strettamente legati ai suoi libri di poesia. Tra questi ricordiamo: El monte Lu en lluvia y niebla, María Zambrano y lo divino (1990), La creación por la metáfora. Introducción a la razón poética (1992), El crimen perfecto. Aproximación a la estética india (1993), La sabiduría como estética. China: Confucianismo, budismo Y taoísmo (1995), La razón estética (1998), Rasa. Teoría del placer estético (1999), Diario de Benarés (2001), El árbol de la vida (2001), Filosofía en los días críticos (2001), Diarios indios (2005) e Husos: Notas al margen (2006).
Ha scritto anche articoli di filosofia, estetica e pensiero orientale che sono apparsi sui supplementi culturali dei quotidiani spagnoli "El País" e "ABC".
La sua poesia, tradotta in varie lingue, ha ricevuto il riconoscimento di numerosi premi letterari: “Premio Leonor”, “Ciudad de Córdoba”, “Premio Juan Sierra”, “Ciudad de Santa Cruz de la Palma”, “Premio Nacional de Poesía” nel 2004 per Matar a Platón e “Premio de la Crítica” nel 2006 per Hilos. Proprio questi due ultimi premi di grande prestigio, specie il primo, l’hanno resa popolare al grande pubblico.

La poesia di Chantal Maillard ricorre, fondamentalmente, alle forme metriche della silva libre dispari e verso composto, anch’esso dispari, verso libero e poesia in prosa, con netta prevalenza della prima. Dal punto di vista stilistico, si appoggia sul ritmo della silva presente in gran parte della sua produzione, risultando però molto personale in virtù del fatto che riesce ad adattarsi in modo straordinario ai temi affrontati nei testi, da cui scaturisce un itinerario lirico estremamente originale e profondo. Così, all’interno del suo percorso poetico, ogni nuova pubblicazione finisce per esplorare rinnovati ambiti di ricerca esistenziale ed estetica.
Scendendo nello specifico, in Hainuwele, l’io poetico esprime una coscienza di profonda unità con la natura, con cui armonizza a partire dall’innocenza. Una innocenza (l’aspetto animale per eccellenza, come in qualche occasione ha avuto modo di scrivere) che costituisce la chiave di accesso a un battito sotterraneo che percorre ogni cosa, e che la poetessa non identifica con nessuna forma di essenza in particolare, risultando così innominato. Solo più tardi, in uno dei suoi libri posteriori, ci rivelerà che per lei «non c’è essenza, né essere, ma un continuo tracciato»2. In quest’opera, ricreando il mito di Hainuwele, dei Marind Amin della Nueva Guinea, come spiega Mircea Eliade nel suo libro Mito e realtà, difende una ragione che in ultima istanza diviene apertura al mistero, accessibile solamente quando essa depone le armi, ovvero attraverso un atteggiamento di ascolto e abbandono ultimi che Chantal Maillard ha denominato, in alcuni dei suoi saggi, «ragione estetica», allontanandosi, quindi, dalla «ragione poetica» di María Zambrano, di cui è profonda conoscitrice. In questo modo, se per Zambrano la ragione - poetica - riconosce l’esistenza di un punto di fuga in cui si afferma e si manifesta come portatrice di senso, per Maillard la ragione esercita una ruolo, al limite, di carattere strumentale il cui il fattore prioritario è il sorta di finale indifferenza. Una posizione questa, fortemente impregnata di filosofia orientale, come si può vedere dalle sue successive pubblicazioni.

Così, in Poemas a mi muerte (che include anche la raccolta El río) si affronta il tema della morte in una doppia prospettiva, occidentale e orientale; nel prologo alla seconda edizione, l’autrice spiega le differenze tra queste due posizioni che, in ognuno dei due libri, vengono presentate come una maniera di stare di fronte alla morte: «una, propria dell’Occidente postilluminista, in cui la morte è la morte dell’individuo strappato via dal mondo, per cui si manifesta come assenza radicale, e l’altra, quella dell’Oriente tradizionale, in cui la morte è al tempo stesso la morte in sé e il modo che l’universo ha per continuare a vivere.»3
In Conjuros, poi, le posizioni si fanno esplicite, dando poco spazio alle interpretazioni. Si insiste sul fatto che non è fondamentale l’io, ma il suo carattere inafferrabile, poiché esiste solamente quello che vediamo. All’interno della raccolta, gli esempi al riguardo sono diversi, tutti volti a dimostrare che la chiave per ottenere questa coscienza è la pratica di un nuovo modo di guardare, in cui «…Essere liberi/ è badare al mistero/ su cui l’anima si modella.»4 Da questo, poi, si desume un’etica dell’abbandono, che comporta la negazione del desiderio e della speranza allo scopo di raggiungere una status di pace.

Con Lógica borrosa, questa visione si trasferisce all’esperienza amorosa; qui, tra le altre cose, emerge il dolore che si genera nell’alimentare la ferita del desiderio, poiché, in fin dei conti «La gioia è dolore perché è puro progetto» e le «fiamme solo si potran dissolvere in se stesse.»5 La racconta, poi, si chiude con un commovente paradosso: l’insorgere, in questo contesto, di un desiderio che finalmente è possibile rilevare, ma che sembra, comunque, non trovare soddisfazione pur sviscerandolo: «Sto suppurando amore / da tutte le mie ferire e non credo, / non posso più credere / che l’ansia d’infinito / si curi studiando la piaga».6 Si genera, inoltre, un’interessante simbiosi tra il profilo frammentario della logica7 che agisce nel modo di stare di fronte all’amore - e al mondo - e il profilo frammentario del verso corto e dell’ellissi, che appaiono in gran parte della raccolta.
Matar a Platón (che comprende anche la raccolta Escribir), implica la rivendicazione più palpabile di una percezione della realtà che non può più dialogare coi concetti che essa stessa emana, la cui mera formulazione viene percepita come una perversione del dato che l’esperienza rivela nell’incontro con il reale. Registriamo, quindi, il significativo assassinio degli a priori platonici, che non vanno contro l’autore classico, ma contro i suoi effetti sulle nostre coscienze. In questo senso, quel che conta è quanto accade, non il nostro modo di dargli un nome; questo concetto viene poi portato all’estrema conclusione che, per riprendere uno degli esempi precedenti, «Non esiste infinito, ma sì esiste l’instante: / aperto, atemporale, intenso, dilatato, solido; / in esso un gesto si fa eterno.»8

Per quanto riguarda Hilos (che comprende anche la raccolta Cual), si tratta di un libro complesso che esprime il carattere isolato dei diversi paesaggi della geografia mentale che l’autrice ha definito come «fusi» in un omonimo saggio in cui intervengono i diversi stati d’animo rappresentati dai fili, forse gli unici capaci di mettere in relazione, in un qualche modo, i frammenti di un io che sembra sgretolarsi, e questo riguarda anche la concezione della poesia e il processo stesso di scrittura: «Ma è già passato il tempo / non c’è nulla che conta, se non l’aria / due sillabe appena, sulla pagina».9 Come già accadeva in Lógica borrosa, il trattamento formale dei testi, che in questo caso è caratterizzato da una sintassi frammentata e da un linguaggio volutamente antiretorico, concorre con la trama in modo da creare un risultato finale in cui entrambi gli aspetti respirano all’unisono. Un merito che forse è superfluo mettere in evidenza, trattandosi, con ogni probabilità, del fondamento stesso dell’opera d’arte, ma che troppo spesso non si manifesta in tale misura nel panorama poetico attuale.

In definitiva, ci troviamo davanti a una poesia che ci sorprende per la sua encomiabile fattura e la sua capacità di penetrazione psicologica e filosofica, ma che soprattutto colpisce per il paradosso che essa mette in evidenza. Così, come nell’opera di Leopardi, ci conquista la forza della sua emotività, il desiderio e il timore enigmatici provocati dalla sproporzione strutturale tra l’uomo e la realtà, nonostante la sua carica di profondo pessimismo, in questa scrittura, di un apparente nichilismo di fondo, ci commuove quello che Virginia Trueba ha chiamato, nel suo lavoro «El gesto del deseo en Olvido García Valdés y Chantal Maillard», «nostalgia dell’immanente».10 Una nostalgia talmente esacerbata che ci sembra di ascoltare un canto, tra il filiale e lo straziato, all’essenza dell’essere, e persino al desiderio o alla speranza di cui cerca di disfarsi. Ma un canto a un’essenza, un desiderio o una speranza, comunque messi in dubbio, non qualsiasi, ma capaci di incidere sulla vera struttura dell’umano, sulla sua natura ferita dal solco dell’infinito. Una percezione che, come accade nell’opera di altri importanti autori, implica una catarsi che ci purifica, poiché ascoltiamo in essi un grido di bisogno lanciato oltre l’orizzonte della dissoluzione, che ci colpisce e ci riempie di tensione e consolazione in parti uguali, e che proprio per questo si fa eco dell’altra aspirazione di questa grande poetessa dei nostri giorni: il bisogno di raggiungere una qualche forma di pace nell’esistenza.


Bibliografia essenziale

  • BLANCO, Marisa; «Entrevista: poetas españolas de hoy – Chantal Maillard. “Yo creo que corazón ya no tengo”», [on line]: in elpais.com
    <http://www.elpais.com/articulo/semana/creo/corazon/tengo/elpepuculbab/20070616elpbabese_1/Tes> [maggio 2008]
  • CASADO, Miguel: «La conducta de escribir. (Una lectura de Chantal Maillard)», Ínsula, 695, novembre 2004.
  • GUZNER, Susana; “Chantal Maillard: la inteligencia del despojamiento”, [on line]: in Literaturas.com
    <http://www.literaturas.com/v010/sec0505/entrevistas/entrevistas-04.htm> [maggio 2008]
  • MAILLARD, Chantal: Hainuwele, Córdoba, Ayuntamiento de Córdoba, 1990.
  • - Poemas a mi muerte (1993, riedizione 2005 con integrazione del libro La otra orilla), Santa Cruz de la Palma, La Palma, 1993.
  • - Conjuros, Madrid, Huerga & Fierro, 2001.
  • - Lógica borrosa, Málaga: Miguel Gómez Ediciones, 2002.
  • - Matar a Platón, Barcelona, Tusquets, 2004.
  • - Hilos, Barcelona, Tusquets, 2007.
  • ROMANO, Marcela; «Ensayo sobre el fragmento: 4 inéditos de Chantal Maillard», Adamar, Nº 2, 2°-2007, Revista de crítica y creación poética de la Universidad de Jaen, pp: 7-23, [on line]:
    <http://www4.ujaen.es/~dmanero/Adarve/Adarve2/Adarve2.pdf> [ottobre 2008]
  • TRUEBA, Virginia: «El gesto del deseo en Olvido García Valdés y Chantal Maillard» in Políticas del deseo, Barcelona, Icaria, 2007.
  • - «Los pliegues de la ficción: Chantal Maillard y Michael Haneke» en La nueva literatura hispánica nº 11, Universitas Castellae y the Manchester Metropolitan University, 2007.

I testi qui sotto proposti da Matar a Platón e Hilos sono stati pubblicati originariamente in castigliano da Tusquets Editores, S.A., Barcellona, Spagna.



1Chantal Maillard, Oggetto: «Ch. Maillard. Articolo di V. Trueba 1» [on line]. 19 maggio 2008. E mail a Pablo Luque Pinilla.

2Virginia Trueba, «El gesto del deseo en Olvido García Valdés y Chantal Maillard», in Políticas del deseo, Barcelona, Icaria, 2007, p. 147.

3Chantal Maillard, «Prólogo a la segunda edición», Poemas a mi muerte, Madrid, La Palma, 2005.

4Chantal Maillard, «Conjuro para construir verdades», Conjuros, Madrid, Huerga & Fierro, 2001.

5Chantal Maillard, «Ardo y no sé decir», Lógica borrosa, Málaga, Miguel Gómez Ediciones, 2002.

6Ibid.

7La citazione di G. Malinowski riportata all’inizio della raccolta recita al riguardo: «La “lógica borrosa” (fuzzy logic) di Zadeh (1975) è un metodo per formalizzare il ragionamento impreciso che opera sui concetti imprecisi, predicati inesatti e termini di funzionalità veritativa. La sua costruzione si basa sulla convinzione che pensare in termini imprecisi è proprio della percezione umana.», Chantal Maillard, op. cit.

8Chantal Maillard, in «[No existe el infinito]», Matar a Platón, Barcelona, Tusquets, 2004, p. 53.

9Chantal Maillard, in «[Podríamos jugar a hacer metáforas]», Hilos, Barcelona, Tusquets, 2006, p. 139.

10Virginia Trueba, op. cit., p. 159.




POESIE DI CHANTAL MAILLARD

a cura di Pablo Luque Pinilla
traduzione di Gloria Bazzocchi



    *
En el centro de todo lo que vive
hay un lugar, un hueco transparente al que llaman espíritu.
Es allí donde viertes tu poder
y te transformas,
es allí donde haces
a cada ser distinto de los otros.
Y por eso el espíritu es un don,
el don de ser sí mismo,
aquel que nos otorgas cuando la luz despunta
y vienes a habitar los huecos transparentes.
Sé que eso ocurre cuando oigo tu risa
bajar como una ardilla desde los altos cedros.

(de Hainuwele, 1990)


    *
Al centro di tutto quello che vive
vi è un luogo, un vuoto trasparente che chiamano spirito.
Ed lì dove versi il tuo potere
e ti trasformi,
è lì dove fai in modo
che ogni essere sia diverso dagli altri.
È per questo che lo spirito è un dono,
il dono di essere se stesso,
quello che ci concedi quando la luce spunta
e vieni ad abitare i vuoti trasparenti.
So che accade quando sento il tuo riso
scendere giù dai cedri come fa uno scoiattolo.


    *
El tiempo es una flor
que brota entre los cuerpos
                                    separados.
Cuando esa flor se cierra,
los ríos se detienen, los colores se apagan
y los seres regresan a ti
para dormir el mismo sueño.
La luz hace a los cuerpos. La oscuridad, Señor,
los devuelve a tu boca.

(de Hainuwele, 1990)


    *
Il tempo è solo un fiore
che germoglia tra i corpi
                                separati.
Quando il fiore si chiude,
i fiumi si trattengono, i colori si smorzano
e gli esseri tornano a te
per dormire lo stesso sonno.
La luce crea i corpi. L’oscurità, Signore,
li rende alla tua bocca.


    *
Llevo acostada largo tiempo
en la orilla. Mis pechos
son colinas cubiertas de hoja seca.
Levanto la cabeza y me contemplo:
en mis muslos el vello a punto de ser vello,
me incorporo: la hierba a punto de ser hierba,
doy un paso y despierto al agua
a punto de ser agua,
se asusta un ave negra a punto de ser ave a punto
de ser negra...
Un resplandor me ciega:
el bosque me contempla, a punto de ser bosque,
a punto de ser tuya.

(de Hainuwele, 1990)


    *
Da lungo tempo sono stesa
sulla riva. I miei seni
sono colline coperte di foglie.
Sollevo la testa per osservarmi:
sulle mie cosce i peli sul punto di esser peli,
poi mi rialzo: l’erba sul punto di esser erba,
faccio un passo e risveglio l’acqua
sul punto di esser acqua,
trema un uccello nero sul punto di esser uccello sul punto
di esser nero…
Un chiarore mi acceca:
è il bosco che mi osserva, sul punto di esser bosco,
sul punto di esser tua.


    *
Digo “el tiempo transcurre”
porque recuerdo la flor amarilla
en el tallo desnudo que el viento balancea.
La sombra de un ciruelo cubre ahora su sombra
y yo me invento el tiempo para poder dormir y no arder en tus labios.
Cuando dance, Señor, seré contigo
la flor, la savia y la semilla,
todos los nacimientos y todas las imágenes
y todo lo que ahora distingo por su sombra,
y en aquel gesto que presiento largo
como nueve crepúsculos,
será contigo este presente eterno
en el que nada puede ser nombrado.
Será mi danza, Señor, el reflejo
de la luna apresada en los guijarros
del bosque.

(de Hainuwele, 1990)


    *
Dico “il tempo trascorre”
perché mi ricordo del fiore giallo
su quello stelo nudo che dondola nel vento.
L’ombra di un prugno copre adesso la sua ombra
ed io m’invento il tempo per poter dormire e non arder sulle tue labbra.
Se danzo, Signore, sarò con te
il fiore, la linfa e poi il seme,
tutte quante le nascite e anche tutte le immagini
e tutto quel che adesso riconosco dall’ombra,
e in quel gesto che percepisco lungo
come nove crepuscoli,
sarà con te questo presente eterno
in cui nulla può esser nominato.
Sarà la danza, Signore, il riflesso
della luna imprigionata tra i ciottoli
del bosco.



LA CRECIDA - III

El río me despierta cada día
con los dedos que el alba le presta.
Lleva en sus aguas la mirada triste
de aquellos que me amaron.
Se apodera de todos mis deseos
y en el mar los vierte.
¿Qué queda, pues, de mí
sino este cuerpo líquido
que adopta las maneras
del tiempo y de la muerte
cuando se abrazan?

(de Poemas a mi muerte - El río, 1993)


LA CRESCITA - III

Il fiume mi risveglia ogni giorno
con le dita che l’alba gli impresta.
Porta tra le sue acque lo sguardo triste
di quanti mi hanno amato.
Si appropria di tutti i miei desideri
e nel mare li versa.
Che ne resta di me
se non un corpo liquido
che adotta le maniere
del tempo e della morte
quando s’abbracciano?


CONJURO PARA ANDAR DE ESPALDAS A UNO MISMO

Siempre creí que avanzar se lograba
poniendo un pie delante de otro y luego volviendo a empezar,
pero no sé por qué, siguiendo este procedimiento,
siempre acababa más lejos del punto al que me dirigía.
Avanzar hacia un hombre en línea recta
era la forma más segura de perderle de vista;
correr hacia un objeto delicioso bastaba
para abrir un vacío proporcional a su atractivo.
Si quería tocar la nieve en la montaña
e iniciaba el ascenso con la vista en las cumbres,
me hallaba descendiendo un valle tibio y fértil
con tímidos arroyos de glaciares.
Y si me sumergía pensando atravesar
a nado cualquier río, desembocaba, inevitablemente,
en el lugar exacto de donde había partido.
Fue doloroso comprobar cuánto de cierto había
en las palabras del sabio Zenón;
no eran para mí ninguna paradoja
sino una evidencia que debía asumir:
nunca saldría disparada
la flecha que apuntaba al blanco;
yo nunca lograría llegar de esta manera
donde ponía el ojo o el deseo.
Tampoco lo logré siguiendo
los consejos de un célebre filósofo versado en matemáticas:
ni describiendo una elíptica breve,
ni caminando en zig-zags o en círculo
dejaban de escaparse las cosas que anhelaba,
vaciarse los lugares y los escaparates
o borrarse del mapa de mi mano
los posibles amantes o destinos.
Debí desesperarme. Debí perder las esperanzas.
Y supe que era bueno.
Probé a mirar de soslayo las cosas y a los seres que amaba,
a asomarme a su mundo sin ninguna intención.
Me puse a caminar de espaldas a mí misma

y de repente el mundo
se demoró en mis manos.

(de Conjuros, 2001)


SCONGIURO PER CAMMINARE IGNORANDO SE STESSI

Ho sempre creduto di andare avanti
un passo dietro l’altro per poi ricominciare,
ma non so perché, seguendo questo procedimento,
finivo sempre oltre il punto verso cui mi dirigevo.
Andare verso un uomo in linea retta
era il modo più sicuro di perderlo di vista:
correr verso un oggetto delizioso bastava
per aprire un vuoto proporzionale al suo fascino.
Se volevo toccare la neve in montagna,
e iniziavo l’ascesa, con lo sguardo alle cime,
mi ritrovavo a scendere per una valle fertile
con timidi ruscelli di ghiacciai.
E quando mi immergevo, per poi attraversare
a nuoto un qualche fiume, giungevo, inevitabilmente,
nel medesimo luogo da dove ero partita.
Fu doloroso percepire quanto di vero c’era
nelle parole del saggio Zenone;
non erano per me affatto un paradosso
piuttosto un’evidenza che dovevo accettare:
mai sarebbe stata tirata
la freccia che mirava al centro;
io mai sarei riuscita ad arrivare quindi
dove volgevo l’occhio o il desiderio.
Nemmeno ci riuscii seguendo
i consigli di un celebre filosofo portato in matematica:
né descrivendo un’ellittica breve,
né camminando a zig-zag o in circolo
cessavan di fuggire le cose cui anelavo,
vuotarsi tutti i luoghi e tutte le vetrine
oppure cancellarsi dalla mano
i possibili amanti o i destini.
Dovetti disperarmi. Dovetti perder la speranza.
E seppi che era un bene.
Provai a guardar di sbieco le cose e gli esseri che amavo,
entrar nel loro mondo senza nessun proposito.
Mi misi a camminare ignorando me stessa
e all’improvviso il mondo
si soffermò nella mia mano.


    *
Ardo, y no sé decir
hacia dónde me proyectan las llamas,
que no son llamas sino un puro arder en mí
que me impulsa hacia fuera, o
hacia otro adentro. Ardo,
y me adentro en la fuente ardiente,
ese centro de amor que fuerza a derramarse,
y es dolor no saber dónde termina, dónde
descansar o anonadarse, perderse en el vértigo.
No hay término, no hay quién,
hay tan sólo recodos que devuelven a lo mismo.
No hay en quien terminar de arder:
todos son transparentes.
Paso a través de ellos
sin hallar otro fin, o la compuerta,
o la paz definitiva.
El gozo es dolor porque es puro proyecto.
Las llamas sólo podrán disolverse
en sí mismas. Soy
un animal enloquecido que danza sobre el fuego
de su propio nacimiento, mis pies
arrancan de la tierra y en la tierra late
el eco de mi propio latido.
Voy supurando amor
por todas mis heridas y no creo,
ya no puedo creer
que el ansia de infinito
se cure indagando en la llaga.

(de Lógica Borrosa, 2002)


    *

Ardo ma non so dire
fin dove mi proiettano le fiamme,
che non sono fiamme ma un puro ardere in me
che mi spinge verso fuori, o
verso un altro dentro. Ardo
ed entro nella fonte ardente,
quel centro d’amore che costringe a traboccare,
fa male non sapere dove finisce, dove
riposare o smarrirsi, fin dentro la vertigine.
Non c’è termine, non c’è chi,
ci sono solo curve che riportano indietro.
Non c’è in chi finire di ardere:
son tutti trasparenti.
Passo attraverso di essi
ma non trovo altro fine, o mezza porta,
o la pace definitiva.
La gioia è dolore perché puro progetto.
Le fiamme solo si potran dissolvere
in se stesse. Sono
un animale impazzito che danza sul fuoco
della sua stessa nascita, i miei piedi
partono dalla terra e nella terra batte
l’eco del mio stesso battito.
Sto suppurando amore
da tutte le mie ferite e non credo,
non posso più credere
che l’ansia d’infinito
si curi studiando la piaga.



    *

Mejor no diga nada.
Sería inútil. Ya ha pasado.
Fue una chispa, un instante. Aconteció.
Yo acontecí en ese instante.
Puede que usted también lo hiciera.
Suele ocurrir con los poemas:
terminan condensándose las formas
en nuestros ojos como el vaho
sobre un cristal helado;
las formas, con su herida.
Pues quien construye el texto
elige el tono, el escenario,
dispone perspectivas, inventa personajes,
propone sus encuentros, les dicta los impulsos,
pero la herida no, la herida nos precede,
no inventamos la herida, venimos
a ella y la reconocemos.

(de Matar a Platón, 2004)


    *

Meglio non dire nulla.
Sarebbe inutile. È già passato.
Fu una scintilla, un istante. Accadde.
Io accaddi in quell’istante.
Forse anche Lei lo fece.
Succede con le poesie:
finiscon per condensarsi le forme
nei nostri occhi come il vapore
su di un vetro gelato;
le forme, e le ferite.
Chi costruisce il testo
ne sceglie il tono, lo scenario,
dispone prospettive, inventa personaggi,
propone i loro incontri, e gli detta gli impulsi,
ma la ferita no, la ferita va innanzi,
non inventiamo la ferita, andiamo
da lei e la riconosciamo.



    *

Sólo el aire es perfecto.
La blusa está manchada, el gato
insatisfecho,
el gozne que sostiene la ventana
se ha quebrado
y soñé que, al borde de mi lecho,
tres sombras confundidas
tiraban de mí.
¡Qué rígidos los hilos, y qué lento
mi grito en el ahogo!

Sólo el aire es perfecto.
No hay causa para el pájaro.

(de Hilos, 2006)


    *

Solo l’aria è perfetta.
La camicia è macchiata, il gatto
insoddisfatto,
la cerniera della finestra
si è rotta
e ho sognato che, in fondo al mio letto,
tre ombre disorientate
mi trascinavano.
Come sono rigidi i fili, come
è lento il mio grido nel soffocare!
Solo l’aria è perfetta.
Non c’è ragione per l’uccello.


    *

Podríamos jugar a hacer metáforas,
al fin y al cabo es por analogía
que aprendemos el mundo y sus causas.
Podríamos disponer en versos las palabras,
como antiguamente, para
poderlas recordar, recordar lo importante.
Pero ha pasado el tiempo,
ya nada es importante, sólo el aire,
tres sílabas apenas, en la página.

(de Hilos, 2006)


    *

Potremmo giocare a crear metafore,
in fin dei conti è per analogia
che impariamo il mondo e le sue ragioni.
Potremmo anche disporre in versi le parole,
come anticamente, per
poterle ricordare, ricordar quel che conta.
Ma è già passato il tempo,
non c’è nulla che conta, se non l’aria,
due sillabe appena, sulla pagina.


    *

Me pedís palabras que consuelan,
palabras que os confirmen
vuestras ansias profundas
y os libren
de angustias permanentes.
Pero yo ya no tengo
palabras de este género.
Aceptad mi silencio: lo mejor
de mí. Huid del soplo que pronuncia,
en mi boca,
la amarga condición de lo humano.
Y, entretanto, dejadme contemplar
el vuelo de la ropa
tendida en las ventanas.

(de Hilos, 2006)


    *

Mi chiedete parole che consolino,
parole che confermino
le vostre ansie profonde
e vi liberino
da angosce permanenti.
Ma io ormai non posseggo
parole come queste.
Accettate il mio silenzio: il meglio
di me. Fuggite il soffio che pronuncia,
sulla mia bocca,
l’amara condizione dell’umano.
E, intanto, lasciatemi contemplare
il volare dei panni
appesi alle finestre.



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